
da notizie.virgilio.it
Romano Prodi spinge
per il riarmo e l’esercito europeo:
il paragone con l’euro e le parole su Putin da Fazio
A “Che Tempo Che Fa”, Romano Prodi ha promosso la politica del riarmo in Europa spingendo anche per l’esercito comune: le sue parole su Putin
GABRIELE-SILVESTRI – GIORNALISTA
Romano Prodi plaude all’ipotesi di riarmo ed esorta l’Europa a dotarsi di un esercito comune. L’ex premier ha parlato di “passo necessario” per contrastare minacce come quella russa, criticando l’idea di unanimità nelle decisioni, portando a paragone il caso del passaggio all’euro che non vedeva tutti gli attori d’accordo.
Romano Prodi sull’esercito europeo
Sembra quasi chiedersi come mai si è perso così tanto tempo prima di prendere questa decisione. La nuova linea dell’Unione Europea che spinge al riarmo non fa certo trasalire Romano Prodi, che a “Che Tempo Che Fa” ha ribadito le sue vecchie convinzioni.
“Sono anni che predico la difesa comune” ha affermato durante la puntata di domenica 9 marzo. “Il riarmo è un passo in questa direzione, è un passo necessario” ha chiarito, aggiungendo che se si fosse fatto prima, forse, oggi non si parlerebbe di conflitto.
“Quando è scoppiata la guerra in Ucraina, io ho pensato: ‘ecco, se avessimo l’esercito europeo Putin non attaccava l’Ucraina. E invece lo ha fatto perché ci credeva divisi” ha affermato Prodi. “Poi a unirci ci ha pensato l’America. Dobbiamo fare subito l’esercito europeo. Facciamo subito l’armamento e poi andiamo avanti” ha aggiunto.
Il paragone di Prodi con l’euro e l’unanimità
Inevitabile che un tema come il riarmo sia ampiamente dibattuto tra le varie anime presenti nelle istituzioni comunitarie, ma questo secondo Prodi non deve essere un problema.
“Quando c’è stata l’unità per fare l’Euro, non c’era mica l’unanimità” ha ricordato. “L’hanno fatto 12 paesi e poi sono diventati 19. Proprio perché c’era il senso di una grande sfida che ci avrebbe messo assieme”.
Prodi ha quindi messo sul tavolo entrambe le questioni, invitando a ripercorrere la stessa strada. “Dobbiamo fare la stessa cosa. L’unanimità è antidemocratica, perché non lascia la variabilità, non lascia la diversa opinione e deve decidere la maggioranza. Dobbiamo andare verso le maggioranze qualificate”.
Cosa ha detto Prodi su Macron e Trump
Sempre sul tema dell’esercito europeo, Prodi ha inoltre parlato del riluttante Viktor Orban (“stia fuori”) e criticato gli elementi di disparità.
Il progetto non funzionerebbe, infatti, se “uno comanda e l’altro paga” ha osservato, riferendosi a Francia e Germania (Macron ha testate nucleari e diritto di veto all’Onu, ma la Germania un budget doppio per la difesa).
Con una battuta, invece, l’ex Presidente del Consiglio ha liquidato Donald Trump e J.D. Vance: “Sono come Gianni e Pinotto”, che a beneficio dei più giovani si ricorda essere un celebre duo comico statunitense del passato.
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dal Corriere della Sera
Prodi e il sì al riarmo «necessario».
La distanza da Schlein nel Pd diviso
di Maria Teresa Meli
L’ex premier: è il primo passo. Il no della leader mobilita i riformisti che guardano a Gentiloni
Anche Romano Prodi, dopo Paolo Gentiloni e Enrico Letta, al contrario di Elly Schlein non boccia il piano von der Leyen: «È una tappa per arrivare alla difesa comune. Il riarmo è un primo passo necessario in questa direzione. Se avessimo avuto l’esercito europeo, la Russia non avrebbe attaccato l’Ucraina. Se si fa l’esercito comune, Putin si ferma». L’importante, secondo il Professore, è che non ci si limiti a questo, ma si «vada avanti».
