L’agonia del papa da leggere come simbologia dell’agonia della Chiesa?
L’Editoriale
di don Giorgio
L’agonia del papa da leggere
come simbologia dell’agonia della Chiesa?
Sarei tentato di fare una lunga premessa, o semplicemente un inciso forse eccessivo, visto che il tema, ovvero l’agonia del papa, che esigerebbe silenzio e rispetto, è diventato così spettacolare da chiedermi: chi è costui, così idolatrato, anche se solo apparentemente, ovvero ipocritamente, da occupare ogni giorno articoli di giornali, sempre aggiornati sul suo stato di salute (particolarmente sensibili i Quotidiani di sinistra dichiaratamente atei), ma soprattutto da comportare manifestazioni di una massa di oranti, pilotati a intercedere il Padre Eterno con formule preconfezionate. Ho trovato sul sito della diocesi milanese una sezione, con questo titolo: “Preghiera per il Papa, i sussidi della Cei: per l’adorazione eucaristica, per il Rosario, intenzioni preghiera”. Tutto, dunque, rigidamente pre-confezionato, tutto doverosamente pilotato. Colpisce questa preghiera: “Padre buono, che hai a cuore la vita di tutti i tuoi figli, guarda con benevolenza il tuo servo e nostro papa Francesco, perché, ristabilito in salute, continui la sua missione a servizio della Chiesa. Preghiamo”. Dimenticato il Padre nostro, con l’invocazione: “Sia fatta la tua volontà!”, ovvero la volontà del Padre celeste. Noi dettiamo legge al Padre, imponiamo a Lui come comportarsi secondo i nostri voleri.
Passiamo all’interrogativo: l’agonia del papa è da leggere come simbologia dell’agonia della Chiesa? Parrebbe di sì.
Una volta attorno al papa che moriva c’era un muro protettivo. Il dramma tra la vita e la morte del Vicario di Cristo si svolgeva lontano da ogni occhio indiscreto. Nulla si sapeva fino alla morte, e allora, solo allora, si annunciava al mondo che il papa si era presentato davanti al giudizio di Dio, oggi si direbbe: è tornato alla casa del Padre.
Tuttavia, la morte quasi in diretta di un papa potrebbe farci riflettere, senza farsi prendere dalla morbosità di particolari che interessano solo la curiosità di alcuni, forse troppi, malati di mente.
Anche per il papa che muore vale il motto: “Sic transit gloria mundi”, frase latina che significa: “così passa la gloria del mondo”. La troviamo in un passaggio dell’opera Imitatio Christi che recita così: “O quam cito transit gloria mundi”. Tradotto in italiano: “Oh, quanto rapidamente passa la gloria di questo mondo”. Da notare che, secondo il rito tradizionale, il cerimoniere ripete tre volte le parole “Sic transit gloria mundi” davanti al pontefice neoeletto, mentre fa bruciare un batuffolo di stoppa sopra una canna d’argento. Come un monito, per ricordare al capo della Chiesa cattolica la transitorietà del potere temporale e il carattere effimero delle cose terrene.
Il papa dovrebbe sempre ricordarsi che il suo ruolo non è di un potere sovrumano, come spesso capitava nei secoli passati, tanto da ritenersi alla stessa stregua di un imperatore o di un re. Le parole di Cristo davanti a Pilato: “Il mio regno non è di questo mondo”, mondo inteso in senso temporale, terreno, ecc.
Certo, oggi le cose sembrano cambiate: il Papa viene visto nelle sue funzioni diciamo religiose, ma, siamo sinceri, è rimasto quel senso autoritario (non da confondere con la parola “autorevole) che fa parte di una assoluta monarchia.
Ciò che ancora oggi mi impressiona è quel voler per forza restare al comando, anche quando tutto dice che è giunta l’ora di farsi da parte. Non è amore per la Chiesa o per il Regno di Dio: è amore di se stesso.
Si è papi non a vita, ma finché si è in grado di guidare la Chiesa. Avere il coraggio, sì coraggio oltre che umiltà, di farsi da parte, è di pochi. In fondo, un papa che sta morendo lo sentiamo vicino, come vicino sentiamo il Cristo sofferente. Che lezione la morte del Figlio di Dio, ovvero quel suo porre fine alla sua vita terrena! Non poteva, se voleva, rimanere ancora tanti anni sulla terra?
Non mi piace, proprio non mi piace l’attaccamento di un papa al suo ruolo di papa!
Anche la Chiesa, nella sua struttura carnale, è sempre in uno stato agonico: tra la vita e la morte, oppure, più giustamente, dovremmo dire: tra la morte e la vita!
Se la Chiesa istituzionale non muore a sé stessa, in quanto struttura, sarà sempre di ostacolo o di impedimento, perciò scandalo, al Cristianesimo più puro, il quale, uscito dal cuore trafitto del Cristo morente, esige un cammino di conversione, ovvero di purificazione, che esige distacco sempre più radicale.
Il detto “morto un papa se ne fa un altro” è sapienziale: il papa conta relativamente, quando muore dovrebbe dire: Ho fatto tutto ciò che ho ritenuto giusto fare, ora lascio il posto a un altro.
Ma l’attaccamento al ruolo, o al potere, è la tentazione più forte e diabolica anche per un papa. Sì, l’agonia di un papa richiama l’agonia di una Chiesa istituzionale, di cui una parte se ne va, muore, per lasciare il posto al soffio dello Spirito, che ama anche scherzare con il potere, ma per schernirlo nei suoi Vicari.
Nessuno è necessario, neppure un papa, solo il Bene Assoluto, di cui siamo umili servitori.
01/03/2025
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