Cristo non è morto sulla croce per salvare gli imbecilli

L’apostolo Paolo nelle sue lettere alle primitive comunità cristiane parla della morte di Cristo come redenzione o salvezza, nel senso che con il suo sangue avrebbe “riscattato” l’umanità schiava del peccato.
Per essere più chiaro: Cristo avrebbe pagato “di tasca sua”, ovvero morendo su una croce, il riscatto per la nostra liberazione, come pagare il prezzo che comporta il riscatto di uno schiavo.
Non sono assolutamente d’accordo!
Anche la Chiesa/religione parla del sacrificio di Cristo come salvezza dei peccatori. In che senso? Parla di peccatori in genere: anche degli imbecilli?
Ma il Figlio di Dio si sarebbe incarnato per salvare degli imbecilli? Da parte mia, non darò mai neanche un soffio della mia vita per salvare degli imbecilli, per il semplice motivo che gli imbecilli sono irreversibilmente irrecuperabili. Non vale la pena tentare di convertirli.
Diciamo meglio. Il Figlio di Dio si è incarnato non per toglierci qualcosa, ma per darci Se stesso. E, proprio sulla Croce, mentre muore in quanto Gesù di Nazaret, dona il suo Spirito. Sta qui, assolutamente qui, il Valore positivo della Croce!
Dire Spirito è dire Grazia, e così tutto si eleva all’infinito, purché, da parte nostra, obbediamo all’ordine perentorio di Cristo: Metanoèite!, ovvero cambiate mentalità, il vostro modo di pensare, rientrate nell’intelletto illuminato dall’Intelletto divino.
Così, solo così cambiamo strada, e cambieremo la vita.
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Nella VI sessione della Cattedra – intitolata «Chi è come te fra i muti? L’uomo di fronte al silenzio di Dio» (1992) – nell’intervento conclusivo il Cardinale presenta la croce come icona conclusiva del silenzio di Dio, rilegando insieme tre espressioni che ritornano nel racconto della passione evangelica.
In primo luogo, Gesù taceva davanti alle accuse e rivoltegli: «Il sommo sacerdote gli disse: “Non rispondi nulla? Che cosa testimoniano contro di te?”. Ma Gesù taceva» (Mt 26,62-63). Nella seconda scena compare il grido di Gesù in croce, che in Matteo e Marco costituiscono l’unica parola da lui pronunciata sulla croce.: «Mio Dio, mio Dio, perché mi hai abbandonato?» (Mt 27,46). Infine, il grido di abbandono: «Padre, nelle tue mani consegno (abbandono) il mio spirito» (Lc 23,46).
Martini così concludeva:
Tre momenti di Gesù — il silenzio dell’uomo afflitto e perseguitato, il grido dell’abbandonato da Dio, cioè la denuncia del silenzio di Dio, il grido di chi si abbandona al silenzio di Dio Padre —, formano un’unica icona perché sono contenuti l’uno nell’altro, perché l’uno sviluppa l’altro. Essi richiamano, nel loro insieme, la famosa preghiera dell’ebreo nel ghetto di Varsavia prima di essere bruciato vivo: «Dio ha fatto di tutto per spezzare la mia fede in lui… Ho seguito Dio anche quando mi ha respinto… L’ho amato e lo amo anche se mi ha torturato fino alla morte, mi ha ridotto alla vergogna e alla derisione… Ma io crederò sempre in te e muoio come ho vissuto, in una fede incrollabile in te» (Cf. M.D. Molinié, La lotta di Giacobbe, Brescia 1969, pp. 21-24).
Tornando all’oggi, a questo sabato della storia, dove sotto la croce trasciniamo con noi la nostra impotenza di fronte al flagello invisibile che sta colpendo la nostra società, sorge la richiesta che Dio si faccia presente, batta un colpo, ci liberi dal male oscuro che continua a mietere vittime fra i nostri cari, che venga a consolare il dolore che ci afferra fin nelle midolle e ci getta nello sconforto. Forse come credenti ci troviamo smarriti di fronte a questa “sconfitta di Dio”.
Nella penultima Veglia pasquale celebrata nel duomo di Milano, Martini ardiva affermare che nel momento in cui le tenebre sembrano richiudersi su di lui, Gesù sofferente partecipa al nostro inferno, l’inferno dell’assenza di Dio., ma il suo amore per noi – l’amore crocefisso – fa sì che la croce diventi rivelazione del Figlio di Dio. Nella sua agonia Gesù non ci lascia soli fino al grido dell’abbandono, un grido colmo di speranza e di attesa. La speranza e l’attesa di Maria di Magdala che, il giorno dopo il Sabato, avendo riconosciuto al sepolcro Colui che l’ha chiamata per nome, corre pazza di gioia a portare l’annuncio della sua stupenda esperienza di fede in un solo grido: «Ho visto il Signore!».

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