Dunque anche Prodi, seppur evitando di entrare nella polemica diretta, prende le distanze dalle posizioni di Schlein. E pensare che, grazie all’ennesima uscita di Musk, il Pd sempre più diviso ieri cercava almeno per un giorno di dare l’impressione di un partito compatto. Tutti contro il consigliere di Trump che ha minacciato: «Se disattivo Starlink, l’Ucraina crolla». Ma quello che è successo in questi giorni non si può cancellare. Le divisioni sul piano von der Leyen hanno creato tensioni interne che difficilmente si placheranno a breve.
I riformisti non vogliono seguire la segretaria sul suo «no» a quel progetto di difesa europea. Anche perché, come ha spiegato il coordinatore di Energia popolare, Alessandro Alfieri, «il Pd con quelle posizioni rischia l’isolamento in Europa». Già, perché Schlein su questa vicenda ha una posizione ben diversa dai leader socialisti di Spagna e Francia e dal primo ministro laburista della Gran Bretagna Starmer.
I riformisti non riescono più a nascondere le loro perplessità e i loro timori. E a poco sono servite le parole del fondatore della corrente di minoranza del Pd, Stefano Bonaccini. Il presidente del partito ha «coperto» la segretaria anche in questa vicenda: «No al riarmo», ha detto come lei, prendendo una posizione ben diversa da quella dei «suoi».
Ma la verità è che l’ex governatore dell’Emilia-Romagna ha perso la presa sui riformisti. Ormai quella corrente dem è gestita da Alfieri (e da Lorenzo Guerini, che però, visto il suo ruolo di presidente del Copasir, si tiene sempre un po’ defilato). E uno dei punti di riferimento di quell’aerea è diventato Gentiloni. Come si arguisce chiaramente dalle parole di Stefano Ceccanti: «Da ex commissario, Paolo ribadisce la continuità della politica estera e chi non condivide le sue posizioni stia con Conte». O dalle affermazioni di Alfieri: «L’attivismo di Gentiloni è un fatto positivo, il Pd faccia sintesi e basta definire bellicista chi la pensa in un certo modo».
La distanza che ormai divide la maggioranza e la (corposa) minoranza dem è emersa anche nella polemica che è seguita dopo la pubblicazione, sui social del Pd, di una card in cui si facevano i complimenti a Salvini, accusato da Meloni di avere, sul riarmo, la stessa linea del Pd: «Bravo Matteo». Quella mossa comunicativa, che pure giocava sul filo dell’ironia, ha lasciato di stucco i militanti. E ha fatto irritare Pina Picierno, una delle esponenti dem più determinate sull’Ucraina e sulla difesa comune, che non ha avuto remore ad attaccare il suo partito: «Non c’è molto da dire se non che mi vergogno e mi dispiace molto». Anche Ceccanti ha avuto parole molto critiche nei confronti di quella card: «Una volta, per cose del genere, a torto o a ragione, si sarebbe usata una sola parola, deliramentum». Insomma, quasi un clima da separati in casa.
Il disagio si estende anche alla componente più moderata, come dimostra la decisione della ex segretaria della Cisl Annamaria Furlan di abbandonare il gruppo del Pd del Senato e aderire a Italia viva. Un addio i cui motivi, secondo Lorenzo Guerini, devono far riflettere: «Non condivido la scelta di lasciare, ma credo che dovremmo interrogarci sulle ragioni. Ignorarle sarebbe sbagliato». Parole simili a quelle pronunciate da Filippo Sensi. E alle dichiarazioni di Simona Malpezzi, secondo la quale «la scelta di Furlan non deve cadere nel silenzio».
