Omelie 2018 di don Giorgio: QUARTA DI AVVENTO

9 dicembre 2018: QUARTA DI AVVENTO
Is 4,2-5; Eb 2,5-15; Lc 19,28-38
La scelta liturgica del brano del Vangelo di Luca, da leggere e meditare in questa quarta domenica di Avvento, pone qualche domanda, ma le vere domande riguardano anzitutto lo stesso episodio narrato, benché in versioni diverse ma complementari, dai tre Sinottici (Marco, Matteo e Luca), ovvero l’entrata in Gerusalemme di Gesù, osannato dai suoi discepoli.
Che senso dare all’entrata di Gesù in Gerusalemme?
Che senso poteva avere un’entrata quasi trionfale di Cristo nella Città santa, a pochi giorni dalla sua condanna e dalla sua morte?
Un episodio, a dire il vero, del tutto incomprensibile, per non dire paradossale, tanto più perché enfatizzato dagli evangelisti.
Non era una sfida di Gesù al potere religioso, quasi un’auto-condanna o un suicidio? Si presentava spontaneamente nelle mani dei suoi carnefici.
Gesù provocava apertamente, cavalcando un umile puledro. Una specie di messinscena ironica e sprezzante.
Un re! E quale re? Senza onori, senza privilegi, senza apparati di corte, senza i vessilli del potere.
Eppure quei discepoli che lodano il Maestro dicendo: «Benedetto colui che viene, il re, nel nome del Signore. Pace in  cielo e gloria nel più alto dei cieli», creano un certo panico tra alcuni farisei che esprimono il loro disappunto. E Gesù risponde: «Io vi dico che, se questi taceranno, grideranno le pietre».
L’evangelista Matteo aggiunge un particolare interessante. Anche i ragazzini esprimono la loro innocente gioia nel vedere uno strano personaggio compiere gesti profetici. I capi dei sacerdoti e i farisei ne sono indignati, e se la prendono con Gesù, il quale risponde citando un versetto del Salmo 8,3: «Dalla bocca di bambini e di lattanti hai tratto per te una lode».
La gioia dei bambini
I bambini fanno sempre paura: come non ricordare la strage di bambini compiuta da Erode il Grande?
Non è forse pensando proprio ai bambini che la liturgia, in occasione dell’Avvento, a poche settimane dal Natale, abbia scelto l’episodio dell’entrata di Gesù in Gerusalemme?
In fondo, siamo onesti, il Natale è la festa dei bambini, proprio perché è la festa del Bambino Gesù, nato in una grotta, a Betlemme, a pochi chilometri da Gerusalemme.
E se il Natale, lungo i secoli, è diventato quello che è diventato, ovvero una ghiotta occasione per il più lurido consumismo, ciò non va condannato solo come una dissacrazione del Mistero dell’Incarnazione del Figlio di Dio, ma anche come una profanazione di quel mondo dei bambini nella loro semplicità d’essere, e anche di quel “bambino interiore” che è la stessa realtà spirituale di fronte al Mistero divino.
Sì, Gesù ha sempre difeso i bambini, per la loro età innocenti, ma anche in quanto simboli di una fede pura e ingenua.
I bambini non si complicano la vita, all’opposto di quanto fanno gli adulti che pensano di essere maturi e liberi, solo perché vivono come selvaggi, in balìa di passioni sfrenate e di desideri di cose che, nel nome del più stupido progresso, vengono chiamati diritti di proprietà.
E poi si rimproverano i bambini per i loro capricci, quando ad essere messi sotto accusa dovrebbero essere gli adulti, colpevoli di essere “felicemente” vittime del più balordo consumismo.
“Portate via di qui queste cose e non fate della casa del Padre mio un mercato!”
L’entrata di Gesù in Gerusalemme non è solo un’accoglienza di gioia da parte dei suoi discepoli, ma gli stessi ragazzini che lo osannano si trovano nel tempio, dopo che Gesù lo aveva purificato scacciando i venditori di buoi, pecore e colombe e i cambiamonete, e si era rivolto ai ciechi e agli storpi per guarirli.
L’evangelista Giovanni, che pone questo episodio all’inizio del suo Vangelo (subito dopo che aveva compiuto il miracolo di Cana, trasformando l’acqua in vino), fa dire a Gesù, con la frustra in mano, queste parole: «Portate via di qui queste cose e non fate della casa del Padre mio un mercato».
Meister Eckhart dedica un intero Sermone a commentare questo episodio, insistendo sulle parole: “Togliete queste cose, portatele via”. Il grande Mistico medievale dice: Gesù «non indicava niente altro se non la sua volontà di vedere vuoto il Tempio, proprio come se avesse voluto dire: Io ho un diritto su questo Tempio, voglio starvi da solo e averne la sovranità. Cosa intende con ciò? Questo tempio, in cui Dio vuole regnare da Signore secondo la sua volontà, è l’anima umana che egli ha formata e creata perfettamente simile a se stesso; infatti noi leggiamo che il Signore dice: “Facciamo l’uomo a nostra immagine e somiglianza” (Gen 1,26). E così ha fatto. Ha creato l’anima dell’uomo così simile a se stesso che né in cielo né in terra, tra tutte le magnifiche creature che Dio ha tanto mirabilmente create, ve n’è alcuna che gli sia tanto simile quanto l’anima umana. Perciò Dio vuole che questo tempio sia vuoto, perché non vi sia all’interno che lui solo. Perciò questo tempio gli piace tanto, perché è così simile a lui, e tanto egli si diletta in esso quando vi si trova da solo».
Che l’anima sia tempio di Dio è concetto classico prima ancore che cristiano. Lo troviamo già nei pagani. I Mistici insistono su questo concetto: parlano di “fondo dell’anima”, ovvero dello spirito, come dimora del Divino più puro.
Ecco, verrebbe voglia di ripetere e anche di gridare come Gesù ha fatto nei riguardi dei mercanti del Tempio: “Togliete tutte queste cose, portatele via!”.
I mercanti sono coloro che agiscono per un “perché”, per un interesse, insozzando così l’azione stessa che perde il suo valore assoluto. Assoluto vuol dire “sciolto” da ogni condizionamento.
Dio è Gratuità, e, per incontrarlo dentro di noi, bisogna essere puri da ogni schiavitù. Via dunque i mercanti dal tempio, ovvero dalla nostra casa interiore, dove il vuoto di cose lascia il posto alla presenza dello Spirito divino.

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