5 marzo 2023: SECONDA DI QUARESIMA
Es 20,2-24; Ef 1,15-23; Gv 4,5-42
Ci sono periodi dell’anno liturgico – pensiamo all’Avvento e alla Quaresima, chiamati due momenti “forti“, nel senso di viverli intensamente nella Fede più genuina – in cui i brani della Messa sono stati accuratamente scelti per offrire spunti stimolanti e anche provocatori per scuotere le coscienze o quel modo di essere credenti che vivono oramai di stanchezza, quasi nauseati appena aprono gli occhi quando si alzano al mattino.
Ma perché la parola di Dio sia di stimolo provocatorio andrebbe letta e riletta alla luce di quello Spirito, che è l’ispirazione di ogni parola contenuta nella Bibbia, per evitare che la parola cartacea predomini sulla parola vivente, che parla nello Spirito.
Ed è per questo che talora contesto la scelta liturgica di certi brani scritturistici o, meglio, non sono d’accordo nell’accostarli tra di loro, con lo scopo che l’uno aiuti a comprendere meglio l’altro; e, per il fatto che il primo brano è quasi sempre tolto dai libri solitamente profetici dell’Antico Testamento può nascere almeno un dubbio che a illuminare il Nuovo Testamento sia il Vecchio, anche se Gesù è stato chiaro: le antiche profezie sono una conferma del messaggio evangelico, che è già “in nuce”, letteralmente “in una noce”, ovvero “in embrione”, “potenzialmente” presente nelle profezie antiche: giustamente gli esegeti parlando di “senso pieno” delle profezie, che si coglie solo nella loro realizzazione, che si effettua mano man nel tempo, sempre alla luce interiore dello Spirito santo; il che significa che gli stessi profeti, antichi e anche moderni, annunciando certe profezie, non capivano e non capiscono del tutto il loro senso pieno, ma solo qualcosa.
Attenzione, dunque: il Nuovo Testamento non va letto alla luce delle antiche profezie, ma i testi degli antichi profeti andrebbero letti alla lice del Nuovo Testamento.
Ho fatto questa lunga premessa, per qualche motivo? Anzitutto, è sempre utile per non dire doveroso chiarire le cose, soprattutto oggi che, a differenza di un tempo in cui c’era un’organica catechesi per piccoli e per grandi, è rimasto solo l’omelia, che (in questo ha ragione il papa), non deve essere una catechesi o una conferenza teologica; e, come secondo motivo, perché oggi la liturgia ha scelto tre brani, che pongono qualche problema, se dovessimo soffermarci in particolare sul terzo brano, e come primo, che anticipa gli altri, quasi fosse una premessa chiarificatrice, troviamo il decalogo mosaico quasi a imporre una rilettura in senso moralistico del dialogo di Gesù con la donna di Samaria, concentrando tutto il racconto su un aspetto davvero minimo, che tocca la vita morale di quella donna: un aspetto che è servito a Gesù solo come alibi per allargare il discorso sulla grazia e sullo spirito. Ed è qui il cuore dell’incontro: la grazia e lo spirito.
Prima, un altro chiarimento. Non dimentichiamo che il racconto dell’Incontro di Gesù con la samaritana è del quarto Vangelo, che, a differenza dei Vangeli cosiddetti sinottici (Marco, Matteo e Luca), è la rilettura più approfondita, in senso teologico/mistico, della Buona o Bella Notizia. È vero che anche gli altri tre Vangeli non sono solo delle narrazioni, ma hanno giù un taglio più aderente al Vangelo, che va al di là di una pura cronaca, ma il Vangelo di Giovanni, scritto tra l’altro verso la fine del primo secolo, quindi anni e anni dopo la stesura dei tre sinottici, tradisce una rilettura di una assemblea più matura, cresciuta in un contesto meno istituzionale.
In breve, il quarto Vangelo è differente dagli altri tre, non solo per la scelta dei contenuti, “fatti e detti di Gesù”, ma per la loro interpretazione non solo allegorica, ma profondamente teologico/mistica: ad esempio, Matteo, Marco e Luca dicono che Gesù ha riaperto gli occhi ai ciechi, Giovanni che cosa fa? Prende uno dei tanti miracoli, e lo descrive in lungo e in largo, passando dalla cecità fisica (quel determinato cieco) alla cecità spirituale (dei farisei), per arrivare a far capire al lettore che quel cieco dalla nascita non solo ha riavuto la visita fisica, ma anche gli occhi della fede.
Così è avvenuto per l’incontro di Gesù con la donna di Samaria, il cui racconto non lo trovate nei tre Vangeli sinottici. Ora, sarebbe davvero ridicolo rileggere questo incontro in senso moralistico, quando tutto il discorso di Gesù si concentra sull’acqua come simbolo della Grazia divina (l’acqua che zampilla per vita eterna), e tutto avviene attorno a un pozzo, un pozzo è visto come il luogo del Mistero divino: non deve scendervi tanto un secchiello fisico per prendere acqua fisica, ma il secchiello è simbolo del proprio essere che deve scendere nel Pozzo, visto come il Mistero divino. In altre parole, Gesù invita quella donna, eretica in quanto samaritana e moralmente non a posto, a scendere nel Pozzo, per attingervi l’acqua eterna, che è la Grazia divina.
E poi il discorso di Gesù si allarga non sulla morale o sul decalogo, ma sul mondo dello Spirito, che fa saltare ogni struttura materiale e ogni legge carnale, con una affermazione davvero paradossale a quei tempi, e forse anche oggi: «Viene l’ora – ed è questa – in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità».
Notate subito: Gesù parla di un’ora, che non è x, ma specifica: è “questa”: oggi, non domani, questo istante, e non quello successivo.
L’ora che è quella dello Spirito. I greci antichi avevano più nomi per indicare il tempo, due in particolare: “crònos” e “kairòs”. Con “crònos” si intende il tempo fatto di secondi, minuti, ore, giornate, mesi e anni: è il tempo che passa (da “crònos” derivano i nostri termini “cronologico”, “cronometro”, ecc.). Invece con “kairòs”, termine che troviamo soprattutto nei testi greci del Nuovo Testamento, si intende il contenuto eterno del tempo, ovvero il mondo della grazia.
I Mistici medievali parlavano dell’Eterno presente, ovvero di un presente che è Eterno.
E allora, raccogliendo le parole rivoluzionarie di Gesù sullo spirito e sulla grazia, che fanno parte costitutiva del nostro rapporto con il mondo del Divino, diciamo che ogni essere umano, dunque non solo il credente che fa parte di una religione più o meno “istituzionale”, vive sì “in” un tempo che è “crònos”, tempo che passa, ma vive “di” un tempo che è fuori del tempo che passa, perché vive il “kairòs”, che è la grazia.
Tornando all’incontro di Gesù con la donna samaritana, possiamo dire: finché tutto era un continuo andare e venire tra un villaggio e un pozzo per prendere l’acqua fisica, quella donna aveva una esistenza diciamo banale, carnale, esteriore, anche noiosa, ma quando ha capito che quel Pozzo conteneva un’acqua del tutto speciale, e che bisognava entrarci per attingere l’acqua eterna, allora il “cronòs” si è trasformato in “kairòs”, ovvero il tempo che passa diventa un presente che si fissa già nell’eternità.
È indubitabile che come corpo e come psiche ci si consuma ogni istante fino alla morte, ma potete già intuire quanto possa contare, in una esistenza fatta di precarietà anche drammatiche, vivere ogni istante come Grazia che non passa.
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