Eppure, non ci sarà divorzio nel Pd, dove le due anime in cui è diviso il partito continueranno la loro difficile convivenza senza rotture. Chiosa un autorevole esponente del Pd con un’abbondante dose di malizia: «In fondo, sopra tutto, vince la difesa comune del seggio».
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da www.huffingtonpost.it/
10 Marzo 2025
Chiamiamo riarmo il riarmo.
L’ipocrisia in politica non paga
di Andrea Cangini
Piccole ed enfatiche polemiche sul nome dato da von der Leyen al piano europeo che, secondo alcuni, andava edulcorato. Ma, a non dire le cose come stanno, ci siamo ritrovati senza difesa (e senza energia)
Non solo Matteo Salvini. A criticare il nome scelto da Ursula von der Leyen (o da chi per lei) per il piano di armamenti europei sono stati anche molti tra coloro che ne sostengono l’opportunità. Il piano, come è noto, si chiama “Rearm Europe”, riarmare l’Europa. E nell’era in cui tutto è comunicazione e la comunicazione è tutto, associare la parola “armi” al concetto di Europa è sembrato un errore strategico. In molti hanno osservato che la presidente della Commissione europea avrebbe fatto meglio ad usare il più rassicurante sostantivo “sicurezza”: un “Piano per la sicurezza europea”, o qualcosa del genere, avrebbe creato meno apprensioni nei cittadini e avrebbe tolto argomenti a chi, come Matteo Salvini, appunto, o Giuseppe Conte, o la coppia Bonelli-Fratoianni, o una parte non marginale del Partito democratico, su quel “riarmare l’Europa” ha imbastito la propria campagna demagogica ammantata di pacifismo.
La tesi appare debole. Due volte debole. Appare debole perché viene naturale pensare che, se anche Ursula von der Leyen (o chi per lei) avesse battezzato il piano di riarmo europeo utilizzando concetti non terreni ma celestiali fino ad offrire alle pubbliche opinioni un “Piano per la pace in terra e l’armonia tra i popoli”, nulla sarebbe cambiato. La reazione delle forze politiche che intendono sfruttare la paura degli elettori per la Terza guerra mondiale e più in generale l’indifferenza delle folle per valori antichi come la libertà e la democrazia sarebbe stata la stessa: un’opposizione netta, per giunta rafforzata dell’accusa di voler con tutta evidenza ingannare i cittadini. Dal punto di vista delle dinamiche politiche e della tenuta delle opinioni pubbliche, nulla sarebbe cambiato. Solo che al danno si sarebbe doverosamente aggiunta la beffa.
La seconda ragione per cui cambiare il nome alla cosa avrebbe reso la cosa più accettabile appare tesi decisamente scivolosa è che abbiamo maturato ormai un’esperienza sufficiente per sapere che l’ipocrisia non paga. Di più, l’ipocrisia crea mostri che poi sfuggono al controllo della politica. Sono, infatti, decenni, per non dire lustri, che si è bellamente pensato di cambiar nome alla guerra. Sia le Nazioni Unite, sia i governi degli Stati democratici hanno ritenuto che, così come non erano più in grado di supportare il peso dei militari morti in azione, le opinioni pubbliche non fossero più in grado di sopportare il concetto stesso di guerra. Una grande, clamorosa ipocrisia, secondo il presidente emerito della Repubblica, Francesco Cossiga. Il quale, in un libro-intervista del 2010 (“Fotti il potere, gli arcana della politica dell’umana natura”) la mise così: “La parola chiave, oggi, è pace. Vietato fare guerre, si fanno solo operazioni di pace. Lo ha scritto anche l’Onu, no? Perché passi per il peace keeping, ma quando si dà il via ad operazione di peace enforcing, di cos’altro si tratta se non di operazioni militari di guerra?”. Ma, tant’è.
