Omelie 2020 di don Giorgio: II DOPO IL MARTIRIO DI S. GIOVANNI IL PRECURSORE

6 settembre 2020: II DOPO IL MARTIRIO DI S. GIOVANNI IL PRECURSORE
Is 60,16b-22; 1Cor 15,17-28; Gv 5,19-24
Premessa generale sui brani della Liturgia
Come nel caso della Messa di oggi, la Liturgia talora ci presenta brani della Bibbia che mettono in seria difficoltà non solo il credente che li ascolta, ma anche il celebrante che non sa come trarne qualche spunto per una riflessione che possa alimentare la sete di una Parola vivente in chi sente il bisogno di qualcosa di essenziale.
Che a noi preti non manchi una certa fantasia nel trarre un insegnamento soprattutto di carattere moralistico anche da una semplice virgola di un brano biblico, questo non giustifica la poca avvedutezza della Liturgia che, nella scelta dei brani, dovrebbe per lo meno tener conto di una cosa: la Bibbia (già la parola lo dice, “bibbia” significa “libri”, quindi una pluralità di scritti) è composta di 73 libri (46 per il Vecchio Testamento e 27 per il Nuovo). Perciò c’è una tale varietà di scelta che costerebbe assai poco offrirci brani che siano idonei ad una lettura sostanziosa e stimolante, come richiederebbe la Mensa della Parola, che è la prima parte della celebrazione eucaristica.
Certamente, anche oggi non avrei alcuna difficoltà a prendere una parola o una frase dai tre brani della Messa e intrattenervi anche per un’ora di riflessione.
Ma non credo che da parte mia sia una cosa seria usare la Parola di Dio per farne un uso strumentale, come quando ho in mente di dirvi una cosa e per sostenerla mi arrampico anche sui vetri di una cattedrale.
Il primo brano della Messa
Qualcuno di voi, dopo aver ascoltato la lettura dei brani, potrebbe anche dirmi: almeno il primo brano è stupendo, dice cose interessanti. Non lo nego. Ma come interpretare il senso del brano, senza inquadralo nel suo contesto storico? Per farlo, avrei bisogno di più tempo dei dieci minuti di un’omelia. Sì, l’omelia non è di per sé una catechesi, ma è anche vero che, senza una buona esegesi, l’omelia sarebbe come un buttar fuori parole senza radici che affondano nella Parola di Dio, tanto più che la Parola Dio non solo si è incarnata nella storia di ieri, ma s’incarna della storia di tutti i tempi. Già la parola “incarnazione” richiederebbe tempo per spiegarla. In breve: la Parola di Dio si genera nello spirito dell’essere umano, prima di incarnarsi nella storia umana.
Ora, quando si legge il primo brano della Messa di oggi, e lo si incarna nel contesto storico dell’epoca del profeta (è il cosiddetto terzo-Isaia di cui non conosciamo il nome, vissuto dopo che gli ebrei esiliati a Babilonia erano tornati in patria), comprendiamo subito che qualcosa non va, se si interpreta il brano alla lettera. Gli stessi esegeti dicono che il profeta, parlando in nome di Dio, ha immaginato qualcosa che andava oltre la città fisica di Gerusalemme, vista come l’immagine di una città ideale.
Ed ecco allora che la lettura del brano assume un valore elevatamente allegorico o, ancor meglio, un valore mistico di quel Disegno originario di Dio che va ben oltre la storicità degli eventi e della storia del cosiddetto popolo eletto, e coinvolge l’Universo che, come dice la parola, è il Creato che va verso l’Uno (Uni-verso).
Gerusalemme, sinagoga, Israele, Roma ecc. sono tutte carnalità destinate a consumarsi nel tempo fino a scomparire. Il loro passato storico è finito, e tuttora rimangono resti o ruderi, e così diventeranno le altre strutture, religiose e civili, e il nostro rischio sta nell’idolatrarle, quando la Parola di Dio è stata, ed è chiara.
Viene l’Ora, ed è questa…
Però vorrei invitarvi a porvi qualche attenzione. Anzitutto, stiamo attenti alle allegorie. Dicono e non dicono, o, meglio, possono portarci fuori strada, se le intendiamo a modo nostro. Ogni esegeta dice la sua, ma non dovrebbe invece fare di tutto per cogliere nella allegoria il senso più profondo della Parola di Dio? Forse, oltre ad una esegesi seria, che richiede anche un certo studio nel campo biblico, occorre una lettura che sia ancora più oltre di quella allegorica, ed è la lettura mistica, la quale va oltre nel senso che scende nel profondo del Mistero che è puramente interiore. Inoltre, attenzione anche quando diciamo che la parola di Dio è attuale. Che significa? Non basta leggere le allegorie applicandole all’epoca attuale. Il senso dell’allegoria può mutare ancora. La Mistica medievale parla dell’Eterno presente, perciò parlare di un presente che poi passa nel tempo che senso ha? E allora diamo ragione a coloro che dicono che bisogna spremere il presente, godendone subito tutti i frutti, supposto che il presente offra qualche frutto. E neppure dobbiamo parlare solo di futuro, altrimenti saremo sempre qui a rimandare al domani ciò che è nostro compito realizzare oggi l’Eterno presente.
Ecco perché, di fronte alle parole di Cristo che dice alla donna samaritana: “Viene l’Ora, ed è questa…” noi credenti non dobbiamo rimandare. Se noi credenti avessimo posto più fede nell’Ora presente, nell’Eterno presente, da secoli avremmo dovuto agire nel Presente divino, e non saremmo ancora qui ad aspettare l’Ora di Dio.
Ma la cosa più assurda, paradossale è questa: aspettiamo e aspettiamo il futuro di Dio, senza credere nell’Ora presente, e nel frattempo, dall’Editto di Costantino del 313, se non già prima, abbiamo creduto nell’ora del corpo, del dare corpo ad una istituzione ecclesiastica che sta aspettando ancora l’Ora di Dio, e che non arriverà mai, finché la Chiesa sarà prigioniera di se stessa, del suo corpo.
Il corpo c’è, l’organismo istituzionale c’è, il grosso animale c’è, ma lo Spirito attende ancora, per colpa un po’ di tutti, di realizzare la sua Ora.
L’Ora dello Spirito è del tutto spirituale, non ha più alcun aggancio ad una storia del passato, e tanto meno basterebbe sublimarla con immagini allegoriche che richiamano nomi di città (Sion o Gerusalemme) oppure popoli o stati nazionali, pensando a una loro eventuale restaurazione (vedi Stato d’Israele).
Che sostituiamo Gerusalemme con Roma, lo Stato d’Israele con il Vaticano, non cambierebbe nulla.
L’Ora dello Spirito è propria dello Spirito che va al di là di ogni nazionalismo e di ogni potere, al di là di ogni struttura religiosa, al di là della Chiesa come istituzione.
L’Ora dello Spirito va al di là di ogni tempio, di ogni cattedrale, di ogni moschea, di ogni sinagoga. Lo Spirito è nella realtà di ogni essere, al di fuori di ogni carnalità. Lo Spirito non sopporta divisioni, separazioni, steccati, dogmi, gerarchie, poteri. È nel Tutto, e nel singolo che è nel Tutto.
Qualcuno dirà: è utopia! Siamo ancora ben lontani dell’Ora di Dio. Che siamo ben lontani all’Ora di Dio è vero, ma l’Ora di Dio non è un’utopia!

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