Angelo Scola ha saputo mettere insieme Il Sovrano Militare Ordine di Malta, JoseMaría Escrivá de Balaguer e il cardinale Carlo Maria Martini
In pochi giorni, il cardinale Angelo Scola, arcivescovo di Milano, è riuscito a mettere insieme Il Sovrano Militare Ordine di Malta, JoseMaría Escrivá de Balaguer, fondatore dell’Opus Dei e, infine, il cardinale Carlo Maria Martini.
Per una simile operazione occorreva una capacità notevole di duttilità e di adattamento. Segno che, almeno in questo, Scola si distingue. Ma com’era il suo animo, quando parlava dell’uno o dell’altro?
Penso che sul Sovrano Militare Ordine di Malta e sul Fondatore dell’Opus Dei, Scola non abbia trovato delle difficoltà. Le difficoltà le ha invece avute, quando ha dovuto affrontare la figura del suo predecessore, Carlo Maria Martini. Guardate e ascoltate i tre video, e poi datemi un giudizio.
Su Martini, Scola ha dribblato volentieri, parlando di tutt’altro. Era in difficoltà, a disagio, anche solo nominando il nome Martini. Poteva anche evitare di accennare a ciò che Martini gli avrebbe detto “in confidenza”. Certo, anche Martini avrà avuto momenti di timore, all’inizio del suo ministero a Milano, ma non nel modo come ha rivelato Scola. Scola, forse, avrebbe dovuto accorgersi subito che la sua nomina come vescovo di Milano era del tutto “inopportuna”, e non tanto per le “dicerie”, come le chiama lui, ma per una serie di fatti che poi si sono rivelati veri.
Certo, Martini va inserito nel suo tempo, anche se il suo messaggio è tuttora vivo (non si può vivere solo di Martini!), ma ora la Diocesi milanese ha urgente bisogno di un ricambio, e non bisogna aspettare il 2016. Scola se ne deve andare entro il Natale di quest’anno. È per il bene della Chiesa locale.
I preti non lo sopportano più, ma lui crede di farcela ancora, anche perché è illuso dai quattro mammalucchi che lo circondano.
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dal sito della Diocesi di Milano
Sovrano Ordine di MaltaScola ha saputo mettere insieme
Scola:
«Coltivate il risorgimento dell’uomo e della società»
Presiedendo la Celebrazione eucaristica per il Sovrano Militare Ordine di Malta nella basilica di Santa Maria della Passione, l’Arcivescovo ha richiamato il valore di una chiamata personale e comunitaria al dono della vita per una scelta di solidarietà e vicinanza a chi soffre
di Annamaria BRACCINI
17.06.2015
È la nobile e bellissima basilica di Santa Maria della Passione a fare da cornice alla solenne Liturgia della Natività di San Giovanni Battista, presieduta dal cardinale Scola per il Sovrano Militare Ordine di Malta e concelebrata dal Cappellano capo, Monsignor Marco Navoni e dai Cappellani Magistrali dell’Ordine, unitamente ad altri sacerdoti.
Promossa dalla Delegazione di Lombardia del Gran Priorato di Lombardia e Venezia – che risalente al 1300, ha come competenza gli antichi Stati, compresa la Sardegna –, la Celebrazione è ricca di suggestione. Le vesti tradizionali, le insegne, i Confratelli e Consorelle, il Coro Polifonico del Corpo Italiano di Soccorso dell’Ordine di Malta, il Primo Reparto Militare dell’Ordine stesso che è Corpo Ausiliare dell’Esercito (ha per esempio preso parte alle missioni di pace in Kosovo e, ora, nel mare di Sicilia), la rappresentanza del Cisom, il saluto di benvenuto iniziale, portato dal Delegato lombardo, Guglielmo Guidobono Cavalchini, parlano di un impegno radicato nella storia e capace di rinnovarsi, con generosità, nell’oggi.
Lo sottolinea il Cardinale, esprimendo gratitudine «per avere la possibilità di celebrare la festa del vostro grande patrono, appunto il Precursore». Le letture, con il Vangelo di Luca al capitolo 1, sono il riferimento costante dell’Arcivescovo, nel richiamo ai concetti di elezione e di vocazione.
«La Liturgia della Parola – spiega, infatti – esplica l’iniziativa di Dio per ogni uomo e dice l’intima e potente vicinanza di Colui, che è Altro, all’intera famiglia umana».