Quando Massimo D’Alema, che naturalmente oggi guida il fronte “pacifista”, fu piazzato a Palazzo Chigi dal Regno Unito e dagli Stati Uniti con il compito esplicito di fare la guerra contro la Serbia di Slobodan Milosevic, le operazioni militari che portarono al bombardamento di Belgrado, con relative vittime civili, furono chiamate non “operazioni di guerra”, ma operazioni di “difesa integrata”. Così, giusto per dire fino a che punto in questo campo si è spinta l’ipocrisia del potere. È la stessa ipocrisia che induce i vertici civili e militari dello Stato a ridurre, anno dopo anno, la componente militare della parata del 2 giugno, infarcendola sempre più di crocerossine, organizzazioni civili, gonfaloni civici e tutto quello che possa far dimenticare che la sicurezza della Repubblica, di cui quel giorno si celebra la Festa, è garantita da, orribile a dirsi, le Forze Armate.
Proscritto anche il solo concetto di guerra, si è così disabituata l’opinione pubblica al fatto che la politica estera di uno Stato si regga sulla politica di deterrenza e che la politica di deterrenza coincida con la capacità militare di quello Stato. Per capirci, se Emmanuel Macron e Keir Starmer sembrano oggi fare la parte del leone fin qua dall’Atlantico è perché Francia e Regno Unito dispongono dell’arma nucleare. Arma e nucleare, parole oggi più che mai spaventose. Dunque scarsamente utilizzabili. È stato così che, a furia di mascheramenti e di ipocrisie, ci risvegliammo di colpo senza Difesa e pure senza energia.
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Giusepper Conte, il becero, l’inaffidabile, pacifista di m***,
politicamente insulso, vendicativo, banderuola
www.huffingtonpost.it
10 Marzo 2025
No alla piazza, sì alla piazzata.
Conte (e claque) in trasferta a Strasburgo
contro la “furia bellicista” eccetera
di Giulio Ucciero
Il leader 5 Stelle vola a Strasburgo con altri 50 parlamentari per protestare contro il piano ReArm di von der Leyen. Da lì cavalca l’onda trumpiana sull’Ucraina, libero dallo scomodo vicino Dem. Il Pd di Elly Schlein, per fare una cosa nuova, si spacca sul riarmo: anche Prodi dà ragione a Ursula
“L’Unione europea ci porta alla guerra”. Giuseppe Conte prende valigia, cartelli e parlamentari e li piazza sul primo volo per Strasburgo. Domani, dopo il discorso di Ursula von der Leyen, farà il controcanto all’Europa “bellicista che ci fa orrore”, quella che vuole raccogliere 800 miliardi per il piano di riarmo anti-Putin. Se Elly Schlein finisce sotto tiro, con il Partito democratico diviso in due sull’Ucraina, il leader del Movimento 5 Stelle raduna i suoi, rimanda al mittente la piazza per l’Europa di sabato prossimo e si muove libero, in Italia e in Europa, contro chi vuole più armamenti per mettere in sicurezza l’Unione. Il Conte di Strasburgo mette i fiori nei cannoni.
“Beato Giuseppe”. Un pensiero d’invidia avrà sfiorato la mente di Elly Schlein. La leader dem deve fare i conti con i malpancisti interni, che sposano la linea pro-Ursula di Paolo Gentiloni, ma anche con la solidità dei socialisti europei, che digeriscono all’unisono il ReArm Europe, e ora anche con il padre nobile Romano Prodi, che da ultimo ha definito il piano monstre di von der Leyen come “una tappa necessaria” verso la difesa comune. Ecco, mentre al Nazareno si ragiona faticosamente di tutto questo, una delegazione pentastellata è al check-in. Carta d’imbarco in mano, direzione Strasburgo. Stasera, una cinquantina di senatori e deputati 5S sarà già in Francia. Scortati da Conte, si uniranno agli europarlamentari guidati da Pasquale Tridico, per ribadire il sonoro “no” al riarmo. Tutti compatti, nessun dubbio di sorta.
