È lecito, anzi doveroso uccidere i tiranni per il bene di una nazione o dell’umanità?
L’EDITORIALE
di don Giorgio
È lecito, anzi doveroso uccidere i tiranni
per il bene di una nazione o dell’umanità?
Forse siamo tutti tentati – riconosco di esserlo anche io fortemente – di invocare la morte fisica anche violenta per i dittatori criminali, vedi Trump, Putin, Netanyahu e altri, in nome di quel bene comune, diciamo dell’umanità, che richiede purificazione, lo sradicare tutto quel male che si incarna in qualche personaggio di un potere senza limiti, che vorrebbe dominare, schiacciare, sedurre, ingannare ogni respiro umano.
Poi sento una voce che mi dice: quel Cristo, in cui credi, non ha ucciso nessuno, si è invece fatto uccidere per il bene dell’umanità! Qualche teologo si azzarda nel pensare che il Figlio di Dio sia venuto per morire su una croce, ovvero che lui abbia scelto di morire martire, e che perciò si sarebbe “suicidato”.
A parte i termini, che hanno una loro importanza, c’è tutto un disegno di Dio, che si è incarnato nel Logos eterno, per cui il vero credente dona la sua stessa vita fisica, come un seme che marcisce sotto terra, per dare quel frutto insperato, che vincerà ogni male.
Ma, e ci metto anche io, siamo eterni cocciuti e con la voglia di vendicare, a modo nostro, ogni ingiustizia o sopruso o crimine che va a danno di una intera umanità, tra cui non possiamo negare che ci siano milioni di innocenti.
Ed ecco la domanda: per prevenire o per evitare che continuino tragedie umane ad opera di tiranni senza scrupolo è lecito, anzi doveroso, ucciderli? La stessa domanda che avevo posto al card. Tettamanzi, poco prima che lasciasse Milano.
Sarebbe interessante conoscere il pensiero dei grandi filosofi greci, e via via tutti gli altri che si sono susseguiti nel tempo. Ci sono studi interessanti, a cui rimando il lettore, se vuole conoscere a fondo l’argomento sul tirannicidio.
Limitandomi al pensiero della Chiesa, in alcuni suoi autorevoli rappresentanti (basterebbe pensare a San Tommaso d’Aquino), il pensiero non è del tutto uniforme, secondo alcune affermazioni del Vangelo che condannano la violenza. Pensate all’episodio di Pietro che, nell’orto degli Ulivi, nel tentativo di impedire l’arresto di Gesù, sfodera la sua spada e colpisce Malco, un servo del sommo sacerdote, mozzandogli l’orecchio. Matteo afferma che Pietro venne subito ammonito da Gesù con la celebre frase: “chi di spada ferisce, di spada perisce” (propriamente “Rimetti la spada nel fodero, perché tutti quelli che mettono mano alla spada periranno di spada”).
Ecco alcuni interventi sulla liceità del tirannicidio, anche se alcuni studiosi vorrebbero mettere “se e ma”, magari negando l’approvazione del tirannicidio, come nel caso delle parole di San Tommaso.
Ecco ciò che ha scritto Tommaso d’Aquino: «Colui che allo scopo di liberare la patria uccide il tiranno viene lodato e premiato quando il tiranno stesso usurpa il potere con la forza contro il volere dei sudditi, oppure quando i sudditi sono costretti al consenso. E tutto ciò, quando non è possibile il ricorso ad una istanza superiore, costituisce una lode per colui che uccide il tiranno».
Giovanni di Salisbury, ragionando sul diritto di tirannicidio, affermava che «non soltanto è permesso ma è anche equo e giusto uccidere i tiranni… e in quanto immagine di malvagità, il più delle volte va addirittura ucciso» potendosi sostenere il principio fondamentale della difesa sociale e che, per analogia, è «dunque possibile considerare come se fosse una legittima difesa personale».
Così ha scritto il gesuita Juan de Mariana nel 1599: «Riteniamo che si debbano tentare tutti i rimedi per rinsavirlo prima di giungere a un punto estremo e gravissimo. Ma se ogni speranza fosse oramai tolta e se fossero in pericolo la salute pubblica e la sanità della religione, chi sarà tanto povero di saggezza da non ammettere che sia lecito abbattere il tiranno con diritto, con le leggi e con le armi?».
