Omelie 2023 di don Giorgio: SESTA DOPO PENTECOSTE

9 luglio 2023: SESTA DOPO PENTECOSTE
Es 33,18-34,10; 1Cor 3,5-11; Lc 6,20-31
Anche i brani della Messa di oggi sono ricchi di spunti di riflessione: spunti perché il tempo a disposizione non permette di soffermarci a lungo. Ma può bastare anche un solo spunto perché poi ciascuno, in settimana, possa riflettere trovando qualche momento opportuno.
Primo brano. Dico subito: Mosè è un personaggio poliedrico, con diverse sfaccettature: per un verso è affascinante e simpatico, perché si presta a considerazioni che elevano il nostro spirito, nei suoi incontri con Dio; e per l’altro, nella sua storicità di guida di un popolo dalla dura cervice in cammino verso la terra promessa rivela tutta la sua precarietà e proprio per questo egli vorrebbe coprirla con una certa durezza di carattere.
In ogni caso, le pagine più belle sono quella che abbiamo letto oggi: così elevata, diciamo anche mistica, che, commentarla, si rischierebbe di banalizzarla.
Una cosa però vorrei chiarire. Dicevo le stesse cose quando spiegavo i dieci comandamenti, non solo agli adulti, ma già ai più piccoli delle elementari: con i bambini ricorrevo anche a qualche immagine, per esempio quella dell’orologio. Ponevo subito la domanda: qual è la natura dell’orologio? Risposta: segnare esattamente il tempo nello scorrere dei secondi, minuti, ecc. Se l’orologio si blocca per un guasto, lo si ripara. Se la batteria è scarica, la si cambia. Se non segna esattamente le ore, che orologio sarebbe? E quando lo si ripara o lo si fa funzionare, non è che si dà all’orologio un’altra natura o funzione. La natura dell’orologio è sempre la stessa: segnare le ore in modo esatto.
Quando si dice che Dio ha dato a Mosè i dieci comandamenti sembra quasi che in quel momento Egli li abbia inventati di sana pianta. E, ancor peggio, avendoli incisi su delle pietre sembra che siano leggi che vengano dall’esterno del nostro essere.
Qui occorre chiarezza. Se dico a un bambino: cerca di essere buono, di essere gentile, di obbedire, di studiare, ecc. ecc. non parlo di norme o di consigli o di qualcosa di esterno a ciò che il bambino è nel suo essere interiore: ogni norma richiama l’essere interiore. Così se dico alla gente: bisogna essere giusti, onesti, caritatevoli, non sono norme o consigli che provengono dall’esterno a ciò che ciascuno è nel proprio essere interiore.
In breve, Dio non ha inventato i comandamenti quando li ha dati a Mosè dopo averli incisi su due tavole di pietra. Prima di Mosè, l’uomo chi era? Dio ha inventato i comandamenti, quando ha creato l’uomo. I comandamenti, intesi comunque come dovrebbero essere intesi, sono iscritti nel nostro essere, fanno parte della nostra stessa natura.
E allora perché Dio ha dato a Mosè i comandamenti incisi su due tavole di pietra? Semplicemente perché l’uomo li aveva dimenticati, offuscati, traditi. In altre parole, tenendo ancora presente l’esempio dell’orologio, Dio è intervenuto per riparare ciò che nell’essere umano non funzionava più. Ha voluto ricordare, tramite Mosè, che noi, come un orologio rotto, avevamo tradito il nostro essere interiore. Nonostante ciò, l’uomo non ha capito, e Dio nei tempi da lui stabiliti manderà sulla terra il suo Figlio, per dirci: Siete come orologi rotti, non segnate più l’eternità divina, tornate in voi stessi, e riprenderete ad essere ciò che siete in quanto creature di Dio, in quanto figli di Dio.
Secondo brano. Ciò che dice l’apostolo è da approfondire. In breve dice: noi ariamo un terreno, noi gettiamo un seme, che tra l’altro non è nostro, ma è Dio che fa crescere il “suo” seme. Certo, dice san Paolo, noi siamo collaboratori di Dio, dobbiamo fare la nostra parte: arare e seminare, ma la crescita del seme è opera di Dio.