Una verità, questa, «sempre più dimenticata nella società contemporanea, in modo particolare nella nostra fragile Europa, poiché scordiamo che siamo degli eletti, che il dono della nostra stessa nascita e del permanere nell’esistenza, rende la vita un debito perché nessuno potrà mai autogenerarsi». Per questo, suggerisce Scola, l’io raggiunge la sua consapevolezza attraverso la vita che, essendo offerta gratuitamente, va resa e donata.
Se, dunque, l’ “elezione” è, sempre, una chiamata, essa stessa è anche in funzione di una missione, di un compito, «come ciascuno di voi che ha scelto questa strada, secondo una lunghissima ma sempre attuale tradizione – scandisce il Cardinale – , ha compreso».
Non a caso, il tema dell’elezione, della vocazione e della missione si concentrano nel nome stesso di Giovanni, in ebraico, “Dono di Dio”: Giovanni Battista, patrono dell’Ordine di Malta, capace in questa ispirazione al Precursore di Gesù, di coniugare attività concreta, come recentemente in Nepal, con un preciso principio spirituale.
Da qui, la consegna: «Ecco, carissimi, il compito di straordinaria attualità che tocca ogni cristiano e soprattutto una realtà come la vostra. Continuate con perseveranza a vivere energicamente la peculiare vocazione personale indisgiungibile da quella comunitaria».
E tutto questo «per il bene della nostra Chiesa, di quelle europee e, con le debite distinzioni, della società. Pensiamo, ad esempio, al gelo demografico che non stiamo valutando nelle sue prospettive tragiche; pensiamo alla necessità di politiche familiari più adeguate, ma ancora così lontane dai legislatori; riflettiamo sulla difficoltà di insegnare ai nostri giovani cosa sia il bell’amore».
Insomma, «occorre quel risorgimento profondo della fisionomia dell’uomo» che la nostra Chiesa richiede. Di questo ha bisogno l’Occidente – che pur volendo, etimologicamente, rimandare al tramonto – non può essere un tramonto. «Abbiamo bisogno del mandorlo, il primo ramo a fiorire ancora in inverno simbolo di primavera, citato nel Libro di Geremia».
Come a dire abbiamo bisogno di una nuova primavera del cuore e della mente, dell’azione.
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dal sito della Diocesi di Milano
Milano
Scola all’Opus Dei: «Coltivate, come
san Josemaría, la santità nel quotidiano»
Il cardinale Scola ha presieduto, in un Duomo gremito di fedeli, la celebrazione eucaristica in memoria di san JoseMaría Escrivá de Balaguer, fondatore dell’Opus Dei, a quarant’anni dalla morte. Nelle parole dell’Arcivescovo l’invito a impegnarsi per la famiglia come primario soggetto di evangelizzazione
di Annamaria BRACCINI
25.06.2015
“Pescatore di uomini”, come si dice nel Vangelo di Luca, per Pietro. Una definizione che ben si adatta a san JoseMaría Escrivá de Balaguer, per il quale, nella vigilia della sua memoria liturgica, il cardinale Scola presiede la Celebrazione Eucaristica.
In un Duomo gremito di fedeli, cooperatori, aderenti dell’Opus Dei, fondata da san Escrivá, concelebrano il vicario della Prelatura per l’Italia, don Matteo Fabbri, diversi sacerdoti, tra cui il Vescovo ausiliare, monsignor Martinelli, alcuni Vicari episcopali della Diocesi di Milano, il Moderatore Curiae e Canonici del Capitolo metropolitano.
Il saluto iniziale, portato da don Fabbri, ripercorre le attività più significative in cui sono stati impegnati, anche quest’anno, sacerdoti e laici della Prelatura, anzitutto nell’attenzione alla famiglia, nella formazione delle giovani generazioni, nella «mobilitazione educativa e sociale».
E, appunto sulla difesa e valorizzazione della famiglia, anche l’Arcivescovo invita a riflettere, con un lavoro continuo, nei luoghi della vita quotidiana, così come è nel carisma dell’Opus Dei.
«Voi tutti figli spirituali di san Josemaría, sapete come egli non si sia risparmiato nel dono di sé, nella consegna sacerdotale della sua vita perché altri uomini e donne di diversa età e di diverse culture potessero seguire con fedeltà la vocazione universale alla santità attraverso la vita ordinaria e il lavoro», sottolinea l’Arcivescovo.
Il pensiero è per «un frutto prezioso della vita» del fondatore che tornava alla Casa del Padre quarant’anni fa, il 26 giugno 1975: il beato Alvaro del Portillo, primo successore di Escrivá, beatificato a Madrid, sua città natale, lo scorso 27 settembre.