Nel 1414 monsignor Claudio Fleury fa la “telecronaca” delle numerose sessioni di una Assemblea tenutasi in Francia a partire dal 30 Novembre, presso l’Università di Parigi, sugli scritti di Giovanni il Piccolo che citava tutti i casi di tirannicidio della Bibbia e sosteneva la tesi che «Ciascun tiranno deve e può essere lodevolmente e per merito ucciso da qualunque suo vassallo e suddito in qualunque forma». E ancora: «È lecito a ciascun suddito senza niun mandato o comandamento, secondo la legge morale, naturale, e divina, di uccidere o far uccidere ogni tiranno… non solamente è lecito, ma è onorevole, meritorio parimente…».
Un lettore ha chiesto a Padre Angelo Bellon, OP (Ordine dei Predicatori Domenicani):
«Le volevo porre una domanda sul tirannicidio: come saprà, era questione dibattuta nel Medioevo se fosse lecito uccidere in alcuni casi un tiranno ed alcuni come Giovanni di Salisbury si espressero a favore… Ma, dopo il Medioevo fino ad arrivare ad oggi, qual è stata la posizione del Magistero sul tema?
Ecco la risposta del Domenicano:
«Caro Niccolò,
1. La Chiesa ha sempre ammesso la legittimità di difendere se stessi nel caso di ingiusta aggressione fino al punto da esporre l’aggressore alla morte. Il problema è il seguente: il tiranno può essere considerato ingiusto aggressore. È lecita la sua uccisione? Il parere concorde della morale è affermativo per il tiranno che ha usurpato il potere e non si è ancora consolidato, mentre è da escludersi nel caso di uno che usurpando il potere governi pacificamente o nel caso del principe legittimo che governa in maniera tirannica.
2. Un accenno all’uccisione del tiranno è presente nella Populorum progressio di Paolo VI al n. 31: “Si danno per certo delle situazioni la cui ingiustizia grida verso il cielo. Quando popolazioni intere, sprovviste del necessario, vivono in uno stato di dipendenza tale da impedire loro qualsiasi iniziativa o responsabilità, e anche ogni possibilità di promozione culturale e di partecipazione alla vita sociale e politica, grande è la tentazione di respingere con la violenza simili ingiurie alla dignità umana. E tuttavia lo sappiamo: l’insurrezione rivoluzionaria – salvo nel caso di una tirannia evidente e prolungata che attenti gravemente ai diritti fondamentali di una persona e nuoccia in modo pericoloso al bene comune del paese, – è fonte di nuove ingiustizie, introduce nuovi squilibri, e provoca nuove rovine. Non si può combattere un male reale a prezzo di un male più grande”.
3. L’Istruzione Libertatis conscientia (Libertà cristiana e liberazione, 22.3.1986) approfondisce ulteriormente il pensiero di Paolo VI: “Questi principi (la moralità dei mezzi) devono essere rispettati in modo speciale nel caso estremo del ricorso alla lotta armata, che il magistero ha indicato quale ultimo rimedio per porre fine a una tirannia evidente e prolungata, che attentasse gravemente ai diritti fondamentali della persona e nuocesse in modo pericoloso al bene comune di un paese. Tuttavia l’applicazione concreta di questo mezzo può essere prevista solo dopo una valutazione molto rigorosa della situazione. Infatti, a causa del continuo sviluppo delle tecniche impiegate e della crescente gravità dei pericoli impiegati nel ricorso alla violenza, quella che oggi viene chiamata resistenza passiva apre una strada più conforme ai principi morali e non meno promettente di successo. Non si può mai ammettere, né da parte del potere costituito, né da parte di gruppi di insorti, il ricorso a mezzi criminali come le rappresaglie perpetrate ai danni della popolazione, la tortura, i metodi del terrorismo e della provocazione calcolata per causare la morte di uomini nel corso di manifestazioni popolari. Sono egualmente inammissibili le odiose campagne di calunnie, capaci di distruggere psichicamente o moralmente una persona” (n. 79).