San Paolo parla di Grazia. Stupendo! Grazia significa che la crescita del seme avviene in un contesto di dono: nulla di egoistico. Il seme non è di nostra proprietà e non va strumentalizzato solo per noi. L’unico interesse è di Dio, ed è che il seme cresca nella gratuità di quel Bene che è Assoluto, ovvero “sciolto” da ogni condizionamento.
Riuscite a immaginare ciò che sto dicendo, o meglio ciò che sta dicendo l’apostolo Paolo, che è poi il pensiero genuino di Cristo? E noi preti pretendiamo di far crescere noi il “seme divino”, tra l’altro (ed è qui la vera tragedia), in un contesto di condizionamenti che urtano quel Bene purissimo e Assoluto, che è Dio? A noi spetta arare il campo e buttarvi il seme divino, il quale crescerà nel contesto più puro della Grazia divina.
Terzo brano. È la pagina delle Beatitudini, versione Luca. Sì, versione Luca, perché c’è quella più famosa, la versione con cui Matteo introduce il Discorso della montagna.
Due versioni, di Luca e di Matteo, con differenze notevoli, non solo perché la versione di Luca è più stringata (quattro beatitudini invece che otto, come fa Matteo), non solo perché aggiunge alle quattro beatitudini quattro maledizioni antitetiche, non solo perché usa un linguaggio immediato usando il “voi”, mentre Matteo si rivolge in terza persona, ma soprattutto perché, mentre Matteo “spiritualizza” le beatitudini (dice ad esempio “beati i poveri in spirito”), Luca dice: “Beati voi poveri”, senza aggiungere “in spirito”.
Le parole di Luca sembrano suonare come una bestemmia e una pazzia: come si può dire ai poveri materiali: “Siete beati!”. Non bisogna dimenticare che Luca ha scritto il suo Vangelo a dei cristiani provenienti dal mondo pagano, in cui a prevalere era una minoranza di ricchi contro una maggioranza di poveracci, che, proprio perché poveracci erano attratti dal cristianesimo che predicava uguaglianza per tutti.
Certo, non posso dire a un poveraccio: “Beato te che sei poveraccio!”, ma posso dirgli: “Dio sta dalla tua parte! Il messaggio cristiano sta dalla tua parte!”. E non fa certo piacere a Cristo che la Chiesa stia dalla parte dei ricchi e di potenti.
Certo, noi di Chiesa predichiamo bene, ma poi razzoliamo male. Basta il funerale di un riccone infame, celebrato oscenamente nel Duomo di Milano, per capire da che parte sta la Chiesa. Delpini, invece che tenere quell’omelia strana che qualcuno ha definito laica, tra un dire e un non dire, senza colpire nel segno, non avrebbe potuto leggere la pagina delle Beatitudini? I funerali religiosi non si negano a nessuno: tutti, ricchi o poveri, giusti o criminali, abbiamo bisogno del perdono di Dio, ma la Chiesa non può permettere esequie in chiesa, e tanto meno in Duomo, che è come una grande cassa di risonanza, come la santificazione di un uomo che ne ha combinato di tutti i colori. Ancora oggi quando ci penso sto male al pensiero che il nostro Duomo di Milano sia stato come sconsacrato da una celebrazione che di sacro non ha avuto nulla.
Forse bastava poco: su quell’assemblea diciamo “indecente” far calare la voce dello Spirito, con la sua parola tagliente. Bastava leggere l’odierna pagina di Luca, e tenere quel “pubblico senza nobiltà” in silenzio a meditare per dieci minuti. No, il don Abbondio di turno ha preferito balbettare qualcosa di “suo”, come conferma che i ricchi trovano sempre una scappatoia anche quando sono cadaveri. Sì, Dio lo giudicherà da Dio, liberamente, e non nella sua Casa, quando essa è stata trasformata in un palcoscenico da baraccone.

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