«Ho avuto occasione di conoscere e di approfondire il rapporto con don Alvaro durante l’Assemblea Ordinaria del Sinodo dei Vescovi sui fedeli laici svoltasi nel 1987. Mi ha sempre colpito la sua straordinaria acutezza umana, la sua delicata attenzione a tutti i particolari, espressione del desiderio di servire il Signore e la santa Chiesa. In occasione dell’Anno Internazionale della Famiglia proclamato dall’ONU nel 1994 e dopo la pubblicazione della Lettera alle Famiglie di san Giovanni Paolo II, don Alvaro volle scrivere a tutti gli aderenti all’Opus Dei una Lettera intitolata “La famiglia, vera scuola dell’amore”», spiega il Cardinale.
Le parole di quella Lettera sono il il filo rosso che riannoda la consegna sulla centralità della famiglia: “Com’è possibile imparare ad amare e a donarsi generosamente? Niente muove tanto ad amare, diceva san Tommaso, quanto il sapersi amati. Ed è proprio la famiglia – comunione di persone dove regna l’amore gratuito, disinteressato e generoso – il luogo dove si impara ad amare”.
«Oggi, a vent’anni di distanza, queste parole mantengono tutta la loro forza profetica e costituiscono una guida sicura per la nostra vita personale e per i lavori nella prossima Assemblea Ordinaria del Sinodo dei Vescovi sulla missione della famiglia nella Chiesa e nel mondo», continua Scola.
«La famiglia, infatti, è il primo e fondamentale soggetto di evangelizzazione, di annuncio del Cristo come avvenimento di salvezza; è la strada privilegiata perché la Chiesa riprenda decisa la via del quotidiano. La fede, infatti, si alimenta e cresce solo se penetra il tessuto ordinario, quotidiano dell’esistenza. Purtroppo il grande dramma del nostro tempo è la frattura – anche per moltissimi battezzati – tra fede e vita».
Come, allora, incarnare la fede, mostrandone la bellezza e la convenienza?
Chiara la risposta del Pastore: «Proprio la famiglia è, per ciascuno dei suoi membri, peculiare soggetto educativo e di trasmissione della fede e lo è in forza della grazia del Sacramento del matrimonio che, se assunta, trasforma sia i membri della famiglia stessa, sia tutte le loro relazioni». Da qui l’auspicio e l’invito: «Mobilitate la famiglia in quanto famiglia, nelle sue relazioni costitutive – i genitori, figli, nonni e parenti – alla testimonianza evangelica attraverso gli elementi che costituiscono l’esistenza quotidiana, gli affetti, il lavoro, il riposo, il dolore, il male fisico fino alla morte, il male morale, l’educazione, il contributo alla vita buona e giusta nella società plurale e l’edificazione di comunità ecclesiali aperte, in uscita ma dall’appartenenza forte, sottolinea significativamente l’Arcivescovo. Dilatate, come già state facendo sempre più, con naturalezza, attraverso momenti di condivisione e convivialità, questa ricchezza di vita a quanti la Provvidenza ogni giorno vi fa incontrare, perché cresca la fraternità tra persone e famiglie. È questa, insieme alla preghiera liturgica e personale, la strada maestra per la nuova evangelizzazione e il miglior modo per prepararci alla prossima Assemblea Sinodale».
Perché, come ricorda san Paolo nella Prima Lettera ai Corinti, occorre annunciare il Vangelo e questo è «l’orizzonte a cui tutti noi siamo chiamati sul lavoro, in casa, e in ogni ambito».
Un orizzonte che può far crescere «il nuovo umanesimo di cui ha urgente bisogno la nostra Milano, il Paese, tutta Europa e il mondo intero», attraverso «quella totale adesione al Vangelo che rende capaci di attuare una vera comunione di fede e di amore nella Chiesa».
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dal sito della Diocesi di Milano
Milano
Credo che, se è vera la voce che a dicembre Mons. Brambilla sarà nominato Coadiutore di Milano con diritto di successione, i novaresi ci perderebbero ma i milanesi ci guadagnerebbero anche se “nemo propheta in patria”. Ho partecipato ad una sua conferenza che ha fatto nella mia diocesi: ho ravvisato in lui la cultura di Martini e la pastoralità di Tettamanzi. Credo che la sua figura sarebbe una buona sintesi tra questi due grandi pastori ambrosiani. Comunque io non lavoro in Vaticano quindi non so se è vera la notizia di una sua imminente nomina a Coadiutore di Milano. In Piemonte la voce circola da qualche mese.
