6 marzo 2016: QUARTA DI QUARESIMA
Es 17,1-11; 1Ts 5,1-11; Gv 9,1-38b
“Dal punto di vista…”
Solitamente diciamo: “dal punto di vista di…», oppure: “quella certa visuale…». Sì, è vero, è tutta una questione di vista. Questo per dire quanto gli occhi siano importanti. Non solo gli occhi fisici, ma soprattutto gli occhi della mente, o gli occhi del cuore. Ma c’è soprattutto la vista dell’essere.
Gesù “vede”
Leggendo e commentando il brano di Giovanni, capitolo 9, versetti 1-38b, viene spontaneo dire: “Tutto dipende dalla vista”. Gesù “vede” un cieco mendicare ai bordi della strada: a quei tempi, chi aveva qualche difetto fisico era emarginato dalla società, per cui per sopravvivere doveva chiedere l’elemosina. Sì, Gesù lo “vede”, a differenza di altri passanti. Il verbo “vedere” è presente nei Vangeli a indicare l’attenzione di Gesù, a cui non sfugge nulla. Anche il samaritano “vede” il malcapitato vittima dei briganti, a differenza del levita e del sacerdote che non “vedono”, e oltrepassano.
Differenza tra “vedere” e “guardare”
Qualcuno giustamente fa osservare la differenza tra “vedere” e “guardare”. Vedere implica un atteggiamento più profondo del semplice guardare. Vedere è partecipare dal di dentro, guardare è solo osservare freddamente o per abitudine una cosa. Vedere mette in moto l’essere, guardare mette in moto i sensi.
Quando si parla di pathos, pensiamo al cuore che vede e partecipa al soffrire dell’altro. Vedere, dunque, va al di là di un semplice sguardo.
Ecco perché è tutta una questione di vista, ma di vista interiore. Gli sguardi sono momentanei, fugaci, se ne vanno. La vista si sofferma, pone un problema, cerca di risolverlo.
Gesù “vede” il cieco
Gesù, dunque, “vede” il cieco. C’è un primo dialogo con i discepoli, i quali gli chiedono se quella cecità sia dovuta ad una colpa dei genitori, secondo la concezione di quei tempi. Gesù dà una risposta secca, ponendo il problema su un altro punto “di vista”. La vista comincia a schiarirsi. I genitori non c’entrano nulla, quando hanno concepito il figlio cieco. C’entreranno dopo la sua nascita, perché lo scarteranno. Faranno di tutto per “non vederlo”.
E il cieco “vede”, con gli occhi fisici e con gli occhi interiori
Poi Gesù compie un gesto del tutto strano per noi moderni: sputa per terra, fa del fango, lo spalma sugli occhi di quel cieco e gli ordina di andare a lavarsi alla piscina di Siloe. Forse c’è anche dell’ironia: Gesù osserva il rituale giudaico, ma nello stesso tempo non osserva il sabato. Il cieco obbedisce e riacquista la vista fisica. E da qui inizia un doloroso cammino per un’altra vista: quella interiore. Un cammino progressivo, direttamente proporzionale al cammino a ritroso dei capi giudei, mentre la folla, i parenti e gli amici fingono di “non vedere”, per non essere scomunicati.
Mentre la vista dei capi si annebbia
La vista del cieco si perfeziona, mentre la vista dei capi si annebbia. In realtà, era già stata annebbiata da secoli di una religione ottusa. Ma quando l’ottusità diventa ideologia, presunzione, orgoglio, potere, non c’è più scampo per nessuno e nemmeno per la religione. Allora, per salvarsi bisogna uscire, un’altra volta emarginati, ma stavolta non si è più in balia di un mondo cieco per pregiudizi. Cristo ci aspetta: la salvezza ci aspetta. E Cristo non ci rimetterà in una società di ciechi, ma ci porterà nel mondo della “normalità” dell’essere.
Ci si chiede da millenni: chi è in realtà il vedente o il non vedente? Chi è il normale o l’anormale? Forse dovremmo renderci conto che, se qualcosa non funziona, è perché abbiamo perso la conoscenza della realtà. La realtà è al di là della nostra visuale che, più che corta, è indirizzata altrove, completamente sfasata, fuori rotta.
Sì, è tutta questione di vista. Se andassimo dall’oculista della mente e umilmente ci facessimo curare, forse qualche speranza ci resterebbe ancora. Dico forse. Qualche dubbio ce l’avrei.
La massa sarà sempre alla mercé di leader ciechi e ottusi. I profeti, coloro che vedono la realtà, tanto lucidamente da essere giudicati folli, saranno sempre pochi, isolati, condannati dal potere e dalla massa.
Eppure basterebbe poco: imparare a “vedere” ogni giorno qualcosa del mondo che ci sta attorno; un mondo di cose e di persone, ferito da sguardi indiscreti, talora sciocchi, talora criminali.
Ma dobbiamo scendere dentro di noi, là dove gli occhi lasciano il posto all’essere più puro. Ma forse ci piace restare in un mondo a noi estraneo, estranei come siamo a noi stessi.
Occhi aperti o chiusi?
Don Angelo Casati commenta il Vangelo partendo dal brano di San Paolo. Così scrive: «Come oggi invitava Paolo nella lettera ai Tessalonicesi: “State con gli occhi aperti e non con gli occhi della notte, occhi assonnati: se siete addormentati, vi entra in casa indisturbato il ladro, senza che ve ne accorgiate”. Per qualche aspetto il monito di Paolo ci tocca. Perché la sensazione che a volte proviamo, leggendo la storia di questi ultimi anni, è proprio questa: per un sonno della ragione e per un sonno della fede, pezzo dopo pezzo siamo stati derubati, con il risultato che oggi ci troviamo ad osservare con occhi tristi non pochi segni di sfascio di umanità, in noi stessi e nelle istituzioni. Gli occhi erano di sonno, del sonno della notte». Passando al brano del Vangelo, don Casati continua: «Ma vorrei abbandonare la visione triste dell’accecamento, per dire invece la gioia che prende il cuore assistendo nel racconto all’espansione stupefacente della personalità di quel cieco. Di pari passo con il crescere della luce nei suoi occhi ecco il crescere della sua libertà e franchezza fino a tener testa a quella sacra – poco sacra! – inquisizione, una libertà e una franchezza che lo portano fino alle soglie di una sottile ironia nei confronti delle autorità religiose. Una connessione, questa, tra illuminazione e libertà, tra illuminazione e franchezza che dovrebbe farci pensare: esse crescono insieme o si perdono insieme. Il venir meno nella nostra vita di uno stile di franchezza e di libertà non sarà forse un sintomo, sintomo preoccupante, del venir meno della luce di Cristo nei nostri occhi?».
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