Omelie 2013 di don Giorgio: Seconda dopo Pentecoste

2 giugno 2013: Seconda dopo Pentecoste

Sir 18,1-12; Rm 8,18-25; Mt 6,25-33

Per comprendere il brano del Vangelo di oggi non si possono dimenticare le parole precedenti con cui Gesù invita a non “accumulare”, a non ammassare su questa terra tesori, ovvero i beni materiali, le ricchezze. Rimane ancora incisivo il detto di Gesù: “Nessuno può servire due padroni, perché o odierà l’uno e amerà l’altro, oppure si affezionerà all’uno e disprezzerà l’altro. Non potete servire Dio e Mammona”.
La radice ebraica del termine mammona indica quella sicurezza che appaga e dà certezza; richiama qualcosa in cui si pone fiducia, in cui si crede. Gesù con questa parola intende la personificazione del denaro: la ricchezza che come un demonio si contrappone a Dio. Denaro e Regno di Dio non stanno insieme, sono incompatibili. Nell’Antico Testamento, il termine “Mammona” è sempre legato all’ingiusta ricchezza e indica il “mio” patrimonio, tutto ciò che “mi” dà garanzia e sicurezza, ma che mette in opposizione a un altro signore che è Dio. Una delle tentazioni costanti della religione sarà sempre quella di mettere insieme Dio e Mammona, la devozione e il denaro. Dio e “Mammona” sono due padroni assoluti. Essi chiedono di assorbire tutta la persona, le sue preoccupazioni, il suo tempo. Non si può quindi contemporaneamente servire l’uno e l’altro.
Dio o il denaro? Da questa scelta dipende la nostra vita. Comprendiamo ora il Vangelo di oggi con l’invito di Gesù a fidarci della Provvidenza divina. Più volte insiste nel dirci: “non affannatevi” o “non preoccupatevi”. Già la parola “preoccupazione” dice tutto, creando di conseguenza l’affanno, l’ansia. Pre-occupazione: notate quel pre-, che significa prima. Mi faccio occupare già prima da una cosa che potrebbe succedere. La mia mente è occupata non solo dalla cosa presente che devo fare, ma da mille altre cose che succederanno. Il domani entra di prepotenza nella mia vita, condizionandola. Ecco l’ansia. San Girolamo diceva: “L’occupazione è da fare, la preoccupazione è da togliere”. Gran parte della nostra vita non è occupazione, ma pre-occupazione. Ed è qui, nella pre-occupazione che noi esauriamo le nostre energie senza occuparci del presente: ecco l’affanno.
Faccio mie le seguenti riflessioni. «L’ansia – si legge negli studi di medicina – è una delle caratteristiche fondamentali del nostro tempo. Viene di solito definita come un sentimento penoso di pericolo imminente e mal definito. Per indicare lo stesso tipo di disturbo si usano a volte i termini di angoscia e ansietà. È la persona che si sente costantemente minacciata, vive dunque una condizione di profonda disperazione e una penosa sensazione d’impotenza o di debolezza di fronte alla minaccia che percepisce come immediata. A volte si precisa meglio il motivo della sensazione di paura: paura della morte, paura dell’avvenire o del passato, che non trovano tuttavia giustificazione nella realtà. Tutti viviamo di ansia. Chi pensa di non essere ansioso, lo è così tanto da non accorgersi di esserlo. Fa parte ormai della nostra condizione umana… Allora la Parola di oggi è una cura terapeutica: “Non affannatevi…”. Rileggi questo brano con calma, fai entrare la Parola di Gesù nel tuo cuore, nella tua mente. Gesù, oggi, vuole guarirci dalle nostre ansie, dai nostri affanni, dai nostri stress… Gesù ci chiama a vivere nella libertà, ci vuole uomini e donne libere, non schiave dell’ansia, dello stress o dell’affanno, non schiave delle nostre paure: paura del giudizio, paura di ingrassare, paura di non essere alla moda, paura di chi ci vive accanto, paura di morire, paura del domani. Viviamo sotto una grande minaccia! La minaccia che noi stessi ci procuriamo. Le paure sono anzitutto dentro di noi: Luther King al termine di un suo sermone aveva detto: “La paura ha bussato alla mia porta; l’amore e la fede hanno risposto; e quando ho aperto, fuori non c’era nessuno”. Noi viviamo con tante cose: abbiamo gli armadi, le dispense piene, eppure viviamo affannati, preoccupati del domani. L’ansia ci fa accumulare tante cose inutili, e più accumuliamo, più sentiamo il bisogno di avere».
