da Repubblica
4 agosto 2023
Rinasce l’area Letta.
Così nel Pd dell’era Schlein riemergono le correnti
di Giovanna Vitale
Il 22 e 23 settembre a Iseo in programma “Crea! L’Italia ch faremo”, promossa dagli ex fedeli all’ex segretario che avevano sostenuto Bonaccini ai gazebo delle primarie
ROMA – Dopo lo choc delle primarie, vinte a sorpresa da Elly Schlein. Nonostante la guerra dichiarata dalla neo-segretaria nel giorno del suo insediamento — “Dentro di noi abbiamo dei mali da estirpare, non vogliamo più vedere capibastone e cacicchi vari” tuonò il 12 marzo, fra gli applausi scroscianti dell’assemblea nazionale — ebbene le correnti si stanno riorganizzando.
Uscite alquanto spiegazzate dal ciclone congressuale, le cosiddette “aree politico-culturali” interne al Pd si sono nel frattempo scomposte e ricomposte, ma non per sparire, né (la maggior parte) per inchinarsi all’ultimo corso democratico. Bensì per fare quel che hanno sempre fatto: contare e contarsi, negli organismi dirigenti e nei gruppi parlamentari; influenzare la linea del partito; prepararsi alla battaglia su liste e candidature in vista delle Europee, abbinate il prossimo anno a una corposa tornata di amministrative e regionali.
E dunque, poiché il movimento sotterraneo nella galassia dem è sempre stato piuttosto vivace, ecco che dopo la pausa estiva nascerà una componente nuova di zecca. Appuntamento il 22 e il 23 settembre in quel di Iseo, ridente località sulla riva meridionale dell’omonimo lago: è lì che si svolgerà “Crea! L’Italia che faremo” promossa dagli ex lettiani che ai gazebo avevano sostenuto Stefano Bonaccini, salvo smarcarsi per passare con Schlein all’indomani dell’inatteso trionfo. Guardata, ma molto da lontano, dall’ex segretario ormai impegnato in incarichi internazionali, verrà tenuta a battesimo dai suoi fedelissimi: il senatore Marco Meloni, già coordinatore del Nazareno, e Anna Ascani, ex viceministra e ora vicepresidente della Camera, che ha appena lanciato una campagna di adesioni sui social.
I bene informati sussurrano che dietro questa operazione ci sia lo zampino di Francesco Boccia, insieme a Dario Franceschini pilastro correntizio del Pd in ogni stagione: sarebbero stati loro due a spingere perché i “neo-ulivisti” — così autoproclamatisi quando decisero di emanciparsi dal governatore emiliano — si strutturassero in un gruppo autonomo, in appoggio all’attuale capa democratica. Operazione che avrebbe fatto saltare quella, ben più ampia, vagheggiata da Andrea Orlando: creare un’area unica di maggioranza, formata però solo da quanti avevano tirato la volata alla deputata di Bologna. Ma, appunto: Boccia e Franceschini avrebbero invece lavorato per attirare da questa parte un pezzo di cattolici-riformisti arruolati in principio da Bonaccini, non tanto per disarticolare la minoranza, quanto per ingrossare l’ala moderata pro-Schlein, in modo da bilanciare il potere acquisito dai “nuovi arrivati” — quasi tutti militanti di Sel: da Igor Taruffi a Marta Bonafoni — che di fatto hanno molta voce in capitolo nel partito. Così, saltato lo schema dei due blocchi, le vecchie correnti si sono sentite autorizzate a risorgere più forti e gagliarde di prima, sebbene con qualche variazione onomastica.
Le più solide restano quelle di più antico conio. Areadem, guidata dall’ex ministro della Cultura, ha conquistato la casella strategica del capogruppo alla Camera con Chiara Braga, ha piazzato in segreteria Marina Sereni e confermato vice-capogruppo al Senato Franco Mirabelli. I Dems di Orlando e Peppe Provenzano hanno saputo fare ancora meglio, riuscendo a far eleggere in direzione il più alto numero di rappresentanti (una trentina) e non solo lì: Antonio Misiani e Marco Sarracino, oltre allo stesso Provenzano, si sono accasati al Nazareno con deleghe pesanti (Economia, Sud ed Esteri), Michele Fina fa il tesoriere.
