Omelie 2018 di don Giorgio: SETTIMA DOPO PENTECOSTE

8 luglio 2018: SETTIMA DOPO PENTECOSTE
Gs 10,6-15; Rm 8,31b-39; Gv 16,33-17,3
Saper distinguere ciò che è storico da ciò che è semplicemente un mito
Anche i tre brani della Messa di oggi meritano una particolare attenzione, ma l’omelia non è una conferenza e perciò, anche per il poco tempo a disposizione, cercherò di soffermarmi su qualche aspetto del primo brano, senza la pretesa di esaurire la profondità della Parola di Dio.
E già dire Parola di Dio mi porta subito a fare qualche doveroso chiarimento.
Gli studi più recenti concordano su una cosa, ovvero sul fatto che la Bibbia non è da leggere come se gli eventi narrati fossero tutti e del tutto storici. Ci soni libri in particolare che vanno interpretati, distinguendo ciò che storico da ciò che è semplicemente un mito. Basterebbe pensare alle pagine della Genesi con il racconto della creazione del mondo e dell’essere umano, con il racconto del cosiddetto peccato originale, del diluvio, della torre di babele, ecc. La stessa storia di Abramo è in parte mitica, così pure la storia dei patriarchi, la storia di Mosè, di Giosuè, ecc. Ci sono studiosi che mettono in dubbio la storicità di Abramo, di Mosè, ecc. Una cosa è certa: ogni popolo antico faceva risalire le proprie origini a figure leggendarie.
Senza cadere nel rischio di distruggere tutta la storicità del popolo ebraico, non si può negare che Abramo, i patriarchi, Mosè, Giosuè ecc. siano stati fortemente enfatizzati, nel bene e anche nel male. Ciò non toglie che possiamo anche parlare di una Parola di Dio che s’incarna nel mito.
L’importanza del mito
Un’altra cosa da chiarire. Dire mito di per sé non è lo stesso che dire cosa leggendaria o del tutto fantasiosa. I miti, presso gli antichi popoli e anche presso i grandi filosofi greci (pensate a Platone), avevano un’enorme importanza, perché contenevano dei messaggi, degli insegnamenti sui grandi perché della vita e del mondo divino. I miti servivano agli antichi per rappresentare qualcosa di profondo che sarebbe stato più difficile comunicare e consegnare alla storia mediante fatti accaduti, tanto più se questi fatti non si conoscono, oppure mediante riflessioni del tutto logiche.
Nel mito c’è del vero, forse più di quanto possiamo vedere negli stessi eventi storici, che possono essere del tutto banali, e che perciò scompaiono nel nulla. Di per sé un fatto accaduto passa col tempo, mentre il mito rimane, sempre però da scoprire nella sua simbologia che tocca realtà nella loro profondità.
Purtroppo, i libri di storia narrano eventi, nel loro svolgersi in un determinato tempo e in una determinata zona, ma non parlano mai, o troppo poco, dei miti. I ragazzi, soprattutto di oggi, vanno educati a scoprire il valore anche del mito.
Il primo brano della Messa
Fatte queste doverose premesse, facciamo qualche riflessione sul primo brano della Messa. Non entro nel merito, l’ho già fatto in altre omelie, delle parole con cui Giosuè impone al sole di fermarsi, per avere così la possibilità di sterminare i nemici con a capo i re degli Amorrei. Oggi tutti gli studiosi concordano nel dire che si tratta della citazione di un brano poetico, dunque da non interpretare alla lettera. Certo, non va dimenticato che nel passato, il racconto di Giosuè è diventato famoso per gli incidenti di percorso lungo i secoli, circa la discussione sul “sole che gira attorno alla terra” (convinzione comune fino al secolo XVII) e “la terra che gira attorno al sole” (convinzione sostenuta da Galileo: 1564-1642). La discussione divenne polemica religiosa e non si fermò a livello scientifico, coinvolgendo criteri interpretativi della Scrittura e problemi sulla verità biblica. Il testo della Scrittura, che leggiamo oggi, è la relazione di una delle battaglie che il popolo d’Israele ha affrontato nella conquista della terra promessa che gli ebrei stavano lentamente popolando.
Il diritto del primo occupante
Ed è qui che qualcosa non funziona: come si può accettare un Dio che si vendica distruggendo popolazioni che difendevano i diritti del loro territorio, contro il popolo ebraico che voleva conquistare terre non sue?
Ogni popolo ha diritto ad esistere e ad avere un proprio territorio, ma non violando i diritti delle altre popolazioni. E ancor peggio se ciò succede in nome del proprio Dio, il quale  viene immaginato come uno che colpisce chi è ritenuto nemico mandando grosse pietre (grandine) dal cielo.
Certo, anche il popolo ebraico aveva diritto a esistere e ad avere una propria terra. Ma che cosa ha combinato, in nome del suo Dio? E oggi che cosa combina, proibendo ai palestinesi di avere un loro territorio?
Approfondiamo il discorso. La terra di chi è? Chi è in realtà il vero e unico proprietario? Forse coloro che, più veloci e più forti, arrivano per primi a conquistare le terre, senza magari rispettare i diritti dei più deboli?
Ma il diritto del primo occupante in quale carta costituzionale è sancito? Non certamente nella carta costituzionale di Dio, il quale non ha creato il mondo dicendo: “Adesso, fatene ciò che volete: ognuno può prenderne una parte che vuole, anche tutto: siate furbi, veloci, usate la forza che avete…».
Neppure oggi, nonostante il cosiddetto progresso umano e sociale, siamo ancora convinti che la terra andrebbe divisa in parti uguali per ogni abitante, diciamo per ogni figlio di Dio. No! Se ho soldi, potere, favori e raccomandazioni dalla mia parte, posso prendermi ciò che voglio. Quando, anni fa, in una predica nella mia ex comunità di Monte avevo detto che chi possiede terre oltre il dovuto, è un ladro, è successo il finimondo. Eppure, è così. Lo dice la destinazione universale dei beni della terra. Benedetto XVI aveva scritto in un messaggio quaresimale: “Noi siamo amministratori della terra, e non proprietari”.
Noi occidentali abbiamo occupato terre altrui in tutto il mondo, massacrando popolazioni, distruggendo culture, e oggi ci lamentiamo del fenomeno migratorio.
Non accetto la vendetta di Dio per favorire i più ricchi o i più potenti o i cosiddetti “popoli eletti”. Ma la vendetta divina la vedo, quando popoli massacrati da noi occidentali oggi occupano l’Europa.
Forse dovremmo restituire ciò che abbiamo loro tolto. Altro che sentirci noi occidentali come se fossimo derubati di chissà quale diritto!

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