1 ottobre 2023: V dopo il Martirio di S. Giovanni il Precursore
Dt 6,4-12; Gal 5,1-14; Mt 22,34-40
Anche per i tre brani della Messa di oggi possiamo dire, anzi ripetere, che ne basterebbe uno per soffermarci a lungo, facendone anche una esegesi davvero interessante.
Vorrei ricordare, senza offendere nessuno tra i presenti, che oggi, a differenza dei tempi dei nostri nonni (dipende dall’età che abbiamo), c’è parecchia per non dire quasi totale ignoranza nei riguardi del Libro più sacro al mondo, che è la Bibbia. Un tempo si diceva che era il libro più diffuso e il più letto, oggi dovremmo dire che è sì ancora il libro più diffuso, ma il meno letto.
Man mano ci allontaniamo dalla Bibbia, ci allontaniamo non solo da Dio, ma dalla nostra stessa vera felicità, perché immancabilmente la Parola di Dio lascia il posto alle parole umane, intrise di imbecillità, per cui non sappiamo più che strada prendere per vivere in pienezza quei valori che appartengono al nostro mondo interiore.
Il primo brano, ad esempio, ci aiuta a comprendere come gli ebrei intendevano pregare il loro Dio, restando fedeli a un antichissimo atto di fede, risalente a Mosè, forse anche prima, che l’ebreo da millenni ancora pronuncia almeno due volte al giorno. Un atto di fede non solo personale, ma che veniva e viene recitato nella sinagoga.
Soffermiamoci su qualche articolo del credo ebraico.
Anzitutto, si afferma l’unicità assoluta di Dio. Tutto dipende dal senso che diamo alla parola unicità. Qui sta il punto.
Dio è uno, ma per chi? Solo per gli ebrei o per i musulmani o per i cristiani? Gli stessi antichi pensatori pagani (cito solo due nomi: Platone e Plotino), nonostante fossero politeisti, erano arrivati a una tale sublimità anche religiosa da ritenere che Dio fosse uno solo, ma inteso come l’Unico Bene Assoluto. Parlavano dell’Uno, come il primo principio essenziale, da cui tutto dipende. Dall’Uno si esce e all’Uno ritorna. E quando si esce dall’Uno ci si fraziona, ci si moltiplica, ci si divide, ma in ogni essere creato c’è una forte tensione a tornare all’Uno, a ricomporsi nell’Unità.
L’unico Dio, Sommo Bene, non appartiene a nessuna religione, perché è fuori di ogni religione, che per la sua stessa natura si crea un proprio dio e poi lo impone, anche in nome di una “rivelazione”, che guarda caso, privilegia un eletto, che si appropria di dio e lo fa lo zimbello delle proprie ideologie.
Dio è l’Unico Bene Necessario, così dice anche il filosofo saggio. Se è Necessario, vuol dire che non posso farne a meno. E se qualcuno non ci arriva a capirlo, non se ne vanti. Qualche anno fa girava la frase di qualche femminista mentecatta: “Sono atea per grazia di Dio!”. Pensava di essere spiritosa. Era solo imbecille.
A me sinceramente fanno pena coloro che si vantano di essere atei o agnostici. Io li ritengo degli infelici. La mia più grande gioia sta nel credere in Dio, ma in un Dio che è il Bene Assoluto, che vive dentro di me, nella sua realtà di Spirito di libertà, luce e vita.
Che voglio di più? Aggrapparmi a qualche dogma di una Chiesa ossa e pelle? O a qualche madonna piangente?
Inoltre, nel credo giudaico c’è la proibizione di fare delle immagini di Dio. Chiariamo. Gli antichi ebrei intendevano anche immagini diciamo fisiche, vivendo in un mondo idolatra, pieno perciò di rappresentazioni divine da adorare. Non tutti capivano che erano solo immagini, perciò che non si doveva adorarle come se fossero divinità.
Le immagini di per sé possono aiutare a credere in Dio, tanto più che il Creatore ha impresso nella Natura la propria immagine. L’immagine divina è come una trappola, direbbe Simone Weil, che ci cattura, ma per risalire a quel Bene Sommo, che non è pura immagine, ma Realtà essenziale.
Qui bisognerebbe aprire una parentesi, parlando di arte cristiana. Non sono un iconoclasta, seguace di quel movimento chiamato appunto iconoclastia che nell’Impero bizantino, secoli 8° e 9°, era contrario al culto delle immagini sacre, bruciandole in pubblico.
Ma che cos’è l’Arte? Distinguerei l’Arte sacra o mistica o nobile dall’arte religiosa, che è solo carnale. Le nostre chiese sono piene di arte religiosa, perciò carnale, ed è difficile trovare arte sacra o mistica o nobile. E non è blasfemo rappresentare il sacro, che è il mondo del Divino ed è anche il nostro mondo interiore, con una un’arte formosa, corposa, carnale, che tocca l’esterno, anche se è un soggetto religioso, tanto più se è un soggetto religioso, perciò da rispettare nella sua sacralità?
Certo, è già discutibile riempire pareti e colonne di una chiesa con arazzi o dipinti che riguardano oggetti religiosi: la chiesa più è spoglia, meglio richiama l’essenzialità divina.
Non si entra in chiesa per visitare un museo. Si entra in chiesa per pregare l’Assoluto, che, come dice la parola “assoluto”, è “sciolto” da ogni raffigurazione carnale.
Se dobbiamo raffigurare aspetti del mondo del Divino, che almeno si intinga il pennello nella Mistica più pura, che vieta anch’essa raffigurazioni carnali perché sono quel di più o quell’eccesso che presenta un dio, idolo di una credenza, più o meno falsa (pensate a pittori senza alcuna regola morale o addirittura senza credere in nulla di sacro, magari dichiaratamente atei).
Nel secondo brano della Messa, San Paolo nella sua lettera ai Galati, scrive: «Fratelli, Cristo ci ha liberati per la libertà! State dunque saldi e non lasciatevi imporre di nuovo il giogo della schiavitù… Voi infatti, fratelli, siete stati chiamati a libertà». L’apostolo parlava della circoncisione fisica, rito ebraico che doveva cedere il posto al battesimo cristiano.
La chiesa doveva staccarsi da queste imposizioni di una religione, quella ebraica, che era stata messa radicalmente in discussione da Cristo stesso. Pensate alla legge del sabato, spesso violata dall’agire di Cristo, creando dure reazioni da parte dei detentori della legge ebraica.
Pensate al terzo brano, in cui Gesù riduce tutti i precetti ebraici (allora più di seicento) a un solo comandamento. Cristo ha ridotto la religiosità all’essenziale, ma la Chiesa, nei secoli, farà di peggio degli ebrei, moltiplicando in modo così esagerato leggi e precetti da strozzare la coscienza dei credenti, e pretendendo di imporli anche ai non credenti.
Essenzialità non significa amoralità, o anarchia. La libertà interiore costa di più del libertinaggio. Costa, ma ne vale la pena, se, liberando lo spirito dalle pastoie di un mondo carnale, possiamo volare alto. Nella libertà più pura.
La libertà risiede nella verità, che è luce dell’intelletto interiore. Le istituzioni sono cieche, per questo impongono norme scriteriate. Le religioni sono dogmatiche e moralistiche, perché agiscono in proprio, al servizio di una struttura che è solo carnale.
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