Omelie 2023 di don Giorgio: EPIFANIA DEL SIGNORE

6 gennaio 2023: EPIFANIA DEL SIGNORE
Is 60,1-6; Tt 2,11-3,2; Mt 2,1-12
Non vorrei soffermarmi troppo su alcune premesse, ma già queste potrebbero essere uno stimolo per pensare e riflettere: riflettere è pensare tornando e ritornando sul pensiero che così si sviluppa nel meglio.
Vorrei subito dire che la Festività della Epifania, che ricorda l’episodio dell’adorazione dei Magi, risale ai primi secoli della Chiesa, già celebrata dagli antichi cristiani d’Egitto verso il 120 d.C., forse poi connessa addirittura ai riti propiziatori celtici del VII secolo a.C.
La cosa veramente paradossale è stato quando con il Governo III Andreotti (cattolicissimo), nel 1977, insieme ad altre festività religiose (San Giuseppe, Ascensione, Corpus Domini, Santi Pietro e Paolo), e anche a due feste civili (Festa della Repubblica, 2 giugno, e dell’Unità Nazionale, ex Festa della Vittoria della prima guerra mondiale, 4 novembre), anche l’Epifania venne abolita e spostata dalla Chiesa la domenica successiva. Si giustificavano questi tagli, dando la colpa a una grave crisi economica che aveva colpito anche l’Italia, per cui gli Italiani dovevano lavorare di più. Qualcuno, forse malignamente, aveva pensato che la vera causa della soppressione dell’Epifania fosse stata una sorta di “damnatio memoriae” della Befana fascista. Successivamente, dopo solo otto anni, precisamente nel 1985, il Governo Craxi (socialista) ripristinerà l’Epifania, in attuazione dell’intesa con la Santa Sede per i nuovi Patti Lateranensi. Ma passò l’idea che la Festa fosse stata ripristinata come “della Befana”.
È importante sottolineare queste cose, perché sta qui l’origine di quella dissacrazione delle nostre festività cristiane, senza tuttavia dimenticare che anche noi credenti abbiamo “cristianizzato” alcune feste pagane (basterebbe pensare al 25 di dicembre, anticamente festa pagana del “Sole invincibile”).
Poi tutto torna come prima, ovvero si sente l’esigenza di ricuperare la Festa nella sua autenticità più originale. Ma, mentre i pagani facilmente si riprendono le loro feste, noi cristiani fatichiamo a ricuperare le nostre, perché nel frattempo tutto è diventato pagano.
Ma vorrei farvi notare un’altra cosa. L’etimologia della parola befana è da ricondursi al greco “epifáneia”, a sua volta da epifàino, che significa mostrarsi, presentarsi.
Col passare del tempo, attraverso un processo di “corruzione lessicale” la parola “epifania” venne modificata in bifanìa, befanìa, befana. La befana è un personaggio di fantasia legato al folklore popolare, derivato probabilmente da antichi riti pagani propiziatori legati all’agricoltura ed ai cicli stagionali.
Dunque, la parola “epifania” significa “manifestazione”, “rivelazione”. E allora è anzitutto essenziale togliere il velo anche al racconto evangelico. Che significa che dobbiamo togliere i veli? Tutti gli anni sono quasi costretto a premettere che l’episodio dei magi (tra parentesi, l’unico a parlarne è l’evangelista Matteo) non andrebbe letto alla lettera come se fosse un fatto storico, ma come una allegoria, bellissima proprio perché allegoria, o, meglio, usando una parola ebraica, andrebbe letto come un “midrash”, una specie di parabola ricostruita sulle profezie antiche.
Non si tratta dunque di una semplice parabola, ma di qualcosa di più, per cui anche i particolari hanno una loro importanza, anche se soggetti a diverse interpretazioni sempre nel campo allegorico.
Diciamo che il racconto di Matteo è ricco di varie simbologie: pensate all’oriente da dove provengono i magi, pensate ai magi, pensate alla cometa, pensate alla città di Gerusalemme, pensate a Erode, pensate ai sommi sacerdoti, pensate ai doni, al ritorno per un’altra strada.
Per non ripetermi, non vorrei tanto soffermarmi sul brano dei Magi, ma rileggerlo alla luce del primo brano, che fa parte del cosiddetto Terzo Isaia, un anonimo profeta che è vissuto dopo il ritorno dall’esilio babilonese, durante la ricostruzione del Tempio di Gerusalemme distrutto dai Babilonesi nel 586 a.C., e negli anni successivi (dal 520 a.C. in poi).
Nei primi sei versetti del capitolo 60 (fanno parte del primo brano della Messa di oggi) il profeta anonimo si rivolge alla città di Gerusalemme, come se fosse una persona, invitandola ad alzarsi e a rivestirsi di luce. Chiariamo. Gerusalemme è quell’Ideale a cui tutti i popoli si rivolgono e si dirigono in un cammino nella luce e nella gioia.
Già il profeta Isaia, quello classico, vissuto nell’VIII secolo a.C., quindi due secoli prima, aveva parlato di un monte di Sion che attira a sé una processione di popoli da ogni angolo della terra. Da esso si sprigiona una luce che rischiara le tenebre perché là hanno sede la presenza di Dio, la sua legge e la sua Parola.
Ecco: le nazioni, giunte a Sion (Gerusalemme), lasciano cadere dalle mani le armi che si convertono in strumenti pacifici per il lavoro dell’uomo: le spade vengono forgiate in aratri, le lance in falci. L’inno si conclude con l’appello caratteristico dei pellegrinaggi alla città santa e al tempio: “Venite, camminiamo alla luce del Signore”.
Nel brano di oggi si evidenzia che il cammino verso Gerusalemme sarà nella luce, e la luce è segno di vita, di prosperità e di salvezza, e per questo la vita futura è immaginata come assenza di tenebra e superamento dell’alternarsi di notte e giorno stabilito da Dio nella creazione.
Leggiamo gli ultimi versetti del capitolo 60: «Il sole non sarà più la tua luce di giorno, né ti illuminerà più lo splendore della luna. Ma il Signore sarà per te luce eterna, il tuo Dio sarà il tuo splendore. Il tuo sole non tramonterà più né la tua luna si dileguerà, perché il Signore sarà per te luce eterna; saranno finiti i giorni del tuo lutto. Nel tuo popolo tutti saranno giusti e possederanno la terra per sempre: è il germoglio che io ho piantato, l’opera delle mie mani, per manifestare la mia gloria. Il più piccolo diventerà un migliaio, il più insignificante un’immensa nazione; io sono il Signore: a suo tempo, lo farò rapidamente».
Dite quello che volete, ma credo che abbiamo bisogno di riascoltare queste profezie, soprattutto in momenti bui come questo che stiamo subendo, per evitare di farci prendere dalla disperazione. Certo, la massa troverà sempre il modo di sopravvivere, qualche scappatoia, qualche rifugio in cui rintanarsi, ma non è certo il mio modo di pensare e di comportarsi.
Bisogna vivere di qualche sogno, soprattutto se si tratta del Sogno di Dio, il Giorno eterno.
E chi non sente anche il bisogno di farsi portare in braccio, secondo le parole del profeta: “Le tue figlie sono portate in braccio”.
La gente di oggi ha bisogno di sentirsi dire: “Cammina alla luce di Dio, perché Dio stesso ti porterà in grembo”.

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