Omelie 2015 di don Giorgio: Quarta Domenica dopo l’Epifania

1 febbraio 2015: Quarta dopo l’Epifania
Sap 19,6-9; Rm 8,28-32; Lc 8,22-25
L’episodio di Gesù che placa il lago in tempesta lo troviamo narrato nei Vangeli secondo Matteo, Marco e Luca, chiamati sinottici, perché, se si dispone il testo di ciascuno dei tre, su tre colonne parallele, in uno sguardo d’insieme (sinossi deriva dal greco σύνοψις, composto di: σύν «con, insieme» e ὄψις «vista», perciò: sguardo d’insieme) si notano facilmente molte somiglianze nella narrazione, nella disposizione degli episodi evangelici, a volte anche nei singoli brani, con frasi uguali o con leggere differenze. Anche le differenze hanno una loro importanza. In ogni caso, le differenze non sono mai delle contraddizioni, ma qualcosa di aggiunto oppure rimarcano aspetti diversi, e ciò dipende dal punto di vista dell’evangelista, che tiene conto anche della propria comunità cristiana, a cui è rivolto il Vangelo. Tutti gli studiosi moderni concordano nel riconoscere che il Vangelo più antico, quello messo per iscritto per primo, è il  Vangelo di Marco. È il Vangelo più breve, ed è anche quello più spontaneo, scritto con un linguaggio più immediato. Ho specificato questo perché, come vedremo, le peculiarità presenti nel racconto di Marco della tempesta placata da Gesù, ci saranno utili.
Occorre, anzitutto, precisare ancora una volta che anche questo miracolo va letto al di là della pura cronaca di un fatto che, senz’altro, ha colpito gli apostoli, tanto da essere a lungo ricordato e messo per iscritto. Ma già i primi cristiani vi hanno visto qualcosa in più. E possiamo dire che, lungo i secoli, l’episodio è stato letto e riletto come l’immagine di una Chiesa che, come una barca, è continuamente sballottata a destra e a sinistra dai venti più forti. È vero che oggi possiamo dire che non è più una piccola barca, ma tutti sanno che anche i transatlantici più titanici possono affondare.
Sono tanti gli elementi di questo episodio che ci aiutano a riflettere sulla nostra vita e sulla società di tutti i tempi. Vediamone alcuni.
Diciamo solitamente che, qui su questa terra, tutti quanti siamo di passaggio. Nessuno ha dimora fissa, anche chi ha tanti soldi da comperare l’universo intero. Per noi, comuni mortali, può essere anche di consolazione sapere che tutti, anche i ricchi, i potenti, i criminali, i ladri, sono di passaggio. Che tutti, prima o poi, moriremo è una delle poche certezze che non vanno dimostrate. Non c’è bisogno di scrivere libri e libri per convincerci che la morte è un dato di fatto, anche se, purtroppo, talora ce lo dimentichiamo o, meglio, facciamo di tutto per esorcizzare la morte. Che siamo di passaggio è una delle verità, ancor più vera di tutti i dogmi della terra.
Un conto è dire che siamo di passaggio e un conto è dire che la vita è un passaggio. I credenti dicono che è un pellegrinaggio, nel senso che c’è una meta a cui siamo diretti. L’idea del passaggio è meglio espressa con la traversata da una sponda all’altra di un fiume o di un mare. Già dire fiume e dire mare è dire un’altra verità di fatto: che la traversata può essere di breve o di lunga durata.
Solitamente le due sponde si collegano mentalmente con un arco. Ciò significa che in ogni caso il percorso non è lineare per nessuno: l’arco dà l’idea che si sale (si raggiunge un picco) e poi si discende. I più saggi parlano di un arco che parte dal basso e sale verso l’alto. Le sponde sarebbero, in tal caso, la terra e il cielo.
E la cosa importante è che ci si distacca a poco a poco dalla terra. Un passaggio, dunque, che richiede un distacco. O, da un altro punto di vista, si tratta di un cammino in profondità, dal momento che il cielo sta per divino, e il divino è dentro nel nostro essere.
In ogni caso, si tratta di un cammino, di una traversata: da una sponda all’altra della terra, dalla terra al cielo, o dall’esterno all’interno. Si può parlare, quindi, di vita terrena, di vita celeste, di vita mistica.
