Omelie 2017 di don Giorgio: NELLA CIRCONCISIONE DEL SIGNORE

Domenica 1 gennaio 2017: NELLA CIRCONCISIONE DEL SIGNORE
Nm 6,22-27; Fil 2,5-11; Lc 2,18-21
Nei tre brani della Messa, ci sono alcune parole che meritano tutta la nostra attenzione, in particolare oggi, all’inizio di un nuovo anno.
Benedizione
La prima parola è “benedizione”. Nel primo brano, troviamo una delle più belle benedizioni con cui Dio impegna se stesso: come luce, come grazia e come pace. Secondo la tradizione rabbinica, la formula proposta dal libro dei Numeri veniva pronunciata per la benedizione del popolo, ogni giorno, dopo il sacrificio della sera. Ci sono, tra l’altro, molti richiami con le preghiere dei Salmi.
Dio impegna se stesso come luce: “Il Signore faccia risplendere per te il suo volto”. Dio impegna se stesso come grazia: “”e ti faccia grazia”. Dio impegna se stesso come pace: “Il Signore… ti conceda pace”.  Che vogliamo di più?
Dire volto luminoso è dire presenza, così come dire grazia e pace. Presenza divina! Il Signore si fa presente in tutto ciò che di meglio Lui è. Dio non ha la luce: è la Luce. Dio non ha la grazia: è la Grazia. Dio non ha la pace: è la Pace.
Siamo totalmente fuori strada quando pensiamo a un dio che dona qualcosa come se ciò fosse una questione di generosità. Tutto proviene dalla sua sovrabbondanza! In che senso? L’essere, come dicono anche filosofi, teologi e mistici, è diffusivo per sua stessa natura: si espande, perché è nella natura dell’essere espandersi.
In questo senso, non spetta a noi chiedere a Dio che si diffonda su di noi come luce, come grazia e come pace. Ciò avviene sempre, senza che noi ce ne accorgiamo.
Che significa allora benedizione? Significa che i sacerdoti hanno il potere e la missione, su incarico della religione, di benedire cose e persone come se in quel momento scendessero quasi automaticamente i doni divini? Anzitutto, va detto chiaramente che benedire non è rendere sacre cose o persone, perché di per sé le creature, che fanno parte del cosmo, sono già sacre. Con la benedizione casomai si compie un gesto o un segno, come imporre le mani o altro, perché ogni essere umano riscopra in sé e nelle cose la presenza di un essere divino, come luce, come grazia e come pace.
Dunque, in ogni realtà c’è l’Essere divino: a noi il compito di scoprirlo. Ogni benedizione divina, che va al di là di un aspetto puramente religioso, diventa efficace nella misura in cui è essenzialmente luce, grazia e pace. Con minori orpelli possibili. Senza formalità o riti che hanno del magico. Senza solennità fuori posto. Luce, grazia e pace sono beni essenzialmente “spirituali”. Ogni benedizione è in vista del risveglio del nostro essere, e non di un bene che sta fuori di noi.
Grazia
Non conosco il termine aramaico, tradotto con grazia. In italiano grazia può significare benevolenza, dono, gentilezza e anche bellezza. Ma forse ci dimentichiamo il suo significato originario di “qualcosa di gratuito”. Il tocco che dà valore ad una cosa o a una persona è la gratuità che fa bella qualsiasi realtà. Un volto è bello, quando emana gratuità, così la pace è bella quando inspira gratuità.
Ma forse stiamo parlando di un altro mondo, visto che viviamo in una società dove perfino la fede è tornaconto, che, anche se dovessimo spiritualizzarlo al massimo, resterà sempre tornaconto. D’altronde l’avere è già la profanazione della gratuità, ed è perciò il segno più evidente della bruttezza. La gratuità è la qualità dello spirito, e lo spirito abita nel profondo del nostro essere. Dunque, la gratuità, e di conseguenza la bellezza, sono caratteristiche dello spirito e perciò dell’essere umano. Appena però escono a contatto con la materia, si contaminano e perdono la loro brillantezza.
Pace
Oggi, all’inizio di un nuovo anno, da quando Paolo VI ha introdotto la Giornata per la Pace nel lontano 1 gennaio 1968, siamo invitati dalla Chiesa a pregare e a riflettere sulla pace nel mondo, assumendo (basterebbe leggere tutti i messaggi del Papa per questa occasione), aspetti per lo più sociali e politici e dimenticando perciò ciò che è l’essenza della pace, che è insita nel profondo dell’essere umano. La pace è semplicemente, “simpliciter” direbbero i latini, l’armonia dell’essere umano. Bisogna partire dal profondo di noi stessi. Quindi, la pace non è anzitutto un insieme di buone relazioni sociali o una pacifica convivenza tra le nazioni. La pace non è anzitutto lottare per il disarmo universale o perché le nazioni producano meno armi. La pace non si costruisce all’infuori di noi. Potete anche ammansire una bestia feroce e renderla innocua, ma sarà sempre una bestia pronta a colpire. Certe manifestazioni per la pace sembrano corpi che camminano senz’anima. La pace non è una parola o uno slogan da gridare o una bandiera da esibire. La pace è anzitutto armonia interiore. Se lo spirito è spento, non ci sarà che violenza.
Nel nome di Dio e nel nome di Gesù
Prendiamo ora il nome di Dio, sotto la cui protezione sembra che le benedizioni divine siano più efficaci. “Così porranno il mio nome sugli israeliti e io li benedirò”. Anche san Paolo parla di un nome, quello di Gesù, che verrà posto sopra ogni altro nome e in nome del quale ogni ginocchio si piegherà. E, nel brano del Vangelo, Luca scrive: «Quando furono compiuti gli otto giorni prescritti per la circoncisione, gli fu messo nome Gesù, come era stato chiamato dall’angelo prima che fosse concepito nel grembo».
Non dimentichiamo anzitutto che gli ebrei non potevano invocare il nome di Dio, perché Dio era l’Ineffabile, Colui il cui nome era impronunciabile, non solo per il rispetto dovutogli, ma perché pronunciare Dio significava impossessarsi della sua vera identità.
Certo Gesù è un nome, ma si riferisce alla sua umanità, al figlio di Maria di Nazaret. Cristo invece non è un nome proprio: indica la missione o il ruolo di Gesù. Messia o Cristo, che è la stessa cosa, significa unto. Ma Cristo va oltre il Gesù di Nazaret: indica il Risorto o lo Spirito di Dio che ha perso ogni identità fisica o terrena.
Fino a quando resteremo vittime di una religione che dà corpo ovvero struttura al Cristo della fede o al Cristo mistico, perderemo tempo nel rincorrere illusioni e inganni. Non sono queste le benedizioni di cui abbiamo bisogno. Almeno poniamoci una domanda: da quanti millenni i sacerdoti delle più differenti religioni invocano il loro dio sui fedeli? Non siamo ancora oggi qui a sentirci insoddisfatti? Non è forse perché invochiamo benedizioni sul nostro corpo, senza comprendere che la vera benedizione è nel nostro essere interiore?

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