Certo, Gesù non si limita a dirci: “non affannatevi”, “non preoccupatevi”. Il suo è un invito a porre fede nella Provvidenza divina. Fa due esempi prendendo lo spunto dal mondo animale e dal mondo vegetale. Gli uccelli non seminano, non mietono e non raccolgono nei granai, ma hanno sempre da mangiare perché il Padre del cielo li alimenta. I gigli del campo non lavorano e non filano, eppure con che eleganza e bellezza Dio li veste!
Ed ecco la soluzione:  «Cercate, anzitutto, il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose (il cibo, il vestito ecc.) vi saranno date in aggiunta». È chiaro che si tratta di interpretare bene, secondo il pensiero autentico, originale, di Gesù, queste due parole: regno di Dio e giustizia. Noi sappiamo che la parola “giustizia” nella Bibbia significa il disegno originario di Dio: ogni cosa va messa al punto giusto, senza creare squilibri, senza uscire dall’armonia o dalla bellezza con cui Dio ha creato il mondo. Giustizia, dunque, più che ordine o legge, è armonia, è bellezza, è vita. Pensate a quali potrebbero essere le conseguenze anche nel campo sociale. Per noi giustizia è osservanza di certe leggi in un determinato ordinamento socio-politico, fatto dagli uomini. Per la Bibbia giustizia è il disegno armonico di Dio, quello originario prima che il peccato lo inquinasse. Ma voi pensate che Dio accetti un ordinamento socio-politico dove a prevalere sia la legge del più forte, creando così disuguaglianze tra gli esseri umani? I due esempi di Gesù, riguardanti il mondo animale e vegetale (gli uccelli e i gigli del campo), non sono solo poetici o tali da sembrare quasi ingenui. A pensarci bene, potrebbero rimettere in discussione tutto il nostro modo di pensare questa vita, lo stesso sistema economico-politico. Gesù critica il fatto che la preoccupazione per il cibo occupi tutto l’orizzonte della esistenza delle persone, senza lasciare spazio a sperimentare e gustare la gratuità della fraternità e dell’appartenenza al Padre. Per questo, il sistema neo-liberale è criminale perché obbliga la gran maggioranza delle persone a vivere 24 ore al giorno, preoccupandosi del cibo e del vestito, e produce ad una minoranza ricca assai limitata l’ansia di comprare e consumare fino al punto da non lasciare spazio a null’altro. Gesù dice che la vita vale più dei beni di consumo! Il sistema neoliberale impedisce di vivere il Regno.
Cercare in primo luogo il Regno e la sua giustizia che cosa significa allora? Dare a tutti la possibilità di vivere su questa terra in modo ugualmente dignitoso. La ricerca di Dio si traduce, concretamente, nella ricerca di una convivenza fraterna e giusta. Dove c’è questa preoccupazione per il Regno, nasce una vita comunitaria in cui tutti vivono da fratelli e sorelle e a nessuno manca nulla. Lì non ci si preoccuperà del domani, cioè non ci si preoccuperà di accumulare. Il Regno richiede una convivenza, dove non ci sia accumulazione, ma condivisione in modo che tutti abbiano il necessario per vivere.
Concludo con un racconto tolto dal libro “I PADRI DEL DESERTO, Detti editi e inediti, Magnano 2002, 38s). Un giorno, ad Alessandria d’Egitto, Serapione incontrò un povero intirizzito dal freddo. Allora disse tra sé: «Come mai io che passo per asceta sono rivestito di una tunica, mentre questo povero, o piuttosto Cristo, muore di freddo? Certamente, se lo lascio morire, sarò condannato come omicida nel giorno del giudizio». Allora si spogliò come un valoroso atleta e diede il suo vestito al povero; quindi si sedette con il piccolo vangelo che portava sempre sotto il braccio. Passò una guardia e, vedendolo nudo, gli chiese: «Abba Serapione, chi ti ha spogliato?». Mostrando il suo piccolo vangelo, rispose: «Ecco chi mi ha spogliato». Mentre se ne ripartiva, incontrò un tale che era stato arrestato per un debito, perché non aveva da pagare. Allora l’immortale Serapione vende¬tte il suo piccolo vangelo e pagò il debito di quell’uomo. Quindi ri¬tornò nella sua cella nudo. Quando il suo discepolo lo vide nudo, gli chiese: «Abba, dov’è la tua tunica?». L’anziano gli disse: «Figlio, l’ho manda¬ta là dove ne avremo bisogno». Il fratello chiese: «Dov’è il tuo piccolo vangelo?». L’anziano rispose: «In verità, figlio, ho venduto colui che mi di¬ceva ogni giorno: “Vendi quello che possiedi e dallo ai poveri”; l’ho venduto e dato via per avere più fiducia in lui, nel giorno del giudizio».

1 Commento

  1. davide ha detto:

    Grazie d. Giorgio ……….. e fossimo davvero tutti capaci di agire come Serapione vivremmo in un mondo vero.

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