5 luglio 2020: QUINTA DOPO PENTECOSTE
Gen 11,31.32b-12,5b; Eb 11,1-2.8-16b; Lc 9,57-62
In cammino
Don Angelo Casati, prete milanese, oramai novantenne, commentando i tre brani della Messa scrive: «”In cammino”. Forse potremmo radunare i pensieri, nati in cuore ascoltando i brani delle Scritture sacre di questa domenica, dietro questa immagine: l’immagine della vita e della fede come cammino».
L’esistenza come cammino
Dire che la vita, intesa come esistenza anche fisica, sia come un cammino non ci è difficile immaginarlo. Non siamo solo gente a cui piace camminare con le gambe, almeno per chi lo può fare, percorrendo stradine per i boschi di un Parco o in montagna. Basta dire montagna, e il cuore si apre verso altitudini divine.
Purtroppo, oggi si è perso il senso del camminare, inteso come pellegrinaggio, da non intendere solo in senso religioso. Dire sacro è già diverso, perché tutto è sacro, perché la creazione è sacra in sé in quanto immagine divina, la Natura è sacra in quanto è sempre incinta del Divino.
Non è qui il momento di contestare quella moda, oggi quasi una mania ossessiva, di camminare, magari correndo, per fare ginnastica, senza immergersi nel Divino della Natura. È una moda epidermica e irrispettosa della Natura!
Ma la nostra esistenza è un cammino da intendere nel senso che procede nel tempo che implacabilmente non concede soste.
Si nasce e si entra nell’ingranaggio del tempo che consuma, e ci consuma fino a toglierci il corpo, ma, prima del corpo, può consumarci anche l’anima e lo spirito.
Forse non è tanto il tempo in sé che procede per la sua strada, sia per i santi che per i cattivi, ma siamo noi in quanto corpo, anima e spirito che ci lasciamo stupidamente consumare dal tempo.
Nel tempo che cammina sempre in avanti, purtroppo ci lasciamo sfuggire le occasioni migliori, quelle che Dio offre a ciascuno, perché viva nel tempo, rimanendo intatto da quanti usano il tempo per compiere opere malvagie.
C’è gente, numerosa, che cammina frastornata da ciò che avviene nel tempo: cammina per modo di dire, perché è trascinata con forza dalle cose che il tempo consuma.
Forse bisognerebbe sempre distinguere tra vita e esistenza. C’è una esistenza che è senza vita interiore, e c’è la vita interiore che sa dare alla propria esistenza materiale un senso profondo.
Dire vita e dire spirito è la stessa cosa, e dire esistenza materiale e dire carnalità è la stessa cosa. Non si tratta di dare il primato alla vita come spirito, eliminando ciò che avviene fuori del proprio essere interiore. Anche il corpo è un dono divino, ma come mezzo, e solo come mezzo in funzione dello spirito.
Certo, purtroppo succede che il cammino dello spirito trovi ostacoli a causa della carnalità di una esistenza tutta protesa a non dare spazio al proprio essere interiore. Anche nel corpo c’è il Divino, ma si tratta di renderlo trasparente del Divino.
L’ideale sarebbe camminare nello spirito e camminare nel tempo con il corpo, ma in modo del tutto armonioso. Non è facile, ma non impossibile, dal momento che Dio è presente ovunque, anche nella materia. E se la materia si consuma, lo spirito che la anima non si consuma. Sarei tentato di continuare, ma c’è un altro aspetto importante, di cui parlava don Angelo: la fede come cammino.
La fede come cammino
Sembra che tra noi credenti ci sia un accordo comune nel dire che la fede è un cammino, deve essere un cammino. Ma poi succede che fraintendiamo sia la parola “fede” che la parola ”cammino”. Ma di quale fede vogliamo parlare?
Il primo brano parla di Abramo che, sulla fede nella parola di Dio, lascia la terra dei suoi padri, e si mette in cammino. Quasi alla cieca. E questo è importante per capire che cosa è la fede. Alla cieca non significa senza avere una meta, ma significa fidarci totalmente di Uno che ti dice: Mettiti in cammino, io ti guiderò verso una meta che ancora non conosci.