Ma non pensiamo solo agli estremi dell’arco della nostra esistenza. Non c’è solo un inizio e una fine, ma anche un durante. Gesù chiede ai suoi discepoli di passare all’altra riva, di attraversare il lago. Possiamo vedervi un altro insegnamento: più che pensare alla morte, Gesù ci invita a muoverci con le nostre forze, a non subire gli avvenimenti, a comprendere il momento giusto per affrontare i pericoli della nostra esistenza, che, volere o no, lo ripeto, è sempre un cammino, un passaggio, una salita o una discesa. Non possiamo mai dire: Adesso mi lascio trascinare dalle onde, sto tranquillo sulla barca. Le sorprese della vita non mancano mai. Sorprese brutte, ma anche buone.
“Venuta la sera”, ecco la prima peculiarità di Marco. La giornata della nostra vita dura per tutto l’arco della nostra esistenza. Non c’è distinzione tra giorno e sera. Sempre pronti alla traversata. In qualsiasi momento, siamo invitati a muoverci verso l’altra sponda, che in tal caso significa raggiungere un’altra tappa.
Un’altra particolarità. Marco scrive: gli apostoli “lo presero con sé, così com’era, nella barca». Che significa: “così com’era”? Forse gli apostoli non sempre erano d’accordo con quanto insegnava il loro Maestro, o per come si comportava, oppure perché era troppo esigente? Anche per noi è facile prendere dal Vangelo ciò che ci fa comodo, ma è molto più duro prendere Gesù “così com’è”. Commenta Paolo Curtaz: «Dobbiamo prendere Gesù così com’è. Non quello tarocco dei politicamente corretti che ogni due settimane scoprono il vero volto di Gesù tenuto nascosto dalla Chiesa, né quello zuccheroso ed evanescente della devozione, ma quello crudo e faticoso professato dai cristiani. Pazienza se è un po’ scomodo, questo Dio; pazienza se non sempre mi dice delle cose gradevoli. Preferisco un Dio urticante e onesto ad uno carezzevole e falso. Abbiate il coraggio di prendere il Signore così com’è, non come vi piacerebbe che fosse!».
Ed ecco scatenarsi all’improvviso una tempesta di vento. Le acque riempiono la barca, che sta per affondare. E lui, il Maestro, se ne sta tranquillo a dormire. Strano questo Gesù: prima ordina agli apostoli di raggiungere l’altra sponda, e poi si mette a riposare. Prima ci dice: “Non stare seduto, cammina, convertiti, guarda al futuro”, e poi ci lascia soli.
Sì, dorme, ma per farsi provocare da noi. Gli apostoli lo svegliano, dicendogli: «Maestro, non t’importa che siamo perduti?». È un rimprovero, un duro rimprovero al loro Maestro, che, tuttavia, rilancia la provocazione: «Dov’è la vostra fede?».
Qui le riflessioni si allargano a comprendere tanti perché: il perché del male, il perché del dolore, il perché del silenzio di Dio.
Faccio mie alcune considerazioni di Padre Ermes Ronchi. «La barca sta per affondare e Gesù dorme. Il mondo geme con le vene aperte, lotta contro la malattia e la disperazione, e Dio dorme. L’angoscia lo contesta: “Non ti importa niente di noi? Perché dormi? Svegliati!”. I Salmi traboccano di questo grido, lo urla Giobbe, lo ripetono gli apostoli nella paura.
Poche cose sono bibliche come questa lite con Dio, che nasce dalla passione per la vita, dall’arroganza di un amore che non accetta di finire. “Perché avete così tanta paura?”. C’è tanto da attraversare, tanta paura motivata. Ma troppo spesso la religione si è ridotta a una gestione della paura. Dio non vuole entrare in questo gioco. Egli non è estraneo e non dorme, sta nel riflesso più profondo delle tue lacrime… Dio è presente, ma non come vorrei io, bensì come vuole lui: è sulla mia barca e vuole salvarmi, ma insieme a tutta la mia libertà. Non interviene al posto mio ma insieme a me; non mi esenta dalla tempesta ma mi precede, come il pastore nella valle oscura. È la nostra fede bambina che ha bisogno più di miracoli che non di presenza. Vorrei che non sorgessero mai tempeste e invece la morte è allevata dentro di noi con il nostro stesso respiro e sangue. Vorrei che il Signore gridasse subito all’uragano: “Taci!”, che rimproverasse subito le onde: “Calmatevi!”, e che alla mia angoscia ripetesse: “È finita!”. Vorrei essere esentato dalla lotta, e invece Dio risponde dandomi forza, tanta forza quanta ne basta per il primo colpo di remo, tanta luce quanta ne serve al primo passo. Come granello di senape nel buio della terra, così Dio è nel cuore oscuro della tempesta. Come chicco di grano nel buio della terra, come un granello di fiducia, di forza, di luce, così Dio germoglia e cresce nel cuore dell’ombra».

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