7 maggio 2023: QUINTA DI PASQUA
At 10,1-5.24.34-36.44-48a; Fil 2,12-16; Gv 14,21-24
Anche oggi la Liturgia ci offre tre brani della Bibbia, davvero interessanti, e tutti da commentare, ma il tempo a disposizione è limitato. Lasciatemi almeno dire una cosa.
I vecchi parroci di una volta non misuravano il tempo per l’omelia festiva e i fedeli l’ascoltavano senza borbottare, e pensare che c’erano in parrocchia altri momenti forti di catechesi per bambini, giovani e adulti. Oggi, nelle attuali comunità parrocchiali è rimasto ben poco di una catechesi capillare, e ci si lamenta quando il celebrante supera i dieci minuti di omelia. Certo, tutto dipende se l’omelia sia più o meno stimolante.
Il primo brano è davvero interessante per apparenti stranezze, e, se pensiamo che siamo agli inizi del Cristianesimo, allora bisognerebbe rifletterci sopra.
Si parla di Cornelio, un ufficiale romano che risiedeva a Cesarea, sede del governatore. Annota Luca, autore del libro ”Atti degli apostoli”: con tutta la sua famiglia Cornelio era “pio e timorato di Dio”: probabilmente aveva accolto le verità di fede e i principi morali del giudaismo, senza però accettare di farsi circoncidere. Non era perciò un “proselito”, ma solo un “simpatizzante”.
Il suo esempio diventerà lezione per tutti: al di là di ogni formalità, caratteristiche come la rettitudine interiore e la generosità (“faceva molte elemosine al popolo”) rendono chiunque idoneo e privilegiato, pronto a far parte del Cristianesimo.
Poi, che si diventi effettivamente cristiani o no entrando a far parte della Chiesa cattolica, forse importa relativamente, così è stato per la filosofa francese Simone Weil, che, pur affascinata dal Cristianesimo, è rimasta fino alla morte sulla “soglia”, senza perciò oltrepassarla per fare il grande passo, anche perché quel Cristianesimo che la attraeva non lo scorgeva nel Cattolicesimo/religione, pieno di dogmi.
Certo, non basta essere brave persone, e ce ne sono ovunque, tra credenti e non credenti, in ogni religione: la cosa essenziale è scoprire quel Segreto che è dentro di noi.
In ogni caso Dio, scrive Luca, in una visione avverte Cornelio che dovrà fare un passo ulteriore: diventare cristiano, ovvero seguace della nuova Via. Ma dovrà far chiamare Pietro. Cornelio fa partire immediatamente alla volta di Giaffa due servi e un soldato che faccia da scorta. Pietro obbedisce agli ordini del centurione romano, e, mentre si avvicina a Giaffa, a sua volta ha una “strana” visione, che l’apostolo al momento non capisce.
In poche parole, qual era il significato di quella visione? Il Cristianesimo garantiva le stesse possibilità di salvezza a chiunque volesse convertirsi: non c’era più distinzione tra “puri” e “impuri”, cioè tra giudei e pagani, e di conseguenza non era più necessario che i pagani, per convertirsi, si rendessero prima “puri” assoggettandosi alle norme giudaiche. Tutti i cristiani, sia quelli convertiti dall’ebraismo che quelli convertiti dal paganesimo potevano vivere l’uno accanto all’altro, frequentare gli stessi ambienti, sedersi alla stessa tavola, e così via, senza contaminarsi legalmente.
Forse non riusciamo a capire la portata rivoluzionaria di questa apertura, pensando a quei tempi, e che dire di ciò che accadrà lungo i millenni, fino ad oggi, con barriere tra le diverse razze, sotto forme diverse: quante chiusure di mentalità!
E c’è di più nel brano di oggi. Dopo che Pietro ha terminato il suo discorso, ecco lo Spirito scendere su tutti i presenti, sui già battezzati e sui pagani, prima di ricevere il battesimo. Mi verrebbe da dire con tanta spontaneità: lo Spirito santo è proprio di una libertà assoluta, ovvero senza alcun condizionamento. Lui è ovunque, sempre pronto a generare vita. La sua azione crea disagi, incomprensioni, scandali, ma tra chi ha una mentalità gretta, chiusa, con la testa fasciata. Ma chi ha paura dello Spirito santo? Non certo gli spiriti liberi: hanno paura le strutture religiose, coloro che vorrebbero tenere le coscienze entro schemi mortificanti.
Passiamo al secondo brano. L’apostolo Paolo ai cristiani di Filippi scrive tra l’altro: «Fate tutto senza mormorare e senza esitare, per essere irreprensibili e puri, figli di Dio innocenti in mezzo a una generazione malvagia e perversa. In mezzo a loro voi risplendete come astri nel mondo, tenendo salda la parola di vita».
Ho trovato questo commento, che vi propongo. «Il mondo, lo sappiamo bene, non è perfetto, non lo siamo noi, e san Paolo quando scriveva – per di più dal carcere – non era così ingenuo da pensarlo. Quindi dà ai cristiani di Filippi suggerimenti impossibili da applicare? Non credo, mi viene da pensare piuttosto che l’Apostolo fosse talmente innamorato di Gesù che il suo cuore fosse perennemente in ascolto di Dio. Come se non ci fossero rumori di fondo che distolgono l’attenzione. E lo sappiamo bene, la voce della persona amata la riconosciamo tra mille rumori. Allora forse è proprio quella fiamma dell’innamorato che fa la differenza nell’essere cristiani secondo S. Paolo. Per cui si può brillare come astri in un mondo perverso e malvagio. D’altra parte, non viviamo anche noi in un mondo così? Proviamo a ritrovare un po’ di passione per le cose di Dio, per la sua Parola, ritroviamo il gusto e la familiarità con la sua voce, allora sì che riusciremo anche noi a vivere un po’ “come astri” in un mondo difficile, senza farci fagocitare dalle sue logiche».
Aggiungerei di mio: dentro di noi vi è quella scintilla divina che è al riparo da ogni bufera, purché liberiamo il nostro spirito da ogni ingombro che possa spegnere la stessa fiamma interiore. Solo così possiamo, anche esteriormente, risplendere come “astri” nel mondo, che già secondo Giovanni è quell’insieme di tenebre che tentano di spegnere anche la più piccola fiamma. E come possiamo negare che anche questa nostra generazione non sia “malvagia e perversa”? Purtroppo, se è così buio, non è perché manca la luce degli astri? E gli astri da dove prendono la luce?
Passando brevemente al terzo brano, vorrei farvi notare quel “prendere dimora da parte della Trinità presso colui che ascolta e osserva la parola di Dio”. Forse c’è di più che “prendere dimora presso”: Dio dimora in noi e noi dimoriamo in Dio. In quel Logos, Parola, che ci rigenera misticamente. Si tratta di un Mistero, di cui anche le più belle parole umane non riuscirebbero mai a farci intuire qualcosa.
Mi verrebbe da dire: provare per credere, e per provare bisogna avere il coraggio di dare più spazio alla luce interiore. La scintilla divina non è una prerogativa dei mistici o dei santi, ma di ogni essere umano.
Ma si preferisce stare fuori, al buio, ad annaspare tra il fango, spremendo qualche gioia momentanea.
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