Nel secondo brano anche San Paolo parla della fede di Abramo, di Isacco, di Giacobbe e di Sara, che hanno creduto nelle promesse di Dio, anche senza vederle poi realizzate.
È interessante poi l’evangelista Luca che presenta Gesù, come se fosse sempre in cammino, un lungo interminabile cammino verso Gerusalemme, ossia verso la sua passione, morte e risurrezione. Dunque, la fede è un cammino verso il Mistero pasquale.
Già penso di averlo detto, e anche ridetto, che i primi seguaci del Cristo erano chiamati con diversi nomi: “fratelli”, “santi” (nel senso di consacrati al Cristo e al suo servizio), e “cristiani” (chiamati così dai pagani di Antochia). Ma troviamo, sempre nel libro “Atti degli apostoli”, che i cristiani venivano anche chiamati “quelli della Via”. In greco c’è il termine “odòs”, che vuol dire appunto strada, via, e non dottrina, come veniva tradotto prima dell’ultima versione della Bibbia.
Il Cristianesimo veniva inizialmente chiamato la Via. In che senso? Certo, un cammino verso la Pasqua. Qui chiariamo subito una cosa. Si sente ancora parlare di Cristianesimo umano o di umanesimo cristiano (in quest’ultimo caso sarebbe azzardato dirlo). Il Cristianesimo in ogni caso porta dove? Non tanto a rendere il mondo migliore, rendendolo cioè più umano. Il Cristianesimo, che è la Buona Novella di Cristo, è la Via che ci conduce verso il nostro interno. Cristo non è venuto per rendere la società più giusta, più solidale, più buona, più caritatevole. Sarebbe stata una illusione. La giustizia, la solidarietà, la bontà, l’amore, se non provengono dal nostro interiore, durerebbero poco. Non si tratta di cambiare qualcosa di “questa” società, ma di far scoprire all’uomo o donna di qualsiasi epoca qual è la sua vera nobiltà d’animo.
Sì, si deve parlare anche e soprattutto di cammino interiore, perché, quando si rientra in sé, si trova di tutto: c’è tanta robaccia da eliminare, che entra tramite l’Ego da una società alienata e alienante. Ma non si tratta solo di distaccarci da tutto ciò che è carnale. La Mistica è un cammino interiore verso il fondo del pozzo, dove c’è l’acqua dissetante per la vita eterna, o verso la montagna, altra immagine del Divino che è sì inaccessibile per un verso, ma sempre disponibile a generare nel nostro essere il Figlio di Dio, così da essere anche noi figli di Dio.
Il cammino interiore è il cammino di una vita. E’ il cammino alla ricerca della verità. E’ il cammino che ci libera da idoli materiali per accedere ad una gioia vera, profonda.
Amo il brano del padre misericordioso quando san Luca dice: “tornò in se”. Quel figlio ingannato da una vita mondana, schiavo della sua presunzione, del suo egoismo ad un certo punto “torna in se”.
Mi sembra di vedere questo ragazzo che metaforicamente ma anche concretamente, ricomincia a scavare dentro di se ritrovando quei valori impressi nel suo DNA.
Potremmo parlare di conversione e gli elementi ci sono tutti: la solitudine e la povertà.
Era solo, nudo, senza niente da mangiare. Sì per convertirsi è indispensabile spogliarsi di ciò che è ostacolo per la vita.
Spogliare il cuore da vizi e mondanità.
Questo passaggio permette di scendere all’interno, di camminare nell’animo per vivere l’incontro..
E la pericope ci mostra gli effetti di questa conversione: il tesoro.
Il brano mi emoziona quando il Padre chiede ai servi il vestito più bello, i sandali, l’anello!
Come a dire che c’è un premio per chi si converte; c’è una dignità che ci avvolge.
Il premio di una vita felice, completa.
Il premio di una dignità finalmente ritrovata.
Non è un premio materiale…
E’ questo il cammino in un mondo materiale; in un mondo dove ogni gesto è un post, uno slogan.
Tornare in se per vivere un incontro….l’incontro capace di cambiarci la vita! L’incontro capace di orientare il nostro cammino.