L’ANNUNCIAZIONE

L’ANNUNCIAZIONE

“Due momenti nell’Uno divino. Nulla di carnale nell’Annuncio dell’Angelo di Dio”.
Così scrive don Giorgio commentando questo dipinto.
Si tratta proprio di un momento che realizza l’Uno divino. Maria vergine, non in senso carnale ma interiormente, perché distaccata, perché umile e semplice, genera dentro di sé il Figlio di Dio.
Ed è proprio generando, passando dal Figlio, che noi potremo tendere al Padre, al Divino.
L’umiltà di Maria genera intelligenza e attenzione, ovvero lo spirito si diffonde dentro e fuori di Lei.
Nel “fondo dell’anima” di Maria, lo spazio è vuoto, ovvero libero, per il Figlio.
È un momento di contemplazione e di azione, un momento maturo per accogliere e far fiorire il Figlio di Dio.
Lo spirito, di colore rosso, cattura il nostro sguardo perché possiamo anche noi prendere coscienza che è questo il cammino di ognuno: svuotarci interiormente da tutto ciò che è inessenziale per trovare e far fiorire l’Essenziale.
Ma per questo dobbiamo tornare a essere umili, per essere così più recettivi di ciò che viene dall’Alto, proprio come Maria.

 L’INCONTRO DI GESÙ CON NICODEMO

Una pagina tra le più belle e profonde, intrisa di intensa simbologia spirituale/mistica, è l’incontro di Gesù con Nicodemo.
Nel dipinto tutto è racchiuso in un cerchio scuro: è notte.
Le figure di Gesù e di Nicodemo, una di fronte all’altra, si differenziano tra loro: Gesù indica verso l’Alto, mentre Nicodemo indica il Testo sacro. Due gesti tra loro in contrapposizione, messa ben in evidenza nel dipinto.
Una luce, proveniente da una lampada, illumina. Ma la vera Luce è un’altra.
La luce e il buio, la luce e le tenebre sono sempre un tema costante nella narrazione evangelica di Giovanni.
Mi preme far notare una cosa: è Nicodemo, dottore della Legge, fariseo e membro del Sinedrio, a farsi avanti per incontrare il Maestro. E qui, entra in gioco la parola umiltà, ma anche parole quali: ascolto, silenzio, attenzione, spogliazione, e quell’essere vuoto, come lo intendeva Meister Eckhart, e cioè libero.
Sì, se si vuole essere liberi, bisogna essere vuoti dentro, e quindi distaccarsi, spogliarsi di tutto.
Questa pagina del Vangelo sembra volerci dire che bisogna fare il primo passo, iniziare e poi lasciarci catturare dalla Luce divina che è dentro di noi.
Nicodemo inizialmente fatica a capire le parole di Gesù, perché possono risultare inconsuete e perché si è troppo pieni di tante cose.
Le parole: nuovo grembo, nuova gestazione, nuova nascita, parole elevate che ci rimandano alla nascita del Logos, presente nel Prologo del Vangelo secondo Giovanni.
Eckhart inoltre insiste sul fatto della Generazione, ed è anche quello che Gesù fa con lo stesso Nicodemo.
Per concludere mi affido alle parole di don Giorgio scritte nell’editoriale di sabato 1 Aprile 2023. Parole che rendono bene il concetto e che si rivelano di una bellezza e purezza disarmante:
«Il tempo e lo spazio limitano, lo Spirito ama muoversi in tutta libertà, come un vento – direbbe ancora Gesù come ha detto a Nicodemo – che “soffia dove vuole e ne senti la voce, ma non sai dove viene né dove va”. Forse il nostro problema è che non ne sentiamo più nemmeno un filo di voce, e per sentirlo occorrono orecchi sensibilissimi, quelli dello spirito».
Infine, quattro brevi scritte in latino fanno da contorno al dipinto riprendendo le parole chiave di Gesù: Quod natum est ex carne caro est, et quod natum est ex spiritu spiritus est. (“Quello che è nato dalla carne è carne e quello che è nato dallo spiriti è spirito”) (Gv 3,6)

 

LA PIETÀ

GESÙ DEPOSTO DALLA CROCE

XIII stazione della Via crucis “Sulla Via della croce”,
anno 2022
In una dialettica sempre per il Meglio, don Giorgio ed io cerchiamo di tirare fuori ciò che è nascosto, velato, portandolo così alla luce. Cerchiamo di fare del nostro meglio in vista del Meglio.
Dipinti e commenti: l’uno completa l’altro, in un continuo lasciarsi fluire prima dalle parole, poi dai colori…
Vi presento la 13^ stazione della Via Crucis, che realizzammo l’anno scorso in occasione della Santa Pasqua.
Commentando questa stazione, giustamente don Giorgio fa notare che non è solo la pietà di una madre che abbraccia il proprio figlio morto, ma è molto di più: tutto va ben oltre questa immagine, questo dolore umano, carnale, finito.
Don Giorgio continua dicendo che è “la Madre partoriente di altri figli, per opera dello Spirito, che il Crocifisso morendo ha donato all’umanità”.
Tutto si fa così immensamente Universale, e tutti veniamo abbracciati da questo alone di Luce che si espande da questa scena divina.
La pietas in origine era un rispettoso e doveroso affetto verso tutto ciò che è Divino, ed è qui che si prende coscienza dell’immensità del Divino dentro di noi.
La Luce si effonde in un alone che avvolge tutto e ci fa capire che la stessa luce è dentro di noi, in quel “fondo dell’anima” che dobbiamo liberare dalle tante macerie che si sono sedimentate sopra.

