Omelie 2017 di don Giorgio: SECONDA DOPO IL MARTIRIO DI S. GIOVANNI IL PRECURSORE

10 settembre 2017: SECONDA DOPO IL MARTIRIO DI S. GIOVANNI IL PRECURSORE
Is 60, 16b-22; 1Cor 15, 17-28; Gv 5, 19-24
Brani difficili, ma da interpretare nel loro contesto
Anche i brani della Messa di oggi pongono delle perplessità.
Il primo brano di che cosa parla? Sì, ci sono immagini anche suggestive, ma dietro l’immagine qual è la realtà del messaggio profetico?
E che dire del brano di San Paolo? Forse una cosa ci appare chiara: si parla di morte e di risurrezione, ma da intendere in che modo?
E il Vangelo? Anche qui, abbiamo capito che si tratta di un rapporto del tutto speciale tra il Figlio Gesù, e il Padre celeste, come se si trattasse di un puro discorso teologico o mistico. Ma non è così, se andiamo a leggere il contesto in cui è inserito il brano.
Giovanni scrive che Gesù precedentemente – era un giorno di sabato – aveva compiuto un miracolo presso la Porta delle pecore, vicino alla piscina di Betzaetà, dove il popolo andava a cercare qualche guarigione: c’è un paralitico, immobilizzato dal male da trentotto anni, e Gesù, appena lo vede, lo guarisce, scatenando di conseguenza una discussione con un gruppo di dirigenti del giudaismo legati a una interpretazione fissata e immobile della Legge, in pratica una Legge manipolata contro la libertà dei figli Dio.
E Gesù come si difende? Ecco le parole del brano di oggi. In sintesi: Lui e il Padre sono una cosa sola, perciò agisce come il Padre, e il Padre non vuole che i figli rimangano soggetti ad una legge disumana, come era diventata la legge del sabato ebraico a quei tempi, ma già da parecchi secoli.
Al di là delle belle immagini del primo brano
Analizziamo ora il primo brano, partendo anche qui dal contesto.
Il capitolo 60 del Libro di Isaia, che fa parte del Terzo Isaia, ovvero scritto da un anonimo profeta, che ha svolto la sua missione di interprete di Dio durante la ricostruzione del Tempio distrutto nel 586 a.C. dai babilonesi.
Dunque, gli ebrei erano tornati dall’esilio di Babilonia, durato circa settant’anni. Un lungo esilio, in cui era successo un po’ di tutto: ebrei che si erano accasati, facendo anche fortuna e dimenticando la loro patria distrutta; ed ebrei che rimpiangevano le loro terre, sognando il giorno del ritorno.
Ma in settant’anni le generazioni erano in parte cambiate, e i più giovani erano più propensi a dimenticare il passato e le sofferenze subìte dai loro padri.
E inoltre, chi era finalmente tornato in patria, aveva trovato una situazione tale da far perdere anche i bei sogni.
Sta di fatto che ognuno pensava al proprio orticello, dimenticando sia il Signore che il fatto di essere un popolo. E proprio per combattere questo egoismo, il Signore suscita due personaggi, uno laico (Neemia) e uno religioso (lo scriba Esdra), con l’incarico da parte di Neemia di riorganizzare Gerusalemme e il suo territorio difendendoli da altri eventuali nemici esterni, e da parte di Esdra di ristabilire in pieno il culto legittimo nel nuovo Tempio, ricostruito sulle fondamenta del Tempio salomonico, ultimato nel 515 a.C.
Possiamo leggere il brano di oggi in questo contesto o, meglio, nel contesto simbolico del profeta anonimo che, all’inizio del capitolo 60, dedica un inno grandioso a Gerusalemme che risorge.
Ed è già qui il punto da chiarire: che cosa intendeva il profeta per risurrezione e, ancora, che cosa simboleggiava in realtà Gerusalemme, vista come avvolta di luce e come meta verso la quale stanno convergendo fiumi di popoli, carovane di cammelli e dromedari, sovrani e ricchezze, greggi e armenti dai più remoti angoli della terra?
Che significano parole come queste: “Il tuo popolo sarà tutto di giusti”? oppure: “Non si sentirà più parlare di prepotenza nella tua terra, di devastazione e di distruzione entro i tuoi confini”?
Non si può non essere realisti. Non si può, dunque, negare che in realtà il mondo non è mai cambiato, anzi via via, col passare del tempo, è sempre peggiorato, anche dopo la venuta di Gesù Cristo. Dal 400 a.c. ad oggi sono passati circa 2.400 anni, almeno chiediamoci:  come è il mondo d’oggi? Migliore o peggiore dei tempi dell’anonimo profeta, autore del Terzo Isaia?
“Il tuo popolo sarà tutto di giusti”
“Il tuo popolo sarà tutto di giusti”. “Sarà” è il futuro del verbo essere. Di questo futuro della promessa di Dio che cosa si è realizzato? Siamo ancora qui nel “sarà”, in un futuro di cui non si vede neppure qualche barlume.
Abramo, quando seppe che il Signore voleva distruggere Sodoma, pensando anche ad eventuali “giusti” presenti nella civiltà corrotta instaura un serrato dialogo con il Signore, chiedendo misericordia se non altro proprio per presenza dei giusti. Dai cinquanta giusti richiesti all’inizio da parte del Signore, Abramo riesce a far scendere il numero fino a dieci. Scrive l’autore sacro: il Signore non ne trovò nemmeno dieci, e distrusse Sodoma.
Chissà perché, ma la richiesta di Abramo di risparmiare la città in nome di almeno dieci giusti, mi torna ripetutamente nella mente, ogniqualvolta succede qualche tragedia planetaria. E mi rattristo al pensiero che forse forse l’avanzata così massiccia del male dipenda dalla mancanza di almeno dieci giusti. Certo, tutti ci riteniamo giusti, ma a modo nostro. E il nostro modo non corrisponde al disegno di Dio o, diciamo, non corrisponde al bene dell’Umanità.
Che dire allora del brano di oggi, che è una esaltazione della nuova Gerusalemme, verso cui tutti convergeranno? A parte il realismo che si blocca sul pessimismo, credo che non possiamo non sperare in un ribaltamento generale. La domanda da credenti è questa: se Dio ha promesso, manterrà la sua parola. Quando tempo durerà gestazione della promessa?
Certo, i numeri di Dio non sono uguali ai nostri: non ci chiede una multiplazione dei pani o dei beni, o che il piccolo diventi grosso, ma sempre sul piano dell’avere. Vuole da noi che i suoi infiniti semi sparsi nel mondo diventino germogli, da proteggere nel nostro interiore, per poi farli fruttificare nella società in cui viviamo.
Ci vuole tempo, ci vuole pazienza, nel frattempo ci sarà il male che cercherà di bruciarli sul nascere. Ma riusciranno almeno dieci di questi a resistere alle tempeste, e a far nascere un mondo nuovo?

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