4. Sull’efficacia della resistenza passiva Giovanni Paolo II annota in Centesimus annus: “Merita poi di essere sottolineato il fatto che alla caduta di un simile blocco o impero (sta parlando del crollo del socialismo reale e della caduta dell’impero sovietico), si arriva quasi dappertutto mediante una lotta pacifica, che fa uso delle sole armi della verità e della giustizia. Mentre il marxismo riteneva che solo portando agli estremi le contraddizioni sociali fosse possibile arrivare alla loro soluzione mediante lo scontro violento, le lotte che hanno condotto al crollo del marxismo insistono con tenacia nel tentare tutte le vie del negoziato, del dialogo, della testimonianza della verità, facendo appello alla coscienza dell’avversario e cercando di risvegliare in lui il senso della comune dignità umana. Sembrava che l’ordine europeo, uscito dalla seconda guerra mondiale e consacrato dagli ‘‘accordi di Yalta’ potesse essere scosso soltanto da un’altra guerra. È stato invece superato dall’impegno non violento di uomini che, mentre si sono sempre rifiutati di cedere al potere della forza, hanno saputo trovare di volta in volta forme efficaci per rendere testimonianza alla verità…
Ciò ha disarmato l’avversario, perché la violenza ha sempre bisogno di legittimarsi con la menzogna, di assumere, pur se falsamente, l’aspetto della difesa di un diritto o della risposta a una minaccia altrui. Ringrazio ancora Dio che ha sostenuto il cuore degli uomini nel tempo della difficile prova, pregando perché un tale esempio possa valere in altri luoghi e in altre circostanze. Che gli uomini imparino a lottare per la giustizia senza violenza, rinunciando alla lotta di classe nelle controversie interne, come alla guerra in quelle internazionali” (CA 23).
A parte queste continue sottigliezze, che denotano paura di dire la verità, perché dimenticare che il teologo protestante Dietrich Bonhoeffer aveva partecipato a un complotto per uccidere Adolf Hitler?
È il 9 aprile 1945. Lager di Flossenbürg. Il teologo protestante Dietrich Bonhoeffer, nato nel 1906, trascorre le ore in preda ai ricordi. All’alba sarà giustiziato per aver partecipato all’operazione Valchiria per uccidere Adolf Hitler. Pino Petruzzelli, drammaturgo, regista e attore, ricostruisce questo terribile momento nel romanzo L’ultima notte di Dietrich Bonhoeffer (Edizioni Ares). È un monologo interiore di grande bellezza, basato sui diari e sulle lettere della vittima. Nel testo, troviamo anche alcune poesie di Bonhoeffer, tradotte da Petruzzelli stesso. Bonhoeffer avrebbe potuto facilmente sottrarsi al martirio, ma aveva preferito andare incontro al suo destino. Invece di restare al sicuro, negli Stati Uniti, aveva deciso di tornare in Germania per opporsi, con ogni mezzo, al nazionalsocialismo. Per Bonhoeffer non è solo una questione teorica. Il teologo si fa militante, non può rimanere in disparte, deve dare testimonianza di ciò in cui crede. Si comprende quindi il suo rovello: è lecito fare il male (uccidere) per ottenere il bene? La risposta è affermativa: Hitler deve morire perché l’Europa possa riscoprire le sue vere radici. È il male minore. «La dittatura di Hitler – riflette Bonhoeffer – censurava le mie parole impedendomi di parlare in pubblico o di esporre su carta i miei pensieri e, allora, che potevo fare se non ascoltare l’ammiraglio Canaris ed entrare nei servizi segreti dell’Abwehr». Bonhoeffer se la prende anche con la Chiesa: «La Chiesa tedesca ha taciuto e io ne sono uscito. Non potevo restare in una Chiesa che taceva di fronte all’assassinio di milioni di esseri umani. Il discutere senza fine e non agire, il non voler rischiare, questo è il vero pericolo». L’operazione Valchiria, una congiura per uccidere Hitler e rovesciare il nazismo, con la complicità dell’esercito, finirà male. Hitler si salverà dall’attentato bombarolo, probabilmente perché l’ordigno esplose mentre il dittatore era ripiegato sul tavolo, che lo protesse. La rete dei congiurati venne fuori quasi subito, la resistenza al nazismo fu liquidata in un colpo solo.
Forse non mi tirerei indietro se fossi invitato a partecipare a un complotto per uccidere ad esempio Donald John Trump! Naturalmente lo farei gratis!
08/03/2024
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