A 12 anni dalla notte di Eluana: come la sua storia ha cambiato anche le nostre
da www.udinetoday.it
A dodici anni dalla morte di Eluana Englaro:
A 12 anni dalla notte di Eluana:
come la sua storia ha cambiato anche le nostre
A ricordare la vicenda di Eluana Englaro, che il 9 febbraio del 2009 ha smesso di respirare, è stato il consigliere regionale Furio Honsell, allora sindaco di Udine
Anna Dazzan
08 febbraio 2021
Dodici anni fa, il 9 febbraio 2009, “a Udine, cessava di respirare Eluana Englaro”. Così il consigliere regionale di Open Sinistra Fvg Furio Honsell ha deciso di ricordare la giovane di origini friulane che ha vissuto in stato vegetativo per 17 anni, prima di trovare accoglienza alla Quiete di Udine dove morì, a seguito dell’interruzione della nutrizione artificiale.
“Non cessò di vivere nel 2009. Ciò avvenne altrove, diciassette anni prima. Una rianimazione non andata a buon fine la lasciò in uno stato vegetativo”. Così si esprime, in una nota, Furio Honsell, che all’epoca dei fatti era il primo cittadino del capoluogo friulano. “Udine fu l’unica città che seppe accogliere un padre ed una figlia in una fase tremenda della loro vita. Udine città dei diritti civili, seppe garantire loro il diritto alla giustizia. Tutti i livelli di giudizio infatti avevano autorizzato la rimozione del sondino naso-gastrico, come chiedeva il padre in nome della figlia. Udine seppe così rendere esigibile il diritto al rifiuto delle cure quando queste sono degradanti, come sancisce la nostra Costituzione”.
Il caso
Il caso di Eluana Englaro, come noto, scaldò non solo i tavoli della cronaca, ma anche quelli della politica italiana per molti mesi, prima di trovare la conclusione nell’accoglienza alla Quiete di Udine. Fu infatti la clinica friulana ad accogliere le richieste di Beppino Englaro, che aveva percorso le vie legali al fine di permettere l’interruzione dell’idratazione e alimentazione artificiale, dopo che la Regione Lombardia aveva negato alle strutture sanitarie regionali di effettuare l’interruzione delle cure che tenevano in vita la donna.
“Beppino Englaro – si legge ancora nella nota del consigliere – è un eroe civile per aver sostenuto con forza una battaglia di civiltà senza ipocrisie, aprendo la strada alla legge 219/17 sul consenso informato e le disposizioni anticipate di trattamento. Il progresso scientifico ci obbliga a un’elaborazione bioetica permanente e responsabile, che metta in discussione i risultati di ogni nuova conquista. Ma il progresso civile si raggiunge solamente quando il pensiero bioetico si rafforza dello slancio di amore di un padre”.
Il biotestamento e la fine vita
A contorno della dolorosa vicenda personale e familiare che ha coinvolto Eluana Englaro e la famiglia, si è mossa un’intera nazione scossa dalla battaglia di un padre che rivendicava il diritto di sua figlia a non essere più tenuta in vita, come lei stessa aveva più volte dichiarato prima del terribile incidente a seguito del quale rimase in stato vegetativo. La richiesta della famiglia di interrompere l’alimentazione forzata, considerata un inutile accanimento terapeutico, fece esplodere un dibattito sui temi legati alle questioni di fine vita. Dopo un lungo iter giudiziario, l’istanza fu stata accolta dalla magistratura, non solo per mancanza di possibilità di recupero della coscienza, ma anche secondo la ricostruzione della volontà della ragazza, tramite le testimonianze di chi la conosceva e la frequentava.
A quasi 9 anni dalla morte di Eluana Englaro, nel dicembre del 2017, il biotestamento è poi diventato legge. Al Senato è stato dato l’ok con 180 sì e 71 voti contrari e un grande applauso in Aula, dopo la comunicazione del risultato.
Consenso informato
La legge stabilisce che nessun trattamento sanitario possa essere iniziato o proseguito se privo del consenso libero e informato della persona interessata. Il consenso informato tra medico e paziente è espresso in forma scritta o, nel caso in cui le condizioni fisiche del paziente non lo consentano, attraverso videoregistrazione o dispositivi che consentano alla persona con disabilità di comunicare. Il consenso informato può essere revocato anche quando la revoca comporti l’interruzione del trattamento, incluse la nutrizione e l’idratazione artificiali che, viene specificato nel testo, ‘sono trattamenti sanitari’, in quanto ‘somministrati su prescrizione medica di nutrienti mediante dispositivi sanitari’.