Poi c’è l’Energia popolare di Bonaccini, che ha assorbito gli ex renziani di Base riformista, divenuti di fatto dominanti: dentro c’è un po’ di tutto, i catto-dem di Graziano Delrio, sindaci come Gualtieri, Gori e Nardella, fino al pezzo ex ds. Mentre resistono, sebbene ormai in formato Smart, i Giovani turchi di Matteo Orfini, e Radicalità per ricostruire di Gianni Cuperlo. E se le Agorà di Goffredo Bettini sono per il momento entrate in sonno, complice una certa freddezza nei confronti della leader, il disciolto Articolo1 capitanato da Roberto Speranza si è costituito in associazione per provare a fare massa critica. E i “ragazzi” della segretaria? Lei stessa aveva giurato, quando si candidò alle primarie, che gli “schleineiani” non sarebbero mai esistiti. Loro tuttavia un pensierino ce lo stanno facendo. “Per adesso è tutto fluido”, spiega uno dei più alti in carica: “Ciascuno di noi ha però una propria rete, che ha messo a disposizione di Elly”. Più in là, se le cose non dovessero piegare per il verso giusto, si vedrà.
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da www.centrostudimalfatti.eu
Le correnti
della Democrazia Cristiana
La storia della Democrazia Cristiana è anche la storia delle sue correnti. Entrate nella retorica anti-partitica, le correnti democristiane sono state anche uno dei contributi più originali del pensiero e dell’organizzazione dei democratici cristiani italiani dal secondo dopoguerra fino alla sua eclissi. Un primo, sommario, panorama di tali correnti costituisce un orientamento preliminare da approfondire con ulteriori analisi e documentazioni.
Periodo degasperiano
Durante il periodo degasperiano, non si può parlare di vere e proprie correnti organizzate. Ma ricco è il dibattito, spesso molto acceso, su orientamenti e politiche del partito che hanno trovato distinzioni e contestazioni. I degasperiani sono stati, dalla nascita della DC fino alla morte di Alcide De Gasperi, il riferimento centrale, largamente maggioritario, del partito. I primi quattro Congressi nazionali della DC (1946, 1947, 1949, 1952) hanno visto i degasperiani guidare saldamente la DC. In larga parte provenivano dall’ex Partito Popolare di don Luigi Sturzo. Tra di essi si distinguono Attilio Piccioni, Giuseppe Spataro, Mario Scelba, Bernardo Mattarella, Giulio Andreotti. I degasperiani possono essere considerati una “corrente” dal momento in cui si è manifestata in maniera evidente la corrente politica dei dossettiani, dal nome del suo principale esponente, Giuseppe Dossetti. I dossettiani più importanti sono stati Amintore Fanfani, Giuseppe Lazzati, Giorgio La Pira. Erano culturalmente cresciuti intorno all’Università Cattolica di Milano di padre Agostino Gemelli, e per questo sono stati chiamati anche i “professorini”. Espressero posizioni politiche di sinistra, fortemente improntate ad una concezione cristiana integrale della società, più attente alle esigenze di crescita sociale delle classi più povere del Paese. I dossettiani pubblicarono una rivista, Cronache Sociali, intorno alla quale mossero le loro principali critiche alla politica cattolico-liberale di Alcide De Gasperi e della maggioranza della DC. Il momento di maggior successo dei dossettiani viene misurato nel III° Congresso nazionale della DC nel 1949, in cui raccolgono circa il 30% dei voti congressuali, e nel V° Congresso del Movimento Giovanile della DC nel 1951, da loro vinto. Accanto a queste due fondamentali posizioni politiche nella DC del periodo degasperiano, si debbono aggiungere altri tre gruppi, molto meno influenti ma pur sempre significativi. Il primo è identificato in Politica Sociale, ovvero gli amici di Giovanni Gronchi. Sono un gruppo che nasce dalla sinistra dell’ex Partito Popolare di Sturzo, e intendono distinguersi dalla gestione degasperiana e dalla sua linea politica. Dopo l’elezione di Gronchi alla Presidenza della Camera dei Deputati prima, ed alla Presidenza della Repubblica poi, di fatto il gruppo si scioglie in altre correnti del partito. Tra i gronchiani si segnala Fernando Tambroni.
