Perché ce l’ho con i giovani in genere, e anche con i giovani preti

EDITORIALE
di don Giorgio De Capitani

Perché ce l’ho con i giovani in genere,

e anche con i giovani preti

Chiariamo subito: ce l’ho con i giovani di oggi, e ce l’ho da anni, lontani però da quel ’68 in cui ad accendere la miccia sono stati proprio i giovani, anche se, per essere sinceri del tutto, la spinta l’avevano avuta da qualcuno più anziano di loro, carico di idee rivoluzionarie. Le idee provengono da lontano, ma ci vuole sempre qualcuno che le sappia attizzare nella vita reale. Il problema della contestazione è la massa talora e spesso incontrollabile. Le idee esigono lucidità, di essere rispettate nella loro purezza, portate avanti nella loro radicalità. Ma la massa si sgretola facilmente, appena il potere si prende le proprie rivincite, e il potere lo fa incarnandosi nella stessa novità, per lo più apparente, per lo più fiamma senza alimento. Ma questo è un’altra questione.
Ma il grave problema attuale è che i giovani sembrano spariti nel nulla. E quando escono allo scoperto, chi sono? Non li chiamerei giovani, ma ombre del passato. Che cosa rappresentano? Chi rappresentano? Qualcosa di già visto, sì qualcosa. Non vedo esseri viventi, se per vivente intendo un’anima intelligente, perspicace, intuitiva, creativa.
Il male di questi giovani parte lontano, da quando hanno aperto gli occhi, poco dopo la loro nascita in questo mondo. Supposto che gli occhi li abbiano aperti!
Il male dunque sarebbe la società in genere? Potrebbe essere facile dire di sì, e così giustificheremmo un po’ tutto, anche per il fatto che la società è sempre un alibi comodo per tutti. Ma se per società intendiamo i primi educatori che sono i genitori, allora sì, diciamo che costoro sono i primi responsabili. Ma chi sono i genitori di oggi? I giovani dell’altro ieri. E così risaliamo fino ad Adamo ed Eva.
Qualcosa ci deve pur essere su cui far presa, se vogliamo uscire da questo stallo demenziale. E, secondo me, bisogna avere il coraggio di non guardare indietro, ma di affrontare il momento presente, senza se e senza ma. Questi giovani mi sembrano una massa di coglioni, ebeti, zombie, senza spina dorsale, come trottole in preda ad ogni movimento altrui, sempre pronti a bruciare ogni attimo di gioia? Che fare, allora?
Cercare di spingerli alla deriva, nella speranza che si ravvedano, prendendo coscienza del loro stato comatoso? Sarebbe il massimo della stupidità. No! Vanno spinti verso il largo, e lasciarli andare. Dovranno da soli affrontare il rischio, ma nello stesso tempo potranno inebriarsi d’infinito. Non c’è un’altra via d’uscita. Prima o poi, ci accorgeremo della nostra criminalità di adulti che ora si commuovono e piangono per le tragiche morti di giovani vittime di guerre, ma che non sanno vedere una massa di scheletri ambulanti.
E allora? Noi adulti dobbiamo farci forza, e dare una spinta ai giovani di oggi perché prendano il volo, non importa se qualcuno di loro rischierà di brutto, e magari qualcuno perderà quota, e finirà per sbattere contro il muro, fracassandosi la testa.
Come prete, penso anche ai giovani preti di oggi, e sinceramente mi fanno pena. Sono figli del loro tempo. Ma la Chiesa ha nei loro confronti una responsabilità in più: dice di credere in qualcosa di grande, e poi li lascia starnazzare nell’immobilismo. Giovani ministri di un Dio aleatorio come un castello di carte dogmatiche, pronti alla carica pastorale, ma senza sapere a che cosa mirano, corrono di qua e di là credendo così di essere presenti in ogni realtà, ma sbattono le ali nel pantano. Io a questi preti darei una pedata nel sedere: li abituerei al sacrificio, al senso del dovere, alla appartenenza radicale al proprio posto di lavoro. Questo non significa tarpare loro le ali: significa far capire loro qualcosa del mistero della incarnazione di Cristo. Cristo aveva i piedi per terra, ma il suo cuore volava alto: nei cieli del Padre Eterno. I giovani preti di oggi vivono fuori dalla realtà della gente: sono senza idee profetiche, senza valori fortemente umani, si aggrappano alle formalità e vivono nell’agiatezza più vergognosa, in stridente contrasto con la precarietà della gente comune di oggi.
 3 luglio 2014
EDITORIALI DI DON GIORGIO 1
EDITORIALI DI DON GIORGIO 2

1 Commento

  1. don ha detto:

    Sottoscrivo pienamente, soprattutto la parte sui giovani preti. Dov’è lo spirito di sacrificio… ma mi basterebbe dire: lo spirito di adattamento? Sono stati nominati alcuni giovani parroci nella mia diocesi: qualcuno di questi si è rifiutato di risiedere nella casa parrocchiale, non perché non fosse abitabile: semplicemente non era di suo gusto!

Lascia un Commento

CAPTCHA
*