IPAZIA D’ALESSANDRIA

(360 d.C, Alessandria in Egitto – 415 d.C, Alessandria in Egitto)

Di Ipazia, vissuta tra il IV e il V secolo d.C., conosciamo ben poco, ma forse per quel tanto che potrebbe bastare per prenderla subito in grande simpatia.
Era una giovane pagana, rappresentante della filosofia neo-platonica, la cui violenta uccisione, da parte di alcuni monaci detti parabolani, l’ha resa una “martire della libertà di pensiero”.
Le viene riconosciuto un nuovo metodo di indagare la verità nei vari campi dello scibile umano, con una dote straordinaria di trasmetterla: apprezzata insegnante ed efficace oratrice, a cui era concesso di parlare a folle di studenti, in un’epoca in cui le donne avevano pochissimi diritti.
Tutti ancora oggi ci sentiamo a lei debitori.
Come sempre, devo grande gratitudine a don Giorgio, perché nel confrontarci estraiamo dal profondo ciò che più ci coinvolge, lasciandoci guidare dallo Spirito.
Così è nato questo dipinto, con cui ho inteso rappresentare Ipazia, oltre che matematica, astronoma e filosofa dell’antica Grecia, come donna Donna, quasi eterea, distaccata dalla realtà carnale, tutta protesa che guarda verso il cielo, e oltre, verso l’Infinito.

MAGNIFICAT

Vorrei soffermarmi a lungo sul Magnificat, un cantico probabilmente nato nelle assemblee delle prime comunità cristiane, che l’evangelista Luca ha messo in bocca a una donna: già questo un gesto rivoluzionario!
Maria di Nazaret, già incinta del Figlio di Dio, annuncia il Magnificat, quando si incontra con la cugina Elisabetta, a sua volta incinta di Giovanni il Precursore.
Nel Cantico ci sono riferimenti biblici dell’Antico Testamento, ma non per questo troviamo affermazioni del tutto scontate.
Possiamo dire che c’è un tocco singolare che dà alle antiche profezie qualcosa di assolutamente Nuovo.
Dipingere l’Incontro di Elisabetta con Maria, che esplode di gioia con il Magnificat, è stata per me un’altra bella sfida, e mi sono sentita immersa in un cammino che per Maria è stato l’abbandono totale in Dio.
Ecco allora Maria, avvolta da un velo di umiltà, in un alone di luce, che prima era nel suo grembo e che poi si è diffusa anche fuori.
Ecco il viso leggermente inclinato, a indicare la sua dolcezza e dedizione al volere del Mistero divino.
Niente di sensazionale, ma tutto di infinitamente Divino.
Maria, modello di donna Donna e modello di umiltà.
Che bella la parola “umiltà”! Deriva da “humus”, terra, quasi a voler dire ritorno alla essenzialità originaria.
Umiltà come distacco da tutto ciò che è inessenziale, solo così lo spirito respira.
Maria ci insegna a meravigliarci per le piccole cose, quelle semplici.
Quando si lascia tutto ciò che non è necessario, ecco fiorire e rifiorire lo stupore!
Dio ci vuole eternamente “stupìti!”.

 

L’INCONTRO

TRA MARIA E LA CUGINA ELISABETTA

Il primo dipinto sul quale vorrei soffermarmi per catturare la vostra attenzione è uno dei primi che ho realizzato, dopo aver intrapreso questo cammino mistico-artistico.
“L’Incontro di Maria con la cugina Elisabetta” è un’opera, che mi è nata in modo del tutto spontaneo, durante uno degli incontri di lavoro e di confronto con don Giorgio.
Anzitutto, vorrei mettere in evidenza la parola “incontro”: parola che ritengo cardine, da cogliere in tutta la sua essenzialità di grazia.
Succede che, quando una persona va verso l’altra, o entrambe si muovono e convergono in uno stesso punto, l’incontro diventa un confronto: ci si guarda reciprocamente, al di là di ogni aspetto puramente esteriore. L’incontro/confronto si fa meraviglia: per ciò che si è e per ciò che l’altro è.
L’incontro diventa così quella possibilità divina che ci permette di guardarci dentro, di metterci a confronto con noi stessi, conoscendoci meglio, confrontandoci con l’altro, che a sua volta si conosce in se stesso.
Per Platone e i neoplatonici conoscere significa ricordare: si va a risvegliare una memoria del tutto assopita dentro di noi, e l’incontro provvidenziale può essere come una scintilla.
Pensiamo agli incontri di Gesù, che l’evangelista Giovanni ha saputo rileggere in senso elevatamente mistico: con la Samaritana, con la Maddalena, con Nicodemo… Tutti incontri come momenti di Grazia del tutto provvidenziale.
Così è stato anche l’incontro tra Maria e la cugina Elisabetta, entrambe gravide: Maria di Gesù il Salvatore, ed Elisabetta di Giovanni che sarà il precursore del Messia.
L’incontro tra le due Donne privilegiate le unisce misticamente, ed ecco il cerchio come un lungo abbraccio infinito: di Grazia di quello Spirito che ha fecondato Maria, e ha tolto la sterilità al grembo di Elisabetta.

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