Il secondo sono i vespisti, costituito da un gruppo di ex popolari più vicini alle posizioni moderate della DC, quali Stefano Jacini e Carmine De Martino. Il nome deriva dal luogo ove nacque, il club Vespa di Roma. Il terzo, evidenziato nel Congresso nazionale del 1952, è la corrente che sarà denominata l’anno successivo Forze Sociali, una corrente legata al sindacalismo cattolico, con posizioni evidentemente più orientate a sinistra ed al mondo del lavoro, a cui fa riferimento Giulio Pastore e molti dei sindacalisti della CISL. È l’unica lista alternativa alla ritrovata unità del partito, con Guido Gonella Segretario politico.
Iniziativa Democratica e la DC degli anni Cinquanta
La prima, vera, corrente della Democrazia Cristiana fu Iniziativa Democratica, la corrente maggioritaria al Congresso di Napoli del 1954, guidata da Amintore Fanfani, che succedette ad Alcide De Gasperi alla segreteria politica della DC dopo la morte dello statista trentino. In Iniziativa Democratica si concentra il blocco centrale del partito, insieme alla parte più politicamente concreta del disciolto gruppo dei dossettiani, e vi troviamo quindi gran parte della futura classe dirigente democristiana: oltre ad Amintore Fanfani, ci sono Aldo Moro, Mariano Rumor, Benigno Zaccagnini, Luigi Gui, Emilio Colombo. Iniziativa Democratica è il perno su cui Amintore Fanfani costruisce una capillare struttura organizzativa della DC, per combattere sul territorio la forza e la penetrazione dell’organizzazione del PCI: di fatto, l’organizzazione della DC dei decenni successivi è stata costruita da Fanfani in questi anni. La Democrazia Cristiana, così orientata da Iniziativa Democratica, ha gestito il complesso periodo del centrismo post-degasperiano, e diventa protagonista del dibattito sull’apertura a sinistra verso il Partito Socialista, nell’ultimo periodo degli anni Cinquanta. Si distinguono in questi anni da Iniziativa Democratica altre correnti minori: la corrente denominata Primavera, legata a Giulio Andreotti, con posizioni più di destra rispetto al blocco maggioritario di Iniziativa Democratica; la corrente di Centrismo Popolare guidata da Mario Scelba, che si pone in continuità con l’esperienza degasperiana; la nuova corrente della sinistra di Base, fondata da Giovanni Marcora nel 1953. Durante la gestione fanfaniana della DC, la corrente della sinistra di Base si struttura sempre più, riceve l’appoggio del Presidente dell’ENI Enrico Mattei, e ad essa aderiscono Ciriaco De Mita, Luigi Granelli, Nicola Pistelli. Fondano una rivista a Firenze denominata Politica.
