Omelie 2022 di don Giorgio: S. FAMIGLIA DI GESÙ, MARIA E GIUSEPPE

30 gennaio 2022: S. FAMIGLIA DI GESÙ, MARIA E GIUSEPPE
Sir 44,23-45,1a.2-5; Ef 5,33-6,4; Mt 2,19-23
Anche a riguardo di questa Festività in onore della Sacra Famiglia di Gesù, Maria e Giuseppe (già l’ordine dei nomi è molto indicativo, prima il figlio, poi la vera madre, infine il padre putativo), che ogni anno secondo il rito ambrosiano si celebra nell’ultima domenica di gennaio, quindi nella terza o quarta domenica successiva all’Epifania, mentre secondo il rito romano si celebra la domenica entro l’ottava di Natale, mi trovo in difficoltà nel parlare di qualcosa che è paradossalmente tanto divino quanto umano, e viceversa, a tal punto che parlare di modello della famiglia umana (abbiamo ascoltato la prima orazione) pare del tutto impossibile, del tutto fuori posto.
In breve, la famiglia di Nazaret è qualcosa del tutto unico, irraggiungibile, inimitabile, a meno di non cadere nel solito difetto di proporre come ideali le virtù morali di Gesù, Maria e Giuseppe, virtù tanto più nobili in riferimento alla persona, prima Gesù, poi Maria, poi Giuseppe, anche se le devozioni popolari fanno saltare ogni gerarchia.
Quest’anno ho scelto di prendere come spunto per queste riflessioni il commento davvero stimolante ai brani di oggi di don Angelo Casati.
Partiamo dal primo brano, tolto dal libro del Siracide, che fa un elogio dei padri, ricordando la benedizione di Dio che scende di generazione in generazione da loro. Siamo, dunque, in questa specie di misteriosa catena che si allunga e si allarga nel tempo e nello spazio, ma che ci unisce come anelli congiunti strettamente in quel Mistero divino che gli ebrei, in particolare i profeti, chiamavano Alleanza.
Commenta don Angelo: «Oggi ci viene meno spontaneo pensarlo, perché siamo gli uomini e le donne dell’istante, meno portati alla memoria. Raramente pensiamo che siamo segnati in bene e in male da una storia che ci ha preceduti. Abbiamo ricevuto dei patrimoni e, a nostra volta, ci è chiesto di consegnarli. Di consegnare qualcosa di vivo, di vero, di bello, di entusiasmante alle generazioni future. Ed ecco la domanda: che cosa citeremmo, se ci fosse chiesto di elencare alcune tra le cose più vive, più belle, più entusiasmanti che abbiamo avuto in eredità dalla vita? E che vorremmo a nostra volta consegnare? E come potremmo pretendere che le nuove generazioni accettino la noia, il pessimismo, il disfattismo, il risentimento? “Tradizione” è termine bellissimo perché significa consegna. Ma non consegna di simulacri vuoti e spenti. Dio, diceva oggi il libro, diede a Mosè, perché le trasmettesse, “leggi di vita e di intelligenza”. Bellissimo! Non leggi morte e vuote di senso, ma leggi dove brilla la vita e l’intelligenza. Pensiamoci dentro questo grande processo di consegne, di generazione in generazione e ogni generazione chiamata ad aggiungere vita e intelligenza!».
Mi piacerebbe sviluppare queste riflessioni di don Angelo. Sto male pensando già a una società che ha rotto le catene, non già di schiavitù, ma di patrimoni di un passato da rivivere e da riconsegnare alle generazioni future. Una catena che non è un susseguirsi di anelli in senso meccanicistico, ma di valori da sviluppare. Ci viene consegnato un patrimonio di valori, non tanto per custodirlo, ma per svilupparlo. Si tratta di leggi di vita e di intelligenza. Possiamo dirci tradizionali, ma non tradizionalisti.
Passiamo al racconto di Matteo. Giustamente don Angelo fa notare che il terzo evangelista mette in evidenza «come la famiglia di Nazaret ripercorra come in un calco le strade dei padri…». Strade che sono anche faticose.
Poi don Angelo commenta: “E anche in questo insegna, insegna una consapevolezza, che forse è venuta un po’ meno, la consapevolezza di sentirci, mi si passi l’immagine, come parte di una carovana. Noi privilegiamo la differenza, la distanza, guardiamo come cosa da poco, quasi insignificante, il cammino comune, dobbiamo distinguerci. Sogno è diventato il distinguerci, il privilegio, “sono un privilegiato”, e non invece la bellezza della carovana, del destino comune, del bene comune».
Credo che don Angelo abbia ragione, ma attenzione. Tutto sta nell’interpretare bene le parole, nel loro genuino e originale significato.
La parola “privilegio” deriva dal latino ed è composta di due termini: “privus”, che significato “singolo”, a sé, e “lex”, ovvero legge. Quindi, il privilegiato è uno che ha una legge a suo favore, fatta per sé. Pensate alle cosiddette leggi “ad personam”. Anche la parola “elezione” deriva dal latino, e significa “scegliere di propria volontà tra più cose quella che si giudica migliore o che piace di più (lo si dice specialmente delle persone). Pensate ai popoli che si credono eletti da Dio o dalla fortuna ad essere diversi dagli altri.
Possiamo dire che è forte l’idea che ciascuno si ritenga diverso dagli altri. E allora come possiamo parlare di comunità, di umanità, di bene comune?
Il brano del Vangelo ci insegna un’altra cosa. Don Angelo dice: «A Giuseppe, a ogni famiglia, a ciascuno di noi è detto: “Alzati, prendi con te il bambino e sua madre e va’”. Alzati, la vita è viaggio. Che cosa stava davanti agli occhi di Giuseppe? Niente di sicuro, niente di programmato, niente di prevedibile. E non è questo figura della nostra vita, di una stagione in cui davanti agli occhi abbiamo orizzonti sempre più incerti, imprevedibili? Non recriminiamo: alzati e va’. Il viaggio! Ma pure la custodia: “Prendi con te il bambino e la madre”. Bellissimo il verbo, che dice custodia, tenera custodia: e dunque custodirci a vicenda nel viaggio».
Pensieri su cui riflettere, e lasciare che, dentro di noi, questi pensieri inventino, ovvero scoprano l’essenziale di quel Mistero divino che è il Figlio, il Padre e la Madre.
“Prendi con te il bambino e la madre”. Il bambino e la madre: che cosa potrebbero significare nella realtà mistica? Lascio a voi immaginare, anche perché sarebbe difficile dire qualcosa.
Il bambino è dentro di noi, la madre è il grembo del nostro essere, un grembo sempre fecondo per opera dello Spirito. Dunque, prendi te stesso, in quanto grembo fecondo, e cammina. La strada è lunga. Difficoltosa. Non siamo soli. Isolati. Fuori dal cerchio magico di Dio.
Infine, don Angelo sottolinea la capacità di Giuseppe di inventare strategie nuove per non cadere vittima dei raggiri del potere.
«Tocca a Giuseppe inventare i percorsi, i luoghi, le tappe, le soste, le partenze. Tocca a lui fiutare i pericoli e inventare soluzioni per sfuggirli».
Sì, c’è un angelo che protegge, che invia messaggi divini, ma l’angelo anche dice a ciascuno di noi: “Alzati e cammina. Usa l’intelligenza, e datti da fare. Inventa, inventa, inventa strategie nuove”.

 

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