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dal sito www.dongiorgio.it del 24 settembre 2014
di don Giorgio De Capitani
Leggendo su Merateonline la notizia della manifestazione di un centinaio di “cattolici” (la maggior parte venuti da fuori e vicini al “Movimento mariano Regina dell’amore di Treviso” e al “Movimento con Cristo per la vita” di Vicenza), che si è svolta nei giorni scorsi per le vie di Lecco, nella Basilica san Nicolò con la celebrazione della Messa e davanti alla clinica Talamoni, per ricordare Eluana Englaro, morta nel febbraio del 2009, diciassette anni dopo l’incidente stradale che l’aveva ridotta in stato vegetativo, mi sono chiesto se questa è veramente la vera Chiesa, quella che papa Francesco cerca di “umanizzare”, portandola, benché faticosamente, fuori da quel fondamentalismo cieco e ottuso, che purtroppo attanaglia ancora una buona parte di pseudo-credenti. Questi non rappresentano certo la Chiesa “migliore”! Purtroppo ce ne sono, resistono ad ogni soffio rinnovatore dello Spirito, urlano e biascicano litanie, pregano e bestemmiano. Non sanno quello che fanno: sono invasati, manipolati da preti che predicano amore e violentano la dignità dell’essere umano, pretendendo di sottomettere la coscienza ai dettami di una religione che ha perso ogni ragione. D’altronde, che cosa hanno fatto i nostri politicanti di destra, i ciellini che, alla notizia della morte di Eluana, gridavano: Assassini! Ce ne siamo dimenticati?
La città di Lecco non ha reagito. Non me la prenderei più di tanto: l’indifferenza talora è segno di disprezzo, lasciando sfilare i dementi tra il ridicolo!
Comunque, prendiamo anche da questa “oscena” buffonata l’occasione per rinnovare qualche domanda fondamentale: che cos’è la vita? Attorno a questa parola ruotano la legge e la coscienza, si decide il destino proprio e si impone il destino altrui.
Lo stato vegetativo persistente non è “Vita Umana”, almeno così la penso io, e con me tanti credenti. Anche la Scienza (con la S maiuscola) lo conferma. Ma la religione vuole sempre dire l’ultima parola, in nome di quel dio che sembra divertirsi nel vedere i propri figli soffrire oltre l’ultimo respiro “naturale”, protratto a tempo indeterminato da una tecnologia sanitaria, fredda e disumana. Inoltre: perché deve essere il Parlamento a decidere per me? In base a quale criterio scientifico dicono che l’alimentazione e la idratazione sono sostegni vitali irrinunciabili? Mi ricordo che già i nostri vecchi, veramente saggi, quando capivano di essere alla fine, rinunciavano a mangiare e a bere. Ed erano profondamente cristiani!
Io chiedo, nel pieno diritto del mio “essere umano”, l’autodeterminazione della mia esistenza. Rivendico il diritto di decidere del mio destino: se vivere o se morire. Non giudico nemmeno chi si suicida. Non faccio troppe distinzioni sottili tra eutanasia e testamento biologico. Una cosa è certa: il testamento biologico (decidere prima se voglio o no continuare a vivere, nel caso in cui un domani cadessi in stato vegetativo irreversibile) è un diritto di ogni cittadino e di ogni credente. Nessuno ha il diritto o dovere di togliermelo. Tanto meno il Dio in cui credo, perché il mio Dio vuole la vita, e non che continui ad essere tenuto legato ad una macchina, che mi tiene disteso sul letto come se fossi già in un sepolcro. I santi desideravano morire per raggiungere il loro Dio, e questi mentecatti super-cattolici vorrebbero che io rimanessi su questa terra, con un corpo congelato chissà fino a quando, nella speranza che la tecnologia inventi altri mezzi per prolungare la mia partenza, magari per altri trecento e più anni!