I dorotei e la DC degli anni Sessanta
L’apertura a sinistra verso il PSI, e la concentrazione delle principali cariche istituzionali e di partito nella figura di Amintore Fanfani, genera nel 1959 la spaccatura della corrente maggioritaria di Iniziativa Democratica. In quell’anno si costituisce la corrente dei Dorotei (il cui nome deriva dal convento di Santa Dorotea nel quale alcuni leader di Iniziativa Democratica si riuniscono per dare la sfiducia a Fanfani), molto più cauta nell’approccio verso il centro-sinistra, e più attenta alle ragioni delle gerarchie ecclesiastiche ed alle associazioni industriali. Alla corrente dorotea aderiscono Aldo Moro, Mariano Rumor, Antonio Segni, Paolo Emilio Taviani. L’altra parte della corrente di Iniziativa Democratica, e cioè i seguaci di Amintore Fanfani, si organizzano nella corrente di Nuove Cronache, a cui aderiscono tra gli altri Arnaldo Forlani, Ettore Bernabei, Franco Maria Malfatti, Giovanni Gioia. Inoltre, è in questi anni che la corrente dei sindacalisti viene denominata Rinnovamento Democratico, e poi successivamente Forze Nuove, e vi aderiscono, oltre a Giulio Pastore, Carlo Donat Cattin e Bruno Storti. Il VII° Congresso nazionale della DC vede prevalere sul filo di lana il raggruppamento più moderato della DC (i dorotei di Moro e Segni, la corrente Primavera di Andreotti, la corrente Centrismo Popolare di Scelba) sul raggruppamento più a sinistra (la corrente Nuove Cronache, la corrente di Base, la corrente Rinnovamento Democratico). In tutti gli anni Sessanta, la Segreteria politica della DC viene tenuta dai dorotei, Aldo Moro prima, poi Mariano Rumor una volta che Moro va a guidare i governi di centro-sinistra, e Flaminio Piccoli per un breve periodo.
Le divisioni tra i dorotei e il ritorno di Nuove Cronache
Alla fine degli anni Sessanta, la vita interna della Democrazia Cristiana vede la progressiva frantumazione della corrente dorotea. Nel 1967 nasce la corrente dei Pontieri, una costola della corrente dorotea guidata da Paolo Emilio Taviani, che si pone l’obiettivo di creare un ponte tra la maggioranza del partito e le sue correnti di sinistra. Nel 1968 nasce la corrente dei Morotei, gli amici di Aldo Moro che si distacca dai dorotei assumendo una posizione autonoma nel partito, con una linea politica sempre più orientata verso la sinistra. A questa corrente appartengono Benigno Zaccagnini e Luigi Gui. Infine, nel 1969 la rimanente corrente dorotea si divide in due componenti diverse: – Iniziativa Popolare, costituita da Mariano Rumor e Flaminio Piccoli; – Impegno Democratico, costituito da Emilio Colombo a cui aderisce anche la corrente Primavera di Giulio Andreotti. A parte le posizioni politiche assunte successivamente da Aldo Moro, le varie suddivisioni della corrente dorotea esprimono comunque una continuità nella gestione ordinaria del partito. Tanto che buona parte degli stessi Pontieri rifluiscono nel Congresso del 1973 nei Dorotei, e nel corso degli anni Settanta le due diverse componenti di Iniziativa Popolare e di Iniziativa Democratica riconfluiscono insieme. Dal 1969 al 1975 sono gli uomini della corrente di Nuove Cronache che guidano la DC, con Arnaldo Forlani prima e Amintore Fanfani poi. Di Nuove Cronache fanno parte, oltre ai due Segretari politici, anche Clelio Darida, Ivo Butini, Lorenzo Natali.
L’area Zaccagnini e la svolta del “Preambolo”
La sconfitta nel referendum sul divorzio nel 1974, e la forte avanzata comunista nelle elezioni regionali e amministrative del 1975, portano Fanfani alle dimissioni dalla Segreteria politica del partito, ed alla elezione di Benigno Zaccagnini, uomo legato ad Aldo Moro. La Segreteria di Zaccagnini è legato ad uno sforzo di rinnovamento interno alla DC, ed alla politica del confronto con il PCI, che sfocia nei governi di solidarietà nazionale. Nel Congresso nazionale del 1976, l’alleanza delle correnti di sinistra della DC prevale sull’alleanza delle correnti moderate (dorotei, fanfaniani, andreottiani), e Benigno Zaccagnini vince l’elezione per la carica di Segretario politico contro Arnaldo Forlani. Nasce così la cosiddetta Area Zac, che vede le correnti di sinistra dei Morotei, della Base, e di una parte di Forze Nuove (guidata da Guido Bodrato) raggrupparsi intorno alla linea politica di Zaccagnini. La tragedia dell’assassinio di Aldo Moro toglie molta ispirazione alla Segreteria Zaccagnini, e la nuova politica del PCI porta all’esaurimento della solidarietà nazionale. In questo contesto, il Congresso nazionale del 1980 modifica la linea politica del partito, riportandola verso una collaborazione con il PSI. La maggioranza del partito si costituisce intorno ad un “Preambolo” comune, a cui aderiscono i dorotei di Flaminio Piccoli e Antonio Bisaglia, la corrente Nuove Cronache di Amintore Fanfani e Arnaldo Forlani, e la corrente di Forze Nuove di Carlo Donat Cattin. Rimangono all’opposizione interna l’Area Zac e gli andreottiani.