L’unico aderente all’Opus Dei che io ebbi la disgrazia di conoscere nella mia vita ( a meno che ce ne fossero altri segreti) fu il Direttore Generale della società per la quale lavoravo. Tutti i giorni a messa in Duomo con relativa Comunione e poi, dritto in azienda a silurare persone: un essere indegno!
Gli ordini con il pretesto di servire il signore fanno gli affari propri e gongolano nel potere temporale meglio essere anarchici sono meno ipocriti e si manifestano per cio’ che sono non si nascondono dietro al perbenismo
Saranno state le occasioni in cui si sono svolti gli interventi del card. Scola, ma penso che siano stati più comprensibili del solito.
Al tempo stesso, mi pare colga occasione, più per parlare di temi che potrebbero centrare fino ad un certo punto con l’occasione della celebrazione, che non per entrare nel merito dei medesimi.
O meglio, in una visione un po’ apologetica di tutti questi temi, mi pare che Scola ne faccia quasi esempio di virtù cristiana, in senso caritatevole per quanto riguarda gli ordini, nel senso di testimonianza, con riferimento a Ballaguer ed a Martini.
Ma il tutto avviene sostanzialmente decontestualizzando la realtà storica di istituzioni, movimenti e personaggi.
E così, per Escrivà si parla dell’impegno del cristiano, della sua missione, ma quale missione?
Si parla del ruolo svolto da certi ordini, in campo caritatevole e di assistenza ospedaliera, ma originariamente furono ordini militari.
Si parla di Martini, da attualizzare, già, ma quale Martini?
L’impressione è che si rimanga un po’ in superficie, senza distinguere tra realtà storica delle origini di personaggi ed istituzioni e successiva evoluzione.
Vorrei quindi cogliere l’occasione, per dire qualcosa di storico che potrà anche sembrare critico verso certe realtà, ma è la storia che ci consegna certi fatti.
Ordini: come vediamo, oggi questi ordini sono soggetti di diritto autonomi, un po’ inseriti nel diritto canonico, un po’ nell’ordinamento pubblico italiano.
Questo significa che, nati per certi scopi, se ne è voluta valorizzare poi certa opera caritatevole.
Originariamente erano soldati, appunto cavalieri, poi man mano la loro attività è andata specializzandosi, sopratutto in senso di ospitalità e di attività ospedaliera.
Ricordo ad esempio l’ordine mauriziano sabaudo, che poi per fortuna venne inserito in un mix di organizzazione privata e pubblica.
Purtroppo la gestione finanziaria non è stata delle migliori, ma sicuramente il livello di assistenza è notevole.
Nati quindi per finalità militari, ed inseriti nell’ordinamento canonico, questi ordini sono poi stati chiamati a tutt’altro.
La storia ha poi determinato una sovrapposizione tra stato e chiesa, o comunque tra ente pubblico e chiesa, visto che anche parte delle nomine rimanda all’uno e all’altra.
Direi che la trasformazione dei ruoli, almeno parziale, è stata positiva, dall’originario ordine militare, a quello finalizzato all’assistenza.
SU Escrivà storicamente i giudizi sono discorsi.
Sono riconosciuti suoi miracoli, o meglio, miracoli per sua intercessione, ma che dire dell’opus Dei?
I giudizi sono discordi.
Al di là delle finalità formali non sono ancora chiari i ruoli effettivamente svolti dall’opus Dei anche durante il periodo del franchismo.
Già il fatto di essere l’unica prelatura personale la dice lunga, una sorta di chiesa nella chiesa, ma anche il senso storico della funzione.
La testimonianza cristiana, ma quale?
Quella di svolgere un ruolo conservatore nella società?
Pare uno di quei casi in cui l’istituzione ha travalicato gli intenti del fondatore.
Probabilmente l’opus Dei non si sottrasse a tentazioni anche politiche, divenendo talora elemento di conservazione, anche reazionario, talora visto invece come elemento rischioso dalla stessa Spagna franchista, quanto meno da parte di coloro che lo vedevano come una sorta di massoneria bianca.
Probabilmente il fondatore non voleva tutto questo, ma come spesso capita, le vicende di un’istituzione che ebbe poi una certa diffusione, divergono dagli intenti e nelle diverse articolazioni, assumono anche significati opposti tra di loro.
Su Martini Scola dice effettivamente poco, tranne la necessità di attualizzarne il significato e le confidenze ricevute.
Ma io credo che abbiano ben poco in comune, proprio anche in senso umano.
Uno proteso alla ricerca di una dimensione profetica, l’altro chiuso in un dogmatismo conservatore.
Sopratutto mi è sembrato fuori luogo parlare delle cosiddette dicerie relative alla sua nomina, che non vedo cosa centrino con Martini.