Omelie 2016 di don Giorgio: SESTA DOPO IL MARTIRIO DI S. GIOVANNI IL PRECURSORE

9 ottobre 2016: SESTA DOPO IL MARTIRIO DI S. GIOVANNI IL PRECURSORE
1Re 17,6-16; Eb 13,1-8; Mt 10,40-42
Da “hostis” a “hospes”
Nei tre brani della Messa troviamo un tema comune, ed è il dovere dell’ospitalità. Anzitutto, il termine “ospitalità” deriva dal latino “hospes”, mentre la parola “nemico” in latino si dice “hostis”, da qui la parola italiana ostile. Subito una riflessione, ed è del teologo e cardinale francese Jean Daniélou: «L’umanità ha compiuto un passo decisivo, e forse il passo decisivo, il giorno in cui lo straniero da nemico (hostis) è divenuto ospite (hospes)». Commenta don Ciccone: «Se accolgo un povero, l’altro mi considererà sempre un amico e avrà riconoscenza. La guerra nasce da chi ti odia, da chi si sente rifiutato, non da chi ti offre ospitalità. L’ospitalità, in tutte le sue forme, contiene e mantiene la vita».
Inoltre, non dimentichiamo che, presso gli antichi orientali l’ospitalità era sacra. Presso i cristiani, si è dovuto fare dell’ospitalità una delle sette opere di misericordia corporale, per renderla una virtù, perciò un dovere, mentre gli antichi l’ospitalità l’avevano nel sangue.
Una donna pagana che sorprende perfino il profeta Elia
Il primo brano, tratto dal Primo Libro dei Re, è particolarmente ricco di spunti di riflessione. Al contrario di quanto si possa immaginare, protagonista non è il profeta Elia, ma una donna di Sarepta, un paese vicino a Sidone, nella terra fenicia, dunque in una zona pagana, la stessa terra d’origine della regina Gezabele, sposa del re d’Israele Acab, da cui Elia stava fuggendo, perché minacciato di morte.
Dunque, una donna pagana, Gezabele, minaccia Elia, che si era opposto al tentativo della regina di introdurre in Israele divinità fenicie (Baal e Astarte), e un’altra donna, anch’essa pagana, salva Elia dalla fame e dalla sete. È lo stesso Dio d’Israele a invitare il profeta a recarsi da questa donna pagana. Non vi sembra una contraddizione? No, è questo il fascino di Dio che non guarda alla religione, ma al cuore dell’essere umano.
C’è di più. Elia al re d’Israele, Acab, sotto ricatto della sua perfida moglie, come punizione divina aveva predetto tre anni di siccità, e della stessa siccità il profeta resterà vittima. Quando il profeta si nasconde presso il torrente Cherit, nei primi tempi aveva di che vivere: l’acqua gli veniva dal torrente, mentre i corvi gli portavano pane e carne. Ma quando il torrente si secca per la prolungata siccità, Elia è costretto a uscire dal suo nascondiglio, spostandosi verso la terra di Sarepta, in Fenicia. E qui, dietro ispirazione del Signore, incontra la donna pagana. Questi sono i giochi strani, diciamo misteriosi, della provvidenza divina!
C’è di più. Quando Elia incontra la donna, fa un po’ il prepotente, almeno così sembra: le chiede acqua e un tozzo di pane senza nemmeno chiedersi se quella donna ne avesse a sufficienza per lei e per suo figlio. Ma quella donna, poverissima e per di più vedova, mette in gioco il suo dovere d’ospitalità. Qui sta la sorpresa: una donna pagana riscatta la fede nel suo dio ignoto in nome di un dovere di umanità, che neppure i credenti nell’unico Dio talora dimostrano di avere. Mi chiedo se i cristiani di oggi sappiano che cosa sia il dovere dell’ospitalità verso i fratelli bisognosi, immigrati, migranti o italiani che siano: un dovere, ripeto, che è insito non nella religione in quanto tale, ma nel nostro stesso essere umano.
Ed ecco la contraddizione più vergognosa: dirsi cristiani, vantarsi di essere cattolici, e poi dimostrare, nei fatti, di essere dis-Umani, barbari, selvaggi.
Dunque, il profeta Elia, perseguitato da una donna, la regina Gezabele, è salvato da un’altra donna: stavo per dire da una donna “altra”, diversa: diversa per ceto sociale, diversa perché umana.
L’ospitalità presso i primi cristiani
Anche l’autore anonimo della Lettera agli Ebrei parla di ospitalità, e lo fa nella parte finale, che è il capitolo 13, di cui fanno parte gli otto versetti del secondo brano della Messa.
I primi cristiani, anche a causa delle feroci persecuzioni che si stavano scatenando, da parte degli ebrei e dell’impero romano, erano quasi costretti a interrogarsi su certi valori, tra cui l’accoglienza e l’ospitalità tra i fratelli (così si chiamavano i primi seguaci di Cristo).
Ma un conto è dirsi fratelli, e un conto è sentirsi e vivere da fratelli! Le emergenze poi aiutano a richiamare i valori dell’Umanità. Tranne i barbari occidentali di oggi, non credo che qualcuno, di fronte alle tragedie diciamo naturali, si ponga il problema se sotto le macerie ci sia un migrante o clandestino o un cittadino italiano. L’emergenza, certo! Ma, nella vita ordinaria, come ci comportiamo? Torniamo a distinguere tra fratelli di serie A e fratelli di serie B, a parlare di “nostri” e di “loro”, di “noi” e di “altri”.
“Chi accoglie…”
Anche nel brano evangelico, Gesù parla di accoglienza, anche se in un contesto del tutto particolare. Il termine “accoglienza” fa pensare a qualcuno che apre le braccia e il cuore. Gesù ripete il verbo “accogliere” per ben sei volte. E riguarda il profeta, riguarda il giusto e riguarda il discepolo, chiamato “piccolo”. Quando pensiamo all’accoglienza, noi siamo abituati a pensare ai poveri, agli extracomunitari, ecc., e dimentichiamo che forse un’altra indifferenza, anche del mondo moderno, è nei riguardi dei profeti, dei giusti, dei discepoli, chiamati “piccoli” proprio per la loro umiltà: tutta gente che non conta davanti all’opinione pubblica, gente senza beni, senza difese, senza arroganza, ma forti solo di quella carica interiore che si chiama umanità, nei suoi riflessi divini di bellezza, di giustizia, di onestà, di gratuità.
Queste persone noi le rifiutiamo, proprio perché ci urtano nella loro grande umanità interiore, ci irritano per la loro libertà d’animo, ci contestano nella loro umiltà più sincera.
Queste persone hanno bisogno di acqua fresca, per loro ma anche perché solo così l’accoglienza diventa ricompensa. La vera ricompensa di chi accoglie i profeti, i giusti e i veri discepoli di Cristo e dell’Umanità non consiste in un bene materiale o in un po’ di felicità su questa terra e nemmeno in un premio eterno, ma nel poter tramutare un bicchiere di acqua fresca in altrettanti bicchieri di interiorità. Ogni gesto di accoglienza diventa una ricchezza interiore.
È più facile e talora comodo accontentare la coscienza facendo gesti di carità o qualche opera buona, ma quanto ci costa saper ascoltare, perciò accogliere un profeta, un giusto, un vero discepolo di Cristo e dell’Umanità.

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