Il settennato demitiano
Nel Congresso nazionale del 1982, le tradizionali correnti democristiane si scompongono parzialmente, intorno alla candidatura di Ciriaco De Mita alla Segreteria del partito. Ciriaco De Mita infatti, espressione della corrente della sinistra di Base raggruppata nell’Area Zac, viene eletto da una parte dei dorotei (Flaminio Piccoli), da una parte di Nuove Cronache (Amintore Fanfani) e dalla corrente andreottiana. L’altra parte dei dorotei (Antonio Bisaglia) e l’altra parte di Nuove Cronache (Arnaldo Forlani), unitamente alla corrente Forze Nuove di Carlo Donat Cattin, appoggia la candidatura di Arnaldo Forlani, che risulta perdente. Sostanzialmente, la linea politica dell’inizio del settennato demitiano alla guida della DC è caratterizzata dalla competizione con il PSI all’interno di una coalizione che diventa il pentapartito. Dopo le elezioni politiche del 1983, si assiste ad una gestione sostanzialmente unitaria della DC sotto Ciriaco De Mita, che compie uno sforzo teso alla abolizione delle correnti tradizionali della DC.
Il Grande Centro
Esaurita la lunga gestione demitiana del partito, il Congresso nazionale del 1989 sarà l’ultimo Congresso della DC. Vi si ritrovano le tradizionali correnti del partito, con la sola novità della corrente di Alleanza Popolare, a cui fanno riferimento i dorotei di Antonio Gava e Flaminio Piccoli, insieme agli amici di Arnaldo Forlani. Alleanza Popolare viene a rappresentare il cosiddetto Grande Centro della Democrazia Cristiana, accanto alla sinistra di Base di Ciriaco De Mita.
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da ildomaniditalia.eu
LE CORRENTI DC.
COME LE STAGIONI DI UNA VOLTA
NON ESISTONO PIÙ.
INUTILE TROVARE ANALOGIE CON IL PD
Oltre ad essere luoghi di elaborazione politica, erano anche e soprattutto dei pezzi di società che si riconoscevano nel progetto politico della Democrazia cristiana. Non a caso Guido Bodrato ripete spesso che “la storia della Dc è la storia delle sue correnti”.
di Giorgio Merlo
16 Gennaio 2023
A volte, per la verità molto spesso, si ripete la solita tesi della somiglianza dell’attuale Pd con la Dc. Almeno sotto il profilo dell’assetto organizzativo, cioè della presenza e del ruolo delle ‘correnti’. Ora, per evitare di continuare a fare paragoni impropri da un lato e di cadere in spiacevoli equivoci dall’altro, forse è arrivato anche il momento di chiarire definitivamente la questione.
Insomma, per dirlo con parole semplici e chiare, le tanto declamate ‘correnti’ della Democrazia cristiana, oltre ad essere luoghi di elaborazione politica e di crescita culturale, erano anche e soprattutto dei pezzi di società che si riconoscevano nel progetto politico della Democrazia cristiana. Non a caso, uno storico e autorevole dirigente della Dc, Guido Bodrato, ripete spesso che “la storia della Dc è la storia delle sue correnti”. E questo perchè, come ho detto poc’anzi, la Dc era un partito che rappresentava realmente un pezzo consistente della società italiana. Una rappresentanza politica, sociale, culturale, categoriale, professionale ed economica che conferma come quel partito fosse realmente “un partito di popolo” accomunato da una cultura politica omogenea che affondava le sue radici, seppur articolate e plurali, nella tradizione del cattolicesimo politico e sociale italiano.
E le ‘correnti’, appunto, non erano nient’altro che segmenti politici, culturali ed organizzativi che si facevano carico di quegli interessi sociali e politici attraverso la costruzione del progetto politico complessivo del partito. Di qui le riviste di corrente, i convegni di corrente, i grandi confronti nelle correnti prima degli appuntamento di partito, la crescita di una classe dirigente attraverso il dibattito7 e, in ultimo, l’identificazione delle ‘correnti’ con gli interessi sociali e culturali di un pezzo definito e circoscritto della società italiana. Sì, erano altri tempi ma il ‘metodo’ individuato e perseguito erano il frutto e la conseguenza di un modo d’essere in politica e nella politica. Una esperienza che ha segnato il cammino e il percorso storico della Democrazia Cristiana e, al contempo, la sua specificità nel contesto politico italiano.
Che cosa c’entri tutto ciò con le molteplici e variegate ‘correnti’ del Partito democratico resta sostanzialmente un mistero. Perché in questo caso si tratta non di ‘correnti’ ma di gruppi o bande, a seconda dei casi, che crescono e si moltiplicano all’infinito a prescindere dalla politica, dalla sua rappresentanza sociale, culturale e categoriale. Ovvero, per dirla in termini ancora più chiari, sono luoghi di aggregazione estranei alla rappresentanza di pezzi della società italiana. Ed è proprio questo meccanismo, e anche questo malcostume, che portano le ‘correnti’ del Pd ad essere dei gruppi esclusivamente e schiettamente di potere utili per dividersi il potere interno e la rappresentanza nelle istituzioni. Cioè, gli organigrammi di partito e le candidature nei vari livelli di governo. Al punto che assistiamo – è notizia di questi ultimi giorni – a spettacoli ridicoli come il decollo di una ennesima corrente chiamata addirittura “Iniziativa democratica” come la storica corrente di Aldo Moro e di Amintore Fanfani dei primi anni ‘50 che teorizzò la nascita del primo centro sinistra nel nostro paese.
L’elemento comico, e anche patetico, è che il protagonista di questa nuova corrente è addirittura Piero Fassino, storico esponente della “casta politica”, ex comunista e a lungo turbo renziano. Un solo esempio – tra i moltissimi che si potrebbero fare – che evidenzia in modo plastico come le correnti del Pd sono strumenti di mero potere che possono moltiplicarsi all’infinito. E, non a caso, ci vorrebbe una severa e lunga inchiesta giornalistica per capire e, soprattutto, per quantificare il numero delle correnti e delle truppe che ci sono oggi nel Pd a livello nazionale e a livello regionale e locale. E questo perché quando le ‘correnti’ prescindono dall’elaborazione politica, dalla rappresentanza sociale e dall’essere pezzi di società viva si riducono ad essere, come ormai è evidente a qualsiasi osservatore che non sia accecato dalla faziosità e dal settarismo, a meri strumenti di occupazione del potere. ‘Correnti’ e truppe che si moltiplicano a livello locale con una rapidità impressionante, soprattutto alla vigilia di appuntamenti elettorali e congressuali. Come sta puntualmente avvenendo in queste ultime settimane nel partito che aspira ad essere il “principale partito della sinistra italiana” della storica filiera Pci/Pds /Ds/Pd.
Ecco perché, e non per pignoleria, è bene rimarcare la diversità quasi antropologica tra i modelli organizzativi di questi due partiti. Perché, in fondo, quando prevale la politica le ‘correnti’ sono tasselli della politica. Quando, al contrario, vince solo il potere, le ‘correnti’ sono solo strumenti di occupazione del potere medesimo. E questa, del resto, è la differenza più vera tra la Democrazia cristiana e l’attuale Pd.
Finalmente ha fatto qualcosa di concreto dopo tante chiacchiere vuote!