10 settembre 2023: II DOPO IL MARTIRIO DI S. GIOVANNI IL PRECURSORE
Is 60,16b-22; 1Cor 15,17-28; Gv 5,19-24
Mi sto sempre più accorgendo di quanto sia importante soffermarci sulla storia, per analizzarla nei suoi eventi anche complessi: sia la storia che diciamo profana, sia quella che diciamo sacra. In realtà, non esiste alcuna distinzione: la storia è tutta sacra, dando alla parola “sacra” quel senso profondo, così come l’intendeva Simone Weil: la sacralità è in ogni essere umano, ed è la realtà più interiore, esente da ogni classificazione sociale, culturale e razziale, da ogni ideologia politica e da ogni fede religiosa.
Gli eventi nel loro succedersi in un determinato periodo storico e in un certo luogo geografico o fisico sono qualcosa di esterno: certo che è importante conoscere gli eventi, nelle loro cause e nei loro effetti positivi o negativi, il contesto storico e i luoghi dove si sono svolti, ma non basta. Sì, la storia andrebbe studiata, ma non come si fa a scuola, dove contano solo le date e l’avvicendarsi anche tragico dei fatti diciamo carnali.
In uno scritto, “De Oratore”, di Cicerone (avvocato, politico, scrittore, oratore e filosofo romano del I secolo a.C.) troviamo queste parole: “Historia vero testis temporum, lux veritatis, vita memoriae, magistra vitae, nuntia vetustatis”, «la storia è testimone dei tempi, luce della verità, vita della memoria, maestra della vita, messaggera dell’antichità».
In queste parole troviamo l’espressione diventata poi famosa: “historia… magistra vitae”, la storia è maestra di vita. Da notare che Cicerone prima dice: “lux veritatis”, “luce della verità”: prima di essere maestra di vita la storia è luce della verità. La verità, come luce che fa capire che cos’è la vita. Si vive quando si è immersi nella luce della verità.
Dunque, se è vero che la storia è maestra di luce e di vita, allora analizziamo il passato con gli occhi del discepolo che ogni giorno va a scuola per imparare da chi siede in cattedra per insegnarci la verità, e da qui la vera strada da percorrere.
Già sarebbe interessante spiegare il significato di cattedra, da cui cattedrale. Il termine deriva dal greco καθέδρα (cathèdra) attraverso il latino càthedra, col significato di “luogo su cui ci si siede”, cioè “seggio”, in riferimento ad una sedia con spalliera e senza bracciòli tipicamente utilizzata dai filosofi per tenere le loro lezioni. Dalla cattedra scende una parola autorevole, che esige un certo distacco tra il maestro e l’alunno. Il maestro è superiore all’alunno, già la parola lo dice: maestro deriva dal latino “magister”, che deriva da “magis”, ovvero “superiore”. Gesù, quando camminava con i discepoli attraversando campi e paesi della Palestina, stava sempre davanti, i discepoli dietro.
Procediamo, sempre riflettendo. Dire che la storia è maestra di luce e di vita toglie subito quel catastrofismo per cui tutto va verso una inevitabile conclusione tragica.
La storia insegna per vivere, al meglio, l’Oggi di Dio. La storia, come ogni buon maestro, insegna nella luce per la vita, anche trattando argomenti tragici o di morte. Tutto è storia come maestra di luce e di vita, anche un luogo pubblico. Pensate al cimitero: a Monte sulla facciata della cappella riservata ai preti ho fatto mettere a lettere cubitali la frase: “vivere memento”.
Soffermiamoci sul primo brano, che è un testo del libro di Isaia tratto dai suoi ultimi dieci capitoli (56-66), in cui, dopo l’esilio babilonese (587-538 a.C.), è descritta la ricostituzione della nazione ebraica con la ricostruzione della città di Gerusalemme con le mura di protezione e la ricostruzione del tempio che era stato distrutto dall’esercito babilonese.
Era tornata la voglia di vivere, dopo l’esilio a Babilonia durato quasi 70 anni, periodo che gli ebrei sempre ricorderanno, come ricorderanno la schiavitù egiziana.
Storia maestra di luce e di vita! Ma gli ebrei forse non impareranno mai abbastanza, come del resto anche noi mai impariamo abbastanza dalla storia del passato, sempre pronti, per quel brutto o perverso vizio di rifare la storia, negando l’evidenza dei fatti. Il maestro per essere tale non nega la verità, ma l’insegna traendo anche dal male insegnamenti vitali. Ed ecco che, usciti a fatica, dopo anni e anni di criminalità naziste e fasciste, anche sottomessi vigliaccamente ai regimi, diciamo urlando: “Mai più!”, e poi ci caschiamo di nuovo, dimenticando le perversioni mentali di criminali di un passato più o meno recente.
Tutto il capitolo 60, di cui fa parte il primo brano, è un canto di speranza per Gerusalemme e un sogno sul futuro. Inizia con: “àlzati, Gerusalemme, rivèstiti di luce perché… la gloria del Signore brilla su di te”, e apre l’orizzonte della ricchezza che si riversa attraverso i popoli che arrivano al tempio. Nel tempio ricostruito, infatti, affluiscono le ricchezze. La pace regna nella città e la gloria di Dio si irradia nel benessere.
Attenzione! Tutto sembrerebbe qualcosa di carnale, come se la nuova sicurezza per Gerusalemme dipendesse da una abbondanza di beni materiali. In realtà, è anche così, ma non è solo così: il profeta di Dio va oltre nella sua visione della città di Gerusalemme presentandola come ideale per tutti i popoli. Ideale di luce e di vita, per un ben essere, ovvero per un essere che vive nel Bene Assoluto.
Anche qui, come le parole cambiano di significato: la parola ben-essere che cosa significa? È l’essere quando sta bene, è immerso nel Bene, mentre noi pensiamo subito e solo a qualcosa di materiale, ma come è possibile che l’essere stia bene quando è chiuso nel cerchio di un avere che strozza le coscienze?
Le porte spalancate della città e l’abbondanza del commercio esprimono finalmente il superamento della paura, della povertà e della fame; ma, tenendo conto della visione profetica, che significato ha spalancare le porte e l’abbondanza del commercio? La risposta del profeta è chiara: «Il Signore sarà per te luce eterna, il tuo Dio sarà il tuo splendore. Il tuo sole non tramonterà più né la tua luna si dileguerà, perché il Signore sarà per te luce eterna; saranno finiti i giorni del tuo lutto. Il tuo popolo sarà tutto di giusti, per sempre avranno in eredità la terra, germogli delle piantagioni del Signore, lavoro delle sue mani per mostrare la sua gloria».
Il sorgere della luna e del sole intesi in senso fisico non sono più considerati portatori di luce. Si fa riferimento qui, probabilmente, alle credenze di Canaan in cui si pensava che il sole e la luna fossero divinità. Nella Gerusalemme rinnovata, il popolo, “tutto di giusti”, sarà completamente liberato dall’idolatria e perciò non porrà più la propria sicurezza negli astri divinizzati, perché il Signore stesso sarà luce eterna, perenne per la Città ideale.
La terra d’Israele è ricordata come terra di Dio, lavorata dalle sue mani, perciò abbondante e ricca, a destinazione universale. L’unico proprietario è Dio, noi siamo solo amministratori, che rispettano i diritti di Dio che è l’unico proprietario.
Saremo “giusti” nella misura in cui rispetteremo i diritti di Dio sulla terra che è sua, unicamente sua, noi in quanto giusti siamo i “germogli delle piantagioni del Signore”. La parola “germoglio” non sa di piccolo, ma di immensamente grande potenzialmente già presente nel piccolo.
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