L’EDITORIALE
di don Giorgio
“Gli attivi rotolano come rotola la pietra,
con meccanica stupidità”…
Parto con una citazione famosa, anche perché famoso è l’autore:
«Agli uomini attivi di solito fa difetto l’attività più alta: voglio dire quella individuale. Essi sono attivi come funzionari, commercianti, dotti, cioè come esseri generici, non come uomini affatto determinati, singoli, unici; sotto questo punto di vista sono pigri. È la disgrazia degli attivi […]. Non si può ad esempio chiedere, al banchiere che ammucchia denaro, lo scopo di quella sua incessante attività: essa è insensata. Gli attivi rotolano come rotola la pietra, con meccanica stupidità. Tutti gli uomini si dividono, in ogni tempo e anche oggi, in schiavi e liberi: chi infatti non ha per sé i due terzi della sua giornata, è uno schiavo, qualunque cosa sia, politico, commerciante, funzionario, dotto».
«Per mancanza di calma la nostra civiltà sfocia in una nuova barbarie. Mai come oggi gli attivi, cioè gli irrequieti, hanno goduto di tanta considerazione. Perciò una delle necessarie correzioni da apportare al carattere dell’umanità è di rafforzare largamente l’elemento contemplativo. Certo ogni individuo, che nel cuore e nella mente sia calmo e costante, ha già il diritto di credere di possedere non solo un buon temperamento, ma una virtù di utilità generale, e di adempiere, preservando questa virtù, a un compito superiore».
(Friedrich Nietzsche, Umano, troppo umano)
Certo, bisognerebbe tener conto del senso delle parole che Nietzsche ha usato: che cosa intendeva per “attività” e cosa intendeva quando parlava di “calma” o di “contemplazione”.
In ogni caso non possiamo non condividere ciò che ha scritto.
Sto leggendo alcune opere del filosofo contemporaneo cinese, Byung-Chul Han, che ha scritto parecchio, tra l’altro “Il profumo del tempo – L’arte di indugiare sulle cose” e “Vita contemplativa o dell’inazione”.
Egli usa molto la parola “inazione” come sinonimo di contemplazione. Inazione in che senso? Inazione non significa di per sé non-agire, ma dare al proprio agire un senso profondo, che è la contemplazione.
Secondo il filosofo cinese, che insegna a Berlino, il motore potente e implacabile della società contemporanea è il principio di prestazione. Oggi l’inazione, la contemplazione, l’ascolto sono considerati forme passive, debolezze, carenze: non sembrano avere alcun valore in un sistema che concepisce la vita esclusivamente in termini di lavoro e produzione. Eppure, secondo Byung-Chul Han l’inazione è una delle attitudini più preziose dell’esistenza: nella contemplazione, infatti, l’essere umano vive davvero – al di là della mera sopravvivenza, in cui ogni agire è mosso da stimoli e mirato all’appagamento dei propri bisogni, alla risoluzione dei problemi determinati, al raggiungimento di obiettivi spesso eterodiretti. Solo il silenzio permette di tendere l’orecchio al mondo, e solo l’ascolto può condurre all’esperienza vera, alla comprensione profonda dell’essere. L’inazione, dunque, non è né negazione né semplice assenza d’azione, ma va intesa come ciò che “dà forma all’ambito dell’humanum”, rendendo genuinamente umano l’agire.
Secondo il filosofo cinese, viviamo in perenne mancanza di tempo. Quasi in apnea, ci affrettiamo per poter fare esperienza di tutto quello che il nostro mondo iperproduttivo ci mette davanti. Accelerare per avere più tempo è diventato l’imperativo della nostra vita. Ma questa “epoca dell’affanno”, in definitiva, ci rende ansiosi, stressati, disorientati. L’accelerazione della tecnologia e delle trasformazioni sociali non solo ha annientato lo spazio e la geografia stessa (ogni luogo è a portata di un clic o di qualche ora di aereo), ma ha atomizzato il tempo, lo ha frammentato in tanti “attimi presenti” che si sostituiscono l’uno all’altro, che non conoscono più pause e intervalli, soglie e passaggi, e soprattutto non costruiscono più un’unica storia: la nostra. Perché questa disgregazione riguarda anche la nostra identità, che si impoverisce e si riduce, soffocata dalle proprie attività senza durata.
