Omelie 2023 di don Giorgio: QUINTA DOPO PENTECOSTE

2 luglio 2023: QUINTA DOPO PENTECOSTE
Gen 11,31.32b-12,5b; Eb 11,1-2.8-16b; Lc 9,57-62
Diciamo subito che i tre brani scelti dalla Liturgia meriterebbero ben più del tempo richiesto per una decina di omelie. Anzitutto, il primo brano parla della chiamata di Abramo, che, su ordine di Dio, deve lasciare la propria terra per trasferirsi altrove.
Anche qui la Bibbia ci dà una lettura teologica dei fatti. I fatti contano, ma come “segni” del volere di Dio. Dunque, tutto fa parte di un misterioso Disegno, che va oltre il succedersi dei fatti nella loro concatenazione tanto complessa da non permetterci di trovare sempre quella causalità, per cui un fatto genera una serie di effetti che a loro volta sono causa di altri effetti. Vorremmo capire la vera causa di eventi, soprattutto quando questi sono drammatici: pensate ad esempio alle alluvioni, ai terremoti, ecc. Ma Dio vede oltre una pura causalità, o meglio nella causalità c’è quel quid, quel mistero che sfuggirà sempre agli occhi dello storico o dello stesso scienziato.
Ecco perché si parla del senso teologico che pervade ogni pagina della Bibbia. Nel leggere la Bibbia nel modo corretto occorrono occhi speciali, che solo il credente possiede. La Bibbia non è un libro scientifico, e neppure un libro strettamente storico.
Proviamo a leggere così anche il brano di oggi. Abramo vede negli eventi la volontà di Dio: comprende, in tal modo, che il Signore lo chiama ad una grande missione che egli accetta senza discutere. Il Signore entra nella sua vita con un comando preciso: «Vattene dal tuo paese verso il paese che io ti indicherò». Abramo neppure discute, obbedisce e lascia la sua terra. Verso dove? Neppure lo sa.
Vorrei fare una riflessione. Càpita anche a noi: prendiamo casa, in un determinato luogo. E qui creiamo le nostre abitudini, forse oggi più aperte, diciamo più mobili della vita sedentaria di un tempo. Ci fanno sempre paura i contrattempi. Creano scompiglio. Tutto deve rientrare nello standard stabilito. E può capitare qualcosa, un’occasione, un incontro, che potrebbe cambiarci la vita. Magari rischiamo, magari no. Forse raramente vi vediamo un “segno di Dio”.
Ad Abramo non viene rivelato fin dal principio dove sarà condotto e, come per ogni persona, deve misurare la sua strada ogni volta: è quella giusta oppure no?. Davanti a un bivio, che facciamo?
La Parola di Dio è una novità che sradica, è invito al nuovo, a cercare una terra sempre nuova per ricominciare da capo. O, meglio, la terra promessa è sempre al di là della promessa, perché ogni promessa va oltre ciò che si è promesso per il momento.
Passiamo al secondo brano. L’autore della “Lettera agli ebrei” insiste sul valore della fede: nel capitolo 11, di cui fa parte il brano, troviamo una galleria di figure esemplari, veri e propri eroi della fede. Ed ecco le parole su cui riflettere: «Nella fede morirono tutti costoro, senza aver ottenuto i beni promessi, ma li videro e li salutarono solo da lontano, dichiarando di essere stranieri e pellegrini sulla terra. Chi parla così, mostra di essere alla ricerca di una patria. Se avessero pensato a quella da cui erano usciti, avrebbero avuto la possibilità di ritornarvi; ora invece essi aspirano a una patria migliore, cioè a quella celeste».
In altre parole: questi eroi e testimoni della fede, a partire da Abele, ricevettero la promessa di una patria, eppure furono sempre “stranieri e pellegrini” in questa terra.
In tale modo testimoniavano di aver compreso che la meta da raggiungere era oltre l’orizzonte terreno, si apriva su una città celeste, sede definitiva della loro comunione con Dio.
Ecco, sentirci sempre “stranieri e pellegrini” su questa terra. Sapete che il termine ”parrocchia” deriva dal greco “paroikìa”, che significa “abitazione presso”. Chi abita presso qualcuno non è stabile, è uno straniero, uno che non ha lì la sua casa.
Abramo, esule in Egitto, era un “pàroikos”, un forestiero, uno che sta fuori dalla sua terra. Parrocchia significa dunque “abitazione provvisoria”, “dimora temporanea” e questo si applica molto bene alla chiesa locale: è infatti per il cristiano una comunità di passaggio. Già S. Paolo diceva: “non abbiamo qui una città stabile, ma cerchiamo quella futura”. La parola “parrocchia” perciò ci ricorda che siamo una comunità di pellegrini, che viaggiano insieme verso la vera patria, il Cielo, e si aiutano a raggiungerla. Un po’ come il Popolo ebreo in cammino verso la Terra Promessa. Quindi il termine “parrocchia” ci richiama il “santo viaggio”, che da anni cerchiamo di percorrere. Campanilismo…
Passiamo al terzo brano, forse quello più impegnativo, perché sembra che Gesù sia davvero “brutale” nell’esigere le condizioni per seguirlo. Un tale che, con entusiasmo, lo vuole seguire ovunque, si sente rispondere dal maestro, più con la perplessità che lo scoraggia che non con l’entusiasmo dell’accoglienza. Chi vuole seguire Gesù non può sognare una vita comoda, non avrà una dimora fissa, ma dormirà sotto le stelle, si dovrà accontentare dell’ospitalità che gli viene data… Non avrà una pietra su cui posare il capo. Un altro, che vuole seguire Gesù, dice che però, prima, deve andare a seppellire i genitori. Gesù risponde con una frase che non è solo stupefacente, ma anche scandalosa e provocatoria, anzi empia se si tratta di un funerale. In Israele il dovere più sacro per un figlio è quello di seppellire i propri genitori e per fare questo è dispensato da qualunque precetto della legge, persino dal precetto del sabato. Il sommo sacerdote, che non può entrare in un cimitero o anche solo avvicinarsi ad un cadavere, è tenuto ad accompagnare al sepolcro i propri genitori. Una terza persona chiede di seguirlo, ma, prima, deve, almeno, andare a salutare i familiari come, d’altra parte, aveva fatto il profeta Eliseo. D’altronde Gesù ha impegnato i suoi ad amare e aiutare i genitori. Gesù risponde che bisogna lasciare tutto, anche il passato, anche i doveri verso i genitori
Che significano allora le parole di Gesù: “Seguimi e lascia che i morti seppelliscano i loro morti”? In realtà, Gesù pensava a quella religiosità come insieme di credenze di riti cadaverici: credenze religiose ripiegate all’indietro, ovvero a un passato, anticamente vivo ma che con l’andare del tempo si era svuotato di quei valori perenni, che avevano anche nutrito generazioni di credenti. In altre parole, “lascia che i morti seppelliscano i loro morti” non era tanto un augurio, quasi sadico, fine a stesso, senza qualche sbocco di speranza, ma era una verità, ovvero che il nuovo regno da Cristo inaugurato avrebbe fatto a meno di tradizioni morte, per dare via libera vita a quella Sorgente sempre zampillante Grazia eterna, in cui credere ciecamente.

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