Non sostengo queste cose da oggi, ma da anni. Nel 2009, nel mese in cui Eluana Englaro finalmente poteva tornare alla Casa del Padre, la Rivista MicroMega lanciava un appello ai sacerdoti italiani, perché vi aderissero. L’appello era il seguente:
«La legge sul testamento biologico che il governo e la maggioranza si apprestano a votare imprigiona la libertà di tutti i protagonisti coinvolti al momento supremo della morte. Definendo il nutrimento e l’idratazione forzati come cura ordinaria e obbligata e non più come intervento terapeutico straordinario, la legge annulla ogni possibilità di valutazione sull’accanimento terapeutico. L’interessato, i familiari e il medico stesso sono impotenti di fronte ad una volontà esterna che impone un protocollo che è solo politico e non morale. La vita deve essere rispettata sempre e senza condizioni, finché resta vita umana nella coscienza, nella dignità e nella forza di sostenerla. La morte è un appuntamento naturale a cui tutti siamo chiamati; per i credenti poi è il vertice della vita vissuta, la soglia che introduce all’eternità. La decisione di porre fine ad una parvenza di esistenza è di pertinenza esclusiva della persona interessata che ha il diritto di esporla preventivamente in un testamento, oppure alla famiglia di concerto con il medico che agisce in scienza e coscienza. Con la forza della ragione e la serenità della fede ci opponiamo ad un intervento legislativo che mortifichi la libertà di coscienza informata e responsabile in nome di principi che non sono di competenza dello Stato e tanto meno di un governo o di un parlamento che agiscono in modo ideologico sull’onda emotiva e la strumentalizzazione di una dolorosa vicenda (Eluana Englaro). Come credenti riteniamo che chiunque come è stato libero di vivere la propria vita, così possa decidere anche di morire in pace, quando non c’è speranza di migliorare le proprie condizioni di esistenza umana.»
Aderirono all’appello 41 sacerdoti, tra cui il sottoscritto. Ecco i nomi, pubblicati su MicroMega il 23 marzo 2009.
don Paolo Farinella (Genova), don Vitaliano della Sala (Sant’Angelo a Scala, Avellino), don Enzo Mazzi (Firenze), don Raffaele Garofalo (Pacentro, l’Aquila), padre Fausto Marinetti (Sinigaglia, Ancona), don Andrea Tanda (Oristano), don Ferdinando Sudati (Paullo, Milano), don Adolfo Percelsi (La Loggia, Torino), don Giovanni Marco Gerbaldo (Modena), don Pierantonio Monteccucco (Voghera), don Chino Piraccini (Cesena), don Marcello Marbetta (Albano Laziale, Roma), padre Tiziano Donini (Trento), don Aldo Antonelli (Antrosano, l’Aquila), don Roberto Fiorini (Mantova), don Luigi Consonni (Pioltello, Milano), don Angelo Cassano (Bari), don Renzo Fanfani (Firenze), don Nicola De Blasio (Benevento), don Goffredo Crema (Cremona), don Guglielmo Sanucci (Roma), dom Giovanni Franzoni (Roma), padre Benito Maria Fusco (Bologna), padre Pierangelo Marchi (Caserta), don Paolo Tornambè (Avezzano, l’Aquila), don Carlo Sansonetti (Attigliano, Terni), don Franco Brescia (Napoli), don Carlo Carlevaris (Torino), padre Nino Fasullo (Palermo), don Andrea Gallo (Genova), don Angelo Bertucci (Rovereto), don Alessandro Santoro (Firenze), don Franco Barbero (Pinerolo), don Giorgio De Capitani (S. Ambrogio in Monte di Rovagnate, Lecco) don Francesco Capponi (Itaberai, stato di Goias, Brasile), don Alessandro Raccagni (Bergamo), don Salvatore Corso (Trapani) don Riccardo Betto (Vigodarzere, Padova), don Albino Bizzotto (Padova), don Sandro Artioli (Sesto San Giovanni), padre Gino Barsella (Roma).
Alla fine di agosto di quello stesso anno, partì dalla Congregazione per la Dottrina della Fede una lettera indirizzata ai vescovi diocesani e ai superiori provinciali dei 41 preti diocesani e religiosi contenente un ordine preciso: convocare i sacerdoti per richiamarli all’ordine ed eventualmente punirli con la “sospensione a divinis”.
Da parte mia, non ricetti alcun avviso. In un incontro successivo che ebbi con il mio vescovo di allora, Dionigi Tettamanzi, gli chiesi esplicitamente: “Eminenza, ha ricevuto la lettera nei miei riguardi?”. Risposta: “Sì, l’ho ricevuta, ma l’ho tenuta nel cassetto”. Ecco chi era Tettamanzi! Ho saputo che altri miei confratelli invece la pagarono!
NOTABENE.
Un appunto sulla manifestazione lecchese dei giorni scorsi. È stata celebrata anche una Messa nella Basilica di San Nicolò. Mi chiedo: perché il prevosto, monsignor Franco Cecchin, ha dato il permesso?
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