Non so se l’accostamento è azzeccato, ma ritengo che anche questa pagina, con le riflessioni di un vescovo di Pinerolo, Derio Olivero, sia stimolante e, tra l’altro, si citano le parole di Nietzsche.
«Oggi fa molto caldo. Mentre torno a casa mi fermo a comprare un gelato. Mi siedo su una panchina vicina al bar, all’ombra, per gustarmelo. Passa un signore, mi riconosce e si siede accanto a me. Sta tornando dall’ufficio. È stanco, soprattutto è arrabbiato. Con se stesso. Mi parla del suo lavoro e dello stress che vive ogni giorno. In genere fa orari assurdi, dal mattino fino a sera tardi. Con ritmi frenetici. Chiude la giornata con la testa piena, pesante, che non riesce a svuotare. La sera non riesce a staccare dal lavoro neppure mentre mangia. Oggi ha deciso di uscire prima dall’ufficio. Sono appena le 17. Ha deciso di fare due passi. Mi dice: “Mi sento una trottola, non ho più una vita mia”. Mi resta impressa questa frase. Me la porto a casa. Ci rifletto. Ecco uno dei pericoli che spesso corriamo tutti: non abbiamo più una vita nostra. Funzioniamo bene, funzioniamo molto. Ma ci svuotiamo a poco a poco. Mi viene in mente la frase che dice: “Gli attivi rotolano come rotola la pietra, con meccanica stupidità”. In montagna capita dl vedere una pietra cadere dalla parete: corre, rimbalza, aumenta la velocità, diventa un proiettile. Ma non cambia in sé, resta soltanto una pietra. Al massimo, alla fine, si spacca. Bellissimo! A volte siamo simili a quella pietra, corriamo con la stessa meccanica stupidità. Corriamo senza imparare, senza gustare, senza incontrare, senza rimotivarci. Rimanendo uguali, anzi un po’ più vuoti. Subiamo le cose, diventiamo ingranaggi, stritolati dalle urgenze. Macchine. A poco a poco senza benzina. E non capita solo ai manager in carriera. Capita anche a tante mamme che lavorano e poi hanno i figli, la casa, la spesa, il nonno malato. Capita ai nonni che, arrivati alla pensione, si curano dei nipoti, aiutano i figli, fanno volontariato. Capita ai giovani. Il grande filosofo ateo ci suggerisce una cura sorprendente: “Per mancanza di quiete la nostra civiltà sfocia in una nuova barbarie. In nessun tempo gli attivi, vale a dire gli irrequieti hanno avuto maggiore importanza. Per cui una delle necessarie correzioni che si devono apportare al carattere dell’umanità è quella dl rafforzare in larga misura l’elemento contemplativo”. Ci dice: dobbiamo migliorare il nostro lato contemplativo. Detto da un vero ateo è davvero interessante! Ci aiuta a capire che la contemplazione non è una “stranezza” dei religiosi, ma un’esigenza degli umani. Abbiamo bisogno non solo di fare, ma di capire, di ascoltare, di imparare, di ricevere forza, di trovare un senso, di incontrare, di lasciarci incontrare. Il tempo estivo magari ci regalerà un po’ di vacanza. Approfittiamone per imparare a contemplare la vita e non solo a divorarla. Guardiamo con calma, con attenzione, con passione: i fiori, il sole che sorge, i volti della gente, il ruscello che scorre. Guardiamo con calma noi stessi e le nostre domande profonde. Stiamo ad ascoltare. Magari proviamo anche a pregare, a leggere un brano di Vangelo. Un Dio ci parlerà!». (L’Eco del Chisone, 11 luglio 2018)
05/01/2025
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