Altro che correnti, i contiani ripetono il verbo del leader. Che suona in questo modo: “Ciò che serve è una efficiente difesa comune europea e non riarmare i singoli Stati”. Altrimenti, dichiara Conte al Corriere della Sera, “si finisce per arricchire le lobby delle armi senza migliorare la nostra sicurezza. Il piano ReArm rischia di portare l’Europa in guerra”. All’ex premier, “un’Europa bellicista fa orrore”. Domani mattina, i deputati romani assisteranno con gli europarlamentari 5S al dibattito previsto al Parlamento europeo sull’Ucraina e la difesa europea. Dopo che Ursula von der Leyen avrà finito di difendere il suo piano, una sessantina di pentastellati protesterà contro il RearmEu.
Conte non porterà a Bruxelles una controproposta, un’alternativa per fronteggiare la sete espansionistica di Vladimir Putin. Per il leader 5 Stelle, “la deterrenza funziona se il livello di armamenti è pressoché paritario”: “Ma si ha idea di quanto tempo e soldi servirebbero per arrivare alle seimila testate nucleari della Russia?”. Oltre alla spesa miliardaria in armi e non per la sanità e il welfare, a far imbufalire le truppe contiane c’è un altro aspetto della manovra di von der Leyen: lo scavalcamento del Parlamento. Il piano, infatti, non passerà per l’Eurocamera.
I distinguo tra contiani e dem, in Italia, non vengono più nascosti. Il tappo è saltato dopo l’idea di Dario Franceschini, che ha proposto di “marciare divisi per battere la destra”. Al resto, ci ha pensato Donald Trump, che – Conte dixit – “ha smascherato la propaganda bellicista dell’Occidente sull’Ucraina”. Le differenze tra schleiniani e riformisti hanno aggiunto pepe. Autonomi e fieri, nella sede pentastellata è iniziato un brainstorming per organizzare iniziative in solitaria, invitando le altre forze di centrosinistra ovviamente, ma senza nessun obbligo.
Anche per questo Conte ha convocato una piazza il 5 aprile contro il governo; per lo stesso motivo, il presidente 5s s’è sentito ancor più libero di declinare la proposta europea lanciata su Repubblica da Michele Serra: “Non ci possiamo essere, perché noi siamo europeisti veri, nel profondo, non fideistici ma anche critici”. “In questo momento dire Europa vuol dire, ufficialmente, essere a favore del piano von der leyen e di un riarmo da 800 miliardi”, è la tesi del presidente 5S.
La cronaca di giornata, poi, ci regala un altro terreno di scontro tra dem e contiani. Su Rai3 questa sera, a “Lo Stato delle cose” di Massimo Giletti doveva andare in onda un’intervista a Vladimir Soloviev, il giornalista russo amico di Vladimir Putin, nonchè conduttore tv sul canale più visto di Russia, Rossija. L’ospitata dell’anchorman, anticipata a tutto spiano da Giletti, ha ricompattato il Pd, che con la vicepresidente del Parlamento europeo, Pina Picierno, ha chiesto la cancellazione del colloquio sulla tv pubblica. Questa sera, è il risultato, nessuna interivsta al megafono di Putin andrà in onda sulla Rai. Una scelta, quella del conduttore, che Dario Carotenuto, capogruppo del Movimento in vigilanza Rai, si augura che sia “del tutto libera”: “Gli italiani non sono così sciocchi da farsi abbindolare da chiunque, e comunque avere voci differenti è sempre un buon segnale per la democrazia e lo stato della libertà di informazione”.
Non finisce qui. Conte ha ancora qualcosa da dire. C’è tempo per un ultimo affondo all’Europa “schizofrenica”. Sul treno per Strasburgo, si collega nel pomeriggio con Gea, un convegno organizzato al Roma Scout Center dal titolo: “Guerra, conflitti e crisi: quale alternativa?”. Non sarà l’unico ