4 ottobre 2020: SESTA DOPO IL MARTIRIO DI S. SAN GIOVANNI IL PRECURSORE
Gb 1,13-21; 2Tm 2,6-15; Lc 17,7-10
Giobbe e il Mistero divino
Il primo brano della Messa, che è l’inizio del libro di Giobbe, forse il più discusso e nello stesso tempo il più affascinante personaggio biblico, in ogni caso non storico, ma una finzione letteraria, e proprio per questo investito di un significato ancor più provocatorio nei riguardi di un Dio apparentemente ingiusto, ecco, il primo brano, ripeto, potrebbe sembrare l’anticipo di un’assurda rassegnazione davanti al Mistero oscuro di un Dio, che sembra quasi divertirsi a far star male i giusti, i più puri nello spirito, mortificandoli perfino nel diritto a non essere privati della loro rettitudine morale.
E allora sembra che non rimanga che questa risposta: «Nudo uscii dal grembo di mia madre, e nudo vi ritornerò. Il Signore ha dato, il Signore ha tolto, sia benedetto il nome del Signore!».
Ma ecco la domanda: è proprio questo il messaggio del libro di Giobbe?
Anzitutto, vorrei premettere qualche accenno sulla importanza del testo anche dal punto di vista letterario, un vero capolavoro, scritto non si sa da chi, qualcuno pensa a un lavoro a più mani, svoltosi in un lungo periodo di tempo, probabilmente tra il V e la seconda metà del II secolo a.C.
Sarei tentato di citare alcune testimonianze. Ne prendo due. Anzitutto quella del filosofo danese Søren Kierkegaard: «Se non avessi Giobbe! Io non lo leggo con gli occhi come si legge un altro libro, me lo metto per così dire sul cuore… Come il bambino che mette il libro sotto il cuscino per essere certo di non aver dimenticato la sua lezione quando al mattino si sveglia, così la notte mi porto a letto il libro di Giobbe. Ogni sua parola è cibo, vestimento e balsamo per la mia povera anima».
La seconda testimonianza è di un poeta francese, Alphonse De Lamartine: «Ho letto oggi tutto il libro di Giobbe. Non è la voce di un uomo, è la voce di un tempo. L’accento viene dal più profondo dei secoli ed è il primo e ultimo vagito dell’anima, di ogni anima… queste pagine sono la voce dell’umanità».
Il libro di Giobbe è stato commentato dai più grandi scrittori e santi della Chiesa. Il lavoro più monumentale è quello di Papa Gregorio Magno, della fine del VI secolo d.C. Si tratta di 35 libri raccolti in 6 volumi.
La trama del “Libro di Giobbe” è molto semplice: è la vita di un uomo ricco, onesto, un uomo che vive nella terra di Uz, fuori dalla Palestina e che appare un esempio di vita perfetta, sia dal punto di vista religioso che dal punto di vista umano. Il Satana, però, mette in dubbio la sua virtù, non è convinto che la religiosità di Giobbe sia autentica, così ottiene da Dio il potere di metterla alla prova: Giobbe deve perdere tutto quello che possiede, tutto, anche i propri figli. Ciò nonostante, narrano i primi capitoli, Giobbe non viene meno alla sua fede. Ha alcuni amici, che vengono a consolarlo, ma arrivati da lui non riescono a dire una parola, tanto la sua sofferenza è grande. Poi incomincia un dialogo, nel quale gli amici cercano di convincere Giobbe che c’è un motivo per la sua sofferenza: se Dio lo ha colpito in modo così grave, Giobbe deve avere una qualche responsabilità, deve avere un qualche peccato.
Ma Giobbe non è convinto, anzi è convinto della propria giustizia e chiede conto a Dio e Dio risponde, si pone davanti a lui sottoponendolo a una serie di interrogativi, ai quali Giobbe non è in grado di rispondere, per cui è costretto, al termine di questo confronto con Dio, a riconoscere la propria piccolezza e a rinnovare la sua fiducia in Dio.
Ci sono due immagini del protagonista in questo libro: c’è naturalmente l’immagine del Giobbe paziente; nei primi due capitoli egli esprime una fede e una pazienza incrollabili; tutte le esperienze di sofferenza, che gli cadono addosso, non piegano di un millimetro la sua adesione al Signore. Ma poi, nel corso del libro, emerge gradualmente la figura del Giobbe “impaziente”, del Giobbe che, in mezzo alle sofferenze, si rivolge a Dio con durezza chiamandolo in causa, proclamando la propria innocenza, accusandolo di un comportamento incomprensibile e ingiusto.
Il noto esegeta Gianfranco Ravasi chiarisce come il libro di Giobbe non spieghi affatto l’esistenza del male, ma ribadisca il mistero, motivandolo con l’infinita distanza fra la mente di Dio e la debole razionalità dell’uomo. Una conclusione che potrebbe sembrare deludente, ma sempre meno del dibattito suscitato dagli amici del protagonista, che riproduce due teorie del male tanto radicate a quel tempo quanto inumane e assurde, come quella della “retribuzione” (l’uomo soffre perché pecca) e quella “pedagogica” (l’uomo soffre per purificarsi).
Chiariamo. Al termine del lungo discorso di Dio, Giobbe pronuncia la sua frase in assoluto la più importante. È l’autentica “ultima parola” dell’autore, che spiega in sintesi che cosa il libro intende sostenere. Dice Giobbe: «Io ti conoscevo solo per sentito dire, ora i miei occhi ti vedono. Per questo mi ritratto e mi pento sopra la polvere e la cenere» (42,5-6).
Giobbe sostiene di essersi comportato fino a quel momento come i suoi amici, avendo anch’egli parlato “per sentito dire”. Anch’egli, come gli amici, desiderava che Dio intervenisse in modo conforme allo schema del proprio ragionamento: se era innocente, perché doveva essere punito? Inconsciamente, Giobbe ragionava come gli amici, voleva che Dio si comportasse razionalmente. Ma Dio gli ha presentato un altro modo di leggere tutta la realtà; ciò è avvenuto senza mediazioni, attraverso un’esperienza di fede diretta, mistica, una visione nella quale Dio ha incontrato Giobbe e gli ha parlato.
Dio non tenta di dimostrare a Giobbe come l’esperienza del male possa coesistere con l’essere e il senso; ma gli dice che questo incastro del male con l’essere esiste.
Nel mondo ci sono caos ed essere, tenebra e luce, non senso e senso, animali strani e animali utili, tutti insieme all’interno di un disegno, che non è comprensibile con la ragione umana. È un disegno che può essere colto solo per via mistica.
Il poeta biblico è convinto che di fronte al terribile e costante scandalo del male non possiamo aggrapparci a ragionamenti filosofici o teologici: esiste una intelligenza superiore, un disegno di Dio che riesce a contenere al suo interno ciò che per l’uomo sembra uscire da ogni progetto.
Ma si tratta di un’armonia reale, che si coglie soltanto attraverso la rivelazione. E la rivelazione è un dono divino che avviene attraverso l’incontro di fede: l’incontro mistico.
Questa omelia, a mio parere ispirata per come è efficace e ordinata, apre veramente altri scenari. Quanto detto appare conosciuto dal sentire e prima ancora di essere ascoltato.