Omelie 2024 di don Giorgio: EPIFANIA DEL SIGNORE

6 gennaio 2024: EPIFANIA DEL SIGNORE
Is 60,1-6; It 2,11-3,2; Mt 2,2-12
Il nome “epifania” dice già tutto, invitandoci a “leggere”, ovvero a “meditare” su un episodio, comunque lo si interpreti, storicamente o solo simbolicamente, alla luce del Mistero divino.
Epifania è un termine greco che significa “manifestazione”, “rivelazione”. Una parola che ha una lunga storia, in ambito religioso. Le epifanie nell’antica Grecia erano le feste dedicate a una particolare divinità, durante le quali la divinità si manifestava anche solo nel nàos, ovvero nella parte più interna, segreta e solitamente inaccessibile, del tempio greco classico, in cui veniva custodita la statua della divinità. Dopo che il Cristianesimo si fu installato sulle precedenti liturgie pagane, fu una sola l’epifania a restare, quella di Cristo, con un chiaro assestamento durante il IV secolo.
Questa celebrazione, che ricorre il 6 gennaio, ricorda la prima manifestazione “pubblica” di Cristo, con l’omaggio che gli fu reso dai cosiddetti re Magi.
Una curiosità. La parola “befana” è la corruzione/storpiatura lessicale del termine epifania: bifanìa, befanìa. Come vedete, basta poco a cambiare non solo un termine, ma lo stesso significato, con conseguenze contraddittorie. Dal sacro si va al profano più dissacrante.
Dunque, l’Epifania per noi credenti parla di luce, e di una luce che va ben oltre una manifestazione folcloristica o semplicemente rituale.
Non dobbiamo dare la colpa solo al consumismo o a quel laicismo, una forma moderna di paganesimo. Se uno ha fede, non si lascia sfruttare da nessun condizionamento. E più si vive in un contesto dissacrante più si ha bisogno di una fede genuina e purissima. I primi cristiani si ribellarono a qualsiasi contesto pagano, in nome della fede nel Cristo risorto.
Epifania, ovvero la luce che splende nelle tenebre. E di luce si parla nel primo brano della Messa: il profeta anonimo, che gli studiosi chiamano Terzo Isaia, immagina Gerusalemme come una città ideale che attira tutti i popoli per il suo splendore.
Del resto – fa capire il profeta – gli abitanti di Gerusalemme restano sempre stupiti delle aurore e dei tramonti sulla città, collocata sul monte Sion. Mentre in basso con ritardo, in mattinata, si diradano nebbia e foschia, in cima splende il sole e illumina il tempio. Questo effetto luminoso ha affascinato anche i discepoli di Gesù, provocando ammirazione.
Dunque, una città ideale che attrae per la sua luce, certo un riflesso del Dio Luce. Non credo che la liturgia abbia scelto questo brano nel giorno dell’Epifania solo per le parole del profeta: «uno stuolo di cammelli ti invaderà, dromedari di Madian e di Efa, tutti verranno da Saba, portando oro e incenso e proclamando le glorie del Signore», ma penso che l’episodio dei Magi che, guidati da una stella, raggiungono il luogo dove Gesù abitava per adorarlo, avvia un significato sì universalistico, ma in quanto i popoli stranieri sono attratti da una stella. E, al di là di ogni riferimento puramente astronomico, per forza di cose dobbiamo partire dalla Sorgente di luce che, in noi, dirada ogni tenebra, permettendoci così di scoprire la vera strada per incontrarci con il Mistero di Dio.
Scioccamente siamo rimasti per secoli e secoli in balìa di diatribe inutili come se, da una parte, quella dei credenti, fosse una questione di fede la cometa intesa in senso fisico, e dall’altra parte fosse un’ulteriore prova dell’antiscientismo biblico.
Ridicolo contrapporre tra loro la fede e la scienza, ma purtroppo succede ancora oggi quando fondamentalisti da una parte e dall’altra (ciechi e ottusi anche certi scienziati moderni o quanti si dicono atei e credono di dettar legge a tutti in nome del loro dio fantoccio) sembrano scannarsi su qualcosa di puramente fisico.
Dunque, smettiamola di intendere la cometa in senso fisico, perché, e allora diciamolo apertamente, tutti gli esegeti oramai concordano nel dire che il racconto dei Magi è una specie di bella favola, e che andrebbe letta e commentata in tutta la sua ricchissima simbologia.
Un racconto storico solitamente è freddo, ed è soggetto al tempo che man mano lo corrode anche nella memoria, in altre parole non attrae come un mito o un racconto simbolico o allegorico: pensiamo al mito della creazione e alle parabole di Gesù.
E allora, letta così la pagina di Matteo, se dovessi dire qual è il cuore del racconto, anche d’intinto dico che è la stella. Sì, è importante anche soffermarci sull’oriente da dove provengono i magi, curioso è anche sapere quanti fossero e chi fossero i magi, importante anche riflettere sulle difficoltà da loro incontrate (quando entrano in città, e chiedono spiegazioni ai saggi), importanti anche i doni dei magi, e importante l’adorazione del Bambino speciale. Ma senza quella stella o cometa quei misteriosi personaggi non sarebbero arrivati alla casa di Gesù.
Dunque, una stella. E che cosa potrebbe significare? Dico “potrebbe”, perché non sono mai d’accordo con quanti vorrebbero darci spiegazioni e significati definitivi. Se oggi siamo qui a meditare sulla pagina di Matteo è perché ancora oggi ha qualcosa di nuovo da dirci, soprattutto perché, quando si entra nel mondo simbolico o allegorico o mitico, ci si trova di fronte a una infinità di sorprese. È un po’ il difetto anche di noi preti – un difetto imperdonabile, visto che dovremmo vivere di Parola di Dio – che ripetiamo le stesso cose, sì magari stando al passo dei tempi, ma restando in modo del tutto esteriore, come se bastasse dire la nostra sui problemi esistenziali della gente, che non sono pochi, ma che resteranno sempre insoluti, anzi si aggraveranno se non abbiamo il coraggio di affrontarli da un altro punto di vista. Siamo sempre al solito discorso: bisogna rientrare in noi stessi, e, dentro di noi, scoprire quella luce, diciamo stella, diciamo scintilla divina, che basta – è una scintilla sì, ma dell’Intelletto divino – per dare una svolta radicale al nostro modo di vivere, in un mondo che, proprio perché immerso nelle tenebre, ha bisogno di mille, di migliaia, di milioni di comete interiori.
E se dobbiamo dare un senso anche alla parola “oriente”, allora intendiamo l’oriente nel suo significato etimologico di “là dove sorge il sole”. Il sole che sorge indica di per sé l’alba, e non il giorno pieno, quando il sole picchia forte.
Ma siccome ogni giorno inizia con l’alba e finisce col tramonto, ciò che importa è sempre l’inizio, l’alba, da cui ripartire. Ovvero si riparte sempre dall’oriente, “là dove sorge il sole”. E, ripeto, all’alba il sole non è forte come in pieno giorno: sembra quasi timido per rispettare il venir meno di una notte, piena di lucenti comete.
Ad ogni alba, facciamoci coraggio, dicendo subito al Signore: “Tu sei la mia luce, risplendi nel mio essere più profondo, solo così potrò affrontare un’altra giornata, di fatiche e di miserie, tenendo accuratamente protetta la tua scintilla dal potere del maligno”.

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