Omelie 2020 di don Giorgio: QUARTA DI AVVENTO

6 dicembre 20230: QUARTA DI AVVENTO
Is 16,1-5; 1Ts 3,11-4,2; Mc 11,1-11
Nascita come ingresso
Sinceramente talora non riesco proprio a capire il criterio con cui la Liturgia scelga i brani della Messa, tanto più che, essendo Avvento, ci aspetteremmo qualcosa di davvero stimolante in vista del Mistero natalizio.
Se i primi due brani ci lasciano perplessi, il terzo addirittura sembra del tutto fuori posto: il brano infatti riporta l’ingresso di Gesù nella Città santa, a pochi giorni dalla sua passione e morte sulla croce.
La parola “ingresso” sembra l’unico appiglio per giustificare un accostamento tra la nascita di Gesù, ingresso nel mondo, e l’entrata in Gerusalemme.
Ma credo che ci sia qualcosa di più, oltre la parola “ingresso”. È proprio dallo stile con cui Gesù è entrato da re nella Città santa che possiamo anche riflettere sullo stile con cui Gesù si è incarnato. Gli evangelisti evidenziano che Gesù è entrato in Gerusalemme come un re pacifico, e su questo aspetto potrei anche soffermarmi, dal momento che al ritorno di ogni Natale sentiamo più che mai l’esigenza di una pace che il mondo, fin dall’inizio, non ha mai conosciuto.
E gli stessi evangelisti (in particolare Matteo e Giovanni) sottolineano l’aspetto pacifico dell’entrata di Gesù in Gerusalemme citando le parole del profeta Zaccaria (vissuto tra il VI e il V sec. a.C.): «Esulta grandemente, figlia di Sion, giubila, figlia di Gerusalemme! Ecco, a te viene il tuo re. Egli è giusto e vittorioso, umile, cavalca un asino, un puledro figlio d’asina. Farà sparire il carro da guerra da Efraim e il cavallo da Gerusalemme, l’arco di guerra sarà spezzato, annuncerà la pace alle nazioni…» (9,9-10).
Quindi, già la voce degli antichi profeti aveva preannunciato la venuta di un messia pacifico, in contrapposizione all’opinione popolare, secondo cui il futuro Messia sarebbe stato un uomo forte, con la missione di liberare il popolo d’Israele dalla schiavitù politica. Una concezione non esclusivamente ebraica del Messia politico, visto che anche la Chiesa istituzionale è sempre stata tentata da una visuale diciamo carnale di un Messia liberatore.
Tuttavia, presso anche i popoli pagani è rimasta sempre presente il sogno dell’arrivo di un messia restauratore dell’ordine mondiale, fondato sulla giustizia e sulla pace.
Non possiamo non ricordare il poeta latino Virgilio, vissuto nel primo secolo a.C., che nella IV Egloga (componimento poetico) descrive l’arrivo venturo di un “puer”, bambino, che sarà il portatore di una radicale rivoluzione futura della vita degli uomini, che potranno godere di un’età straordinaria di pace e di benessere dopo il periodo tragico delle guerre civili. L’avvento di questo “puer” avrebbe posto fine all’età del ferro dell’umanità, dando inizio all’età dell’oro, un’età in cui “svanirà ogni impronta della nostra colpa” e “tutta la terra sarà fertile”. Compaiono anche riferimenti all’avvento di una Vergine, all’annientamento di un serpente e all’abolizione dell’antica malvagità così fermamente radicata nel cuore dell’uomo. Non c’è da sorprendersi quindi che Dante, più di un millennio dopo, avrebbe dichiarato Virgilio, suo padre spirituale: “Per te poeta fui, per te, cristiano”.
“E dopo aver guardato ogni cosa attorno…”
Vorrei ora soffermarmi sull’ultimo versetto del brano evangelico di oggi. L’evangelista Marco scrive: “Ed entrò a Gerusalemme, nel tempio. E dopo aver guardato ogni cosa attorno, essendo ormai l’ora tarda, uscì con i Dodici verso Betània”.
Notiamo quel “dopo aver guardato ogni cosa attorno”. Immaginiamo la scena. Gesù entra da solo nel Tempio, e osserva ogni cosa. Il verbo greco rende bene l’idea, mentre la traduzione italiana sembra quasi banale. In greco troviamo: περιβλεψάμενος, composto di περι, intorno, βλεψάμενος, guardare. In altre parole, Gesù ha dato uno sguardo a 360 gradi, poi esce.
Che cosa intendeva dire Marco? Non credo che volesse dirci che Gesù, preso dalla curiosità, è entrato nel Tempio per dare l’ultimo saluto, prima di affrontare la sua passione e la sua morte.
Noi sappiamo quanto gli ultimi giorni di Gesù fossero carichi di senso profetico. Pensiamo alla maledizione del fico. Che senso dare allora allo sguardo di Gesù nel Tempio? Marco precisa: Gesù ha osservato con uno sguardo completo “tutto”, ogni cosa (“panta”).
Più che “osservare” Cristo ha “visto” e ha “sentito” il vuoto di Dio. Dunque, uno sguardo che è andato oltre un vedere carnale delle cose: il tempio, al suo interno, era vuoto della presenza di Dio. Dio non c’era. Chissà da quanto tempo Dio era sparito dall’interno del tempio giudaico. Come non ricordare il colloquio di Gesù con la samaritana? “Credimi, donna, viene l’ora, in cui né su questo monte (Garizim, il monte dove i samaritani adoravano il loro dio) né a Gerusalemme (dove c’era il tempio degli ebrei) adorerete il Padre… Ma viene l’ora, ed è questa, in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità: così infatti il Padre vuole che siano quelli che lo adorano. Dio è spirito, e quelli che lo adorano devono adorare in spirito e verità” (Gv 4,21-24).
Gesù, dunque, entrando nel Tempio ha avuto una percezione che è durata sì pochi secondi, ma tale da dargli un disgusto che anticipava la totale distruzione del Tempio.
Quel Tempio non era vuoto: fosse stato vuoto di cose! Era vuoto di Dio, proprio perché pieno di cose inutili, prive dello Spirito divino.
Forse gli oggetti sacri erano pochi (gli ebrei non ammettevano immagini o statue), ma c’era la pesantezza di una religione carnale, che preferiva la legge allo spirito.
Cristo aveva lottato contro una legge/padrona, contro una legge esteriore, contro una legge prepotente.
Il Figlio di Dio si era incarnato per dirci: “Siete tutti figli liberi di Dio!”. Ed era morto sulla croce per dirci la stessa cosa, donandoci lo Spirito di libertà.
Egli era venuto per togliere, non per aggiungere cose a cose, legge a legge. Era venuto per dirci che siamo noi quel Tempio, dove Dio è presente nella sua realtà spirituale.
E poi succederà che, distrutto il Tempio di Gerusalemme, la Chiesa costruirà altri numerosi templi o chiese, altrettanti vuoti di Dio come il Tempio di Gerusalemme. Dimentichiamo le parole di Gesù alla Samaritana: “… viene l’ora, ed è questa, in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità”.
Entriamo e usciamo dalle chiese come entrare e uscire da ambienti, che lasciano l’essere come sospeso tra cielo e terra.

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