Omelie 2024 di don Giorgio: II DOPO PENTECOSTE

2 giugno 2024: II DOPO PENTECOSTE
Sir 16,24-30; Rm 1,16-21; Lc 12,22-31
Il primo brano è tolto dal libro del Siracide, detto anche “Sapienza di Sirach” e, fino a poco tempo fa, detto anche Ecclesiastico: inizialmente scritto in ebraico da Ben Sira (il nome greco è Siracide) verso il 180 a. C., venne poi dal nipote tradotto in greco attorno al 130 a.C. È composto da 51 capitoli con vari detti di genere sapienziale, sintesi della religione ebraica tradizionale e della sapienza comune.
Perché è stato scritto questo libro? In Israele stava penetrando nella cultura ebraica anche la cultura greca, riletta però in senso negativo, come portatrice di pericolose novità: il Siracide, attraverso la sua opera, ha voluto porre una diga morale per i suoi, per aiutare a riprendere la Sapienza delle proprie tradizioni. Coraggioso e infervorato dalla Sapienza e dal culto ebraico, insiste che non ci si deve vergognare della propria ricchezza morale e della legge.
Riflettiamo. Anzitutto, è lodevole l’intento del Siracide: incitare i suoi a non vergognarsi di ciò che di più bello è stato loro consegnato, per evitare di perdere valori eterni, che di secolo in secolo vengono fedelmente tramandati, anche attraverso testimonianze eroiche.
È chiaro che non tutto si dovrà prendere come oro colato: ci sono scorie da lasciare al tempo che passa, ma non dobbiamo confondere il tradizionalismo o fondamentalismo con la tradizione di ciò che è stato consegnato da Dio stesso quando ha creato l’universo.
Se mi urtano attaccamenti paranoici a un passato che in quanto storico è già passato, non sopporto certe deviazioni diciamo moderniste dalla strada maestra tracciata da quella Sapienza che non segue gli umori del tempo, o quelle forme stravaganti di quanti credono che, mutando il vestito o l’esteriorità strutturale, si cambi in meglio.
Il peccato più grave, imperdonabile come ha detto Cristo, è quello di tarpare le ali allo Spirito santo, il quale non si fa mai omologare dalle mode del momento, ma opera a modo suo secondo il Disegno divino, che di per sé è già contenuto nel Creato, da scoprire perciò con gli occhi dello spirito che è dentro di noi.
Tracce di Dio ci sono ovunque, nel Creato, anche nei posti e nelle situazioni più impensate. Tracce, che Simone Weil chiamava “trappole” con cui Dio ci cattura. Bisogna però che ci facciamo catturare, aprendo gli occhi dello spirito.
All’inizio del brano di oggi troviamo un primo invito, ed è quello all’ascolto: «Ascoltami, figlio, e impara la scienza, e nel tuo cuore tieni conto (sii attento) delle mie parole. Manifesterò con ponderazione la dottrina, con cura annuncerò la scienza».
«Ascoltami»: una parola decisiva per la fede ebraico-cristiana. “Ascoltami, Israele”, Shema, Israel: siamo di fronte ad uno dei numerosi appelli all’ascolto presenti nel libro del Deuteronomio. L’ascolto è l’atteggiamento chiesto a Israele nei confronti delle parole di Mosè, dell’insegnamento che egli sta rivolgendo al popolo accampato nelle steppe di Moab sulle soglie della terra promessa.
L’invito all’ascolto, ricorrente nel Deuteronomio, è associato ad una serie di comandi che vanno nella stessa direzione e consentono di precisarne le caratteristiche e il contenuto: imparare; custodire; praticare, tre verbi da prendere come sinonimi “correlati”, cioè uniti tra loro da un legame indissolubile: si ascolta per imparare, per custodire ciò che si è imparato, e per mettere in pratica ciò che si è custodito.
Pensiamo anche alla regola di San Benedetto, che inizia con questi versetti: «Ascolta attentamente, o figlio, gl’insegnamenti del maestro e porgi l’orecchio del tuo cuore; accogli volentieri i consigli dell’affettuoso padre e ponili vigorosamente in opera. Perché tu possa per la fatica dell’obbedienza ritornare a Colui dal quale ti eri allontanato per l’inerzia della disobbedienza».
“Ascolta, figlio”. L’accostamento di questi due termini, ascolto/figlio, fa già capire il rapporto profondo tra chi parla e colui che ascolta. Colui che parla è come un padre che genera. Dio è il Logos che genera vita: noi, in quanto educatori, generiamo vita ma nel Logos eterno. Non è la nostra parola che genera, ma generiamo quando comunichiamo il Logos o Verbo eterno.
San Benedetto specifica subito: “ascolta attentamente”. Che significa “attentamente”? Occorre aprire la nostra mente, tutta la nostra mente, ovvero, come dice il Siracide, “nel tuo cuore tieni conto delle mie parole”. Il cuore per un ebreo era tutto: sentimento, volontà, intelletto.
C’è un’altra parola da chiarire, quando l’autore sacro scrive: “Ascoltami, figlio, e impara la scienza”. Che significa scienza? Senza screditare il valore della scienza così come solitamente intendiamo, scienza in senso tecnico, nella Bibbia scienza significa conoscenza delle verità divine nascoste nel creato e nel nostro essere più profondo. E allora possiamo dire che la conoscenza completa la scienza tecnica. La conoscenza è quella vera scienza che mi unisce a Dio. L’assurdo o la cosa del tutto paradossale è che gli scienziati solitamente si dichiarano atei o agnostici. Loro credono solo ciò che vedono fisicamente, usando anche strumenti altamente sofisticati, ma sempre strumenti fisici, e perciò hanno una visuale monca ovvero superficiale dell’Universo.
Tra la scienza e la fede non ci dovrebbe essere un contrasto insanabile: se esiste è perché da una parte o dall’altra c’è cecità, ottusità, imbecillità.
Sembra che ultimamente si stia aprendo una strada nuova, ed è un nuovo modo di rapportarci con l’universo. Non più un rapporto dogmaticamente religioso o esclusivamente fisico o tecnicistico. Come la filosofia è nata con la meraviglia che ha posto e pone in continuazione delle domande magari lasciandoci senza risposte, o meglio diciamo che ogni risposta suscita altre domande e così via, così nel campo della fede e della scienza. L’atteggiamento giusto è quello dell’umiltà di chi sa di non sapere, di chi più conosce più si rende conto di essere ignorante. In altre parole, possiamo dire che sia la fede come la scienza aprono sempre strade nuove, perché le meraviglie che suscita l’universo sono infinite. Dietro ad ogni angolo c’è un’altra Sorpresa, e le Sorprese sono il bello della fede della scienza.
Umiltà, dunque, ovvero mettersi in ascolto: non solo il credente si mette in ascolto, anche lo scienziato, quello vero, si mette umilmente in ascolto. Possiamo anche dire che solo nella Mistica fede e scienza si incontrano, dialogano, si scambiano vedute sempre nuove.
Se il progresso dipendesse da questo incontro, la società non sarebbe diversa?

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