8 settembre 2024: II DOPO IL MARTIRIO DI S. GIOVANNI IL PRECURSORE
Is 63,7-17; Eb 3,1-6; Gv 5,37-47
Commentare il primo brano della Messa richiede forse più impegno e preparazione, ma lo ritengo doveroso perché credo sia opportuno riflettere su brani che solitamente non si commentano, anche perché richiedono più preparazione.
Il brano di oggi, sempre utile inquadrarlo, è tolto dal cosiddetto Terzo Isaia, un autore anonimo che è vissuto durante la ricostruzione del tempio di Gerusalemme e negli anni successivi (dal 520 a.C.), quindi nel periodo post esilico, quando gli ebrei esiliati a Babilonia graziati dall’editto del 538 di Ciro il Grande erano tornati in patria.
Il brano di oggi, per inquadrarlo ancor meglio, segue una parte iniziale, i primi sei versetti, di non immediata interpretazione, a causa anche della simbologia del vestito di color rosso, come di chi “pigia nel tino”. A porre la domanda “chi è costui?”, è una sentinella, a cui risponde lo stesso personaggio che è il Signore: «Sono io che parlo con giustizia e sono grande nel salvare». La sentinella chiede perché è vestito di rosso, il Signore risponde: «Nel tino ho pigiato da solo e del mio popolo nessuno era con me»; e riferendosi ai nemici del popolo eletto, dice: «Li ho pigiati nella mia collera. Il loro sangue è sprizzato sulle mie vesti e mi sono macchiati tutti gli abiti».
È il Signore stesso che ha compiuto da solo l’opera del giudizio e della condanna sugli oppressori.
Ed ecco il cambio repentino di scena, ed è il brano di oggi. A fare domande non è più una sentinella, ma un solista a nome di tutto Israele. Il tono cambia in una bellissima preghiera di intercessione, una delle più commoventi della Scrittura, che nasce dalla esperienza dell’esilio a Babilonia. Siamo alla fine del secolo VI, e davanti agli occhi resistono ancora vivissimi i ricordi della distruzione di Gerusalemme (586 a.C.), le urla delle donne terrorizzate che fuggono con i loro figli, le stragi per le strade e le fiamme che avvolgono i palazzi ed il tempio.
L’inizio della preghiera è un pensiero di speranza da parte di Dio stesso, che, nonostante tutto, spera nella conversione o nel ravvedimento di questo popolo che egli ha aiutato in ogni modo. “Senz’altro – così pensa il Signore – questo popolo con la sua intelligenza e la sua sensibilità saprà riconoscere la bontà e l’opera che io ho svolto per loro. Certo – dice il Signore – essi sono il mio popolo e i figli che non deluderanno”.
Il profeta garantisce che questi sono i pensieri di Dio e lo fa a nome di Dio, mentre ripensa ai significati della storia del popolo. Dio stesso si è fatto carico della salvezza, non ha mandato un angelo o un messaggero, ma Lui in persona è intervenuto come il Salvatore: Ecco le parole del profeta: «Non un inviato né un angelo, ma Dio stesso li ha salvati; con amore e compassione li ha riscattati, li ha sollevati e portati su di sé, tutti i giorni del passato».
Ma succede di nuovo ciò che era successo nel passato: il popolo tradisce, e Dio rimprovera e punisce, poi perdona, poi il popolo torna a tradire, e così via. Una storia di interventi di Dio, di tradimenti del popolo.
Qualcuno obietterà: Ma Dio non sapeva di aver scelto un popolo di dura cervice, sempre pronto a tradire la sua Alleanza? Certo che lo sapeva, e ha scelto un popolo proprio così, perché così è Dio: egli sceglie le vie più difficili per aprire strade nuove, nonostante siano bloccate dalla infedeltà umana, di figli che dovrebbero obbedire, invece abbandonano la via della giustizia per camminare sulle strade sbagliate.
Così l’itinerario del pentimento deve ricominciare dalle origini, riandare al deserto e a Mosè che si fece umile mediatore e quindi ubbidiente testimone delle promesse di Dio.
È interessante questo tornare anche solo con la mente al passato glorioso, quando Dio quasi conduceva per mano il suo popolo su strade difficili, servendosi anche di guide forti ma anche deboli e dubbiose.
In realtà non esiste un passato del tutto esente da colpe, un passato tutto glorioso, anche se rivisto nell’oggi siamo tentati di idealizzarlo, e se oggi tutto sembra perduto, è anche per colpa di un passato che pur nobile nei suoi ideali non è stato vissuto secondo quella carica profetica che doveva dare una svolta ancor più radicale.
Penso anche alla diocesi a cui appartengo, quella milanese, con un passato diciamo nobile, con pastori autorevoli, eppure qualcosa non ha funzionato se oggi siamo qui in enorme difficoltà, per mancanza di vocazioni, per mancanza di un piano pastorale di larghe vedute.
Certo, abbiamo avuto cardinali di un grande spessore per autorevolezza, anche perché di grandi ideali. Sant’Ambrogio e San Carlo, per citare i più noti, hanno lasciato segni e solchi che sono durati secoli e secoli.
E quando oggi provvidenzialmente ci capita (sì, perché magari non previsto e magari sfuggito di mano) qualche segno provvidenziale, il suo solco sembra sparire in pochi anni, anche perché in modo del tutto irragionevole per non dire perverso sembra che si divertano a distruggere le diocesi più grandi mettendo a capo soggetti di bassa levatura, anche se è vero che Dio sceglie gli scarti per realizzare il suo Regno, ma qui non si tratta di scarti docili nelle mani di un Dio che come un vasaio compie opere meravigliose.
Come si fa a tacere quando gli stessi profeti nell’Antico Testamento contestavano, e anche duramente, re e sacerdoti indegni, coloro che avevano in mano una nazione, sia dal punto di vista politico che religioso, ma in balìa di un ego spaventoso, di potere, di ricchezze, di violazioni di ogni norma divina.
E non diciamo, per comodità o per convenienza o per opportunismo, che Dio sa trarre anche dal male un bene migliore, e che da questi anni in cui la diocesi milanese è stata retta da pastori indegni o non all’altezza, poi verrà del bene, ma, a meno di non voler tentare Dio stesso, una pastorale per nulla lungimirante, del tocca e fuggi, di un pensiero vuoto, di un girare come trottola attorno al nulla, che cosa potrà dare di buono in vista di un futuro migliore?
Anche noi milanesi siamo finiti nel vicolo cieco di emergenze che si tenta di risolvere nelle emergenze, sempre con una pastorale del fai da te occasionale. Si teme per un futuro ancor più incerto e in un vicolo cieco, ma perché già oggi non pensare a una pastorale d’insieme che crei quelle premesse, giuste premesse per trovare qualche giusta soluzione.
Non possiamo limitarci a guardare al passato, e vivere di rendita, tanto più che il passato migliore si sta allontanando perché l’oggi del vuoto e della follia si sta allungando. E, solo accenno, per fare questo occorre da parte dei pastori circondarsi di collaboratori giusti, intelligenti, profetici, e non prenderli come zerbini o paraventi per coprire l’insensatezza di pastori ridicoli e inutili.
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