Omelie 2025 di don Giorgio: PRIMA DI QUARESIMA

9 marzo 2025: PRIMA DI QUARESIMA
Gl 2,12b-18; 1Cor 9,24-27; Mt 4,1-11
Iniziando la Quaresima, una premessa è indispensabile. Parliamo di un periodo cosiddetto penitenziale, di quaranta giorni, in preparazione al Mistero pasquale, che è il fondamento della nostra fede cristiana.
È uno dei due periodi liturgici, l’altro è l’Avvento, chiamati “forti”. “Forti”, perché siamo chiamati a viverlo in una intensità di fede, che richiede un radicale distacco da ogni carnalità distrattiva. Per colpa anzitutto di una pastorale distraente, fortemente condizionata dal consumismo più becero di una società desacralizzata, tutti sappiamo quanto l’Avvento abbia reso debole la nostra fede di credenti debosciati, forse la Quaresima ha mantenuto ancora qualche decenza di sacralità, ma sempre al di sotto di ciò che richiederebbe un Mistero, quello pasquale, senza il quale non esisterebbe il Cristianesimo.
Chiariamo subito una cosa. Se, come da tempo sostengo, il colore liturgico dell’Avvento dovrebbe essere il verde, come richiamo della speranza gioiosa per l’attesa della Nascita del Salvatore, è invece pedagogico che il colore quaresimale sia il “morello”, come richiamo della purificazione o del distacco che esige il Mistero pasquale, come passione, morte e risurrezione. La risurrezione è preceduta dalla passione e dalla morte. Passione che non è dunque fine a se stessa, ma in vista della risurrezione.
Qui il chiarimento: anche per un eccesso di una ascetica diciamo negativa, intesa come mortificazione fisica o rinuncia a qualche vizio di troppo, arrivando anche a digiuni eccessivi o a vere e proprie lacerazioni della carnale (pensate ai cilici), la Quaresima era diventata come un incubo, o qualcosa di opprimente. Anche qui, rifacendosi ad antichi filosofi greci (pensate a Plotino che ha reso bene l’idea, con l’immagine dello scultore che per trarre la statua da un pezzo di marmo toglie, toglie e toglie fino a fare un capolavoro; pensate anche quando si tolgono strati e strati di calcina sapendo che sotto c’è nascosto un dipinto), ebbene i Mistici medievali avevano parlato di distacco, premessa necessaria per l’Unione mistica con Dio. Su Dio abbiamo messo troppo di nostro, pensate alla religione con i suoi dogmi, dicendo: Dio è questo, Dio è quello; perciò occorre togliere, togliere, togliere se vogliamo avvicinarci alla purezza dello Spirito. Già la parola “spirito” dovrebbe farci riflettere. Già dire Dio come Bene Assoluto, ovvero sciolto da ogni condizionamento, dovrebbe mettere in crisi una fede dogmatica.
Tornando alla Quaresima, il distacco è utile, necessario anche per alleggerire il nostro corpo appesantito da troppe cose, in vista di una maggiore libertà interiore. Le cose eccessive, superflue, il di più incidono sulla libertà interiore: lo spirito si sente soffocato. Tolgo l’eccesso, e lo spirito rivive. Sto bene come corpo, perché mi sento libero, dentro.
Quindi, la Quaresima va vissuta come un momento positivo, anche se costa qualche sacrificio, perché si rinuncia a qualcosa a cui ci siamo attaccati eccessivamente. E non c’è solo il troppo o il superfluo avere già acquisito, che appesantisce il nostro cammino interiore: gli stessi desideri possono essere ancor più opprimenti. Non ho, non posso avere, ma desidero la tal cosa, la vorrei, e questo crea maggiori problemi anche di carattere psichico. Un filosofo antico, Diogene, andava frequentemente al mercato, non per comperare qualcosa ma per ritenersi fortunato, esclamando: “Guarda di quante cose non ho bisogno!”.
Lo stesso Platone ha scritto che la filosofia è “un esercizio di morte”, nel senso che il vero filosofo sa staccarsi, quasi morire alle cose, al troppo, a ciò che reprime l’anima o lo spirito.
Due in particolare erano gli oracoli scolpiti, secondo la tradizione, nel tempio di Apollo in Delfi, in Grecia, attribuiti al dio stesso o ai vari sapienti dell’antichità: oltre il notissimo “conosci te stesso”, era scolpita anche la frase “niente di troppo”, in greco, μηδὲν ἄγαν, in latino “ne quid nimis”, come invito a evitare le esagerazioni e per raccomandare la moderazione necessaria in ogni cosa. Interessante ciò che scrive Alessandro Manzoni nei “Promessi sposi”: «[il cardinale Federigo] ebbe a combattere co’ galantuomini del “ne quid nimis”, i quali, in ogni cosa, avrebbero voluto farlo star ne’ limiti, cioè ne’ loro limiti». Come a dire: il troppo è su misura di ciò che stabilisce il ricco, che ha troppo, e che ritiene il troppo mai con dei limiti. Succede anche a noi credenti: giudichiamo noi ciò che è troppo e ciò che è necessario, arrivando a dire che mai è troppo, e che tutto è necessario, avendo come punto di riferimento il troppo dei ricchi, da ritenere come un ideale da raggiungere.
Non possiamo certo dimenticare le dure parole di Cristo, che troviamo nel Vangelo secondo Luca (6,24-25): «Ma guai a voi, ricchi, perché avete già ricevuto la vostra consolazione. Guai a voi, che ora siete sazi, perché avrete fame”.
“Avrete fame di che”?, possiamo chiederci. E Dio risponderà: “Avrete fame di qualcosa di essenziale che non potrete soddisfare, proprio perché siete sazi di cose materiali”.
Mi ricordo di aver letto che Giacomo Biffi, cardinale di Bologna, una mente acutissima, scrisse che per lui l’inferno è una continua lacerante tensione al Divino, oramai irraggiungibile. In fondo l’inferno è già qui, anche se non è uno stato irreversibile, come sarà nell’aldilà: qui, sulla terra, c’è ancora la possibilità di dare soddisfazione al nostro tendere verso il Divino con la conversione.
Ecco che cosa per noi può rappresentare la Quaresima di quest’anno, per di più inserita nell’Anno giubilare, Anno di Grazia. Per trovare l’autentica consolazione occorre convertici, ovvero, secondo le parole di Cristo “Metanoèite, cambiare il nostro modo di pensare. Per alcuni, forse per troppi, è oramai impossibile cambiare il modo di pensare, se è vero che alla massa è stata tolto il cervello, ovvero è stato spento l’intelletto divino.
Ed ecco le altre parole di Cristo, nel Vangelo secondo Marco (8,34-35): «Convocata la folla insieme ai suoi discepoli, disse loro: “Se qualcuno vuol venire dietro di me rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vorrà salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia e del vangelo, la salverà».
Chiariamo. Gesù parla non solo ai suoi discepoli, ma anche alla folla. Tutti, dunque, siamo coinvolti nel messaggio radicale di Cristo.
Gesù invita a rinnegare se stessi, ovvero a sradicare il proprio ego, per riscoprire la purezza dello spirito. Rinnegare, ovvero distaccarsi dall’ego con tutti i suoi derivati.
“Chi vorrà salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia e del vangelo, la salverà”. Che significa? Anche qui ci è utile il testo greco: il termine greco a indicare la vita non è “bios”, ma “psyché”, inteso anche come anima, che è la parte emozionale, la parte che sta tra la carne e lo spirito, qualcosa che talora fa da diaframma, da ostacolo, come un muro tra il corpo e la parte interiore.
Gesù, dunque, ci invita a togliere questo muro, se vogliamo salvarci nel nostro mondo interiore, riattivando in noi la luce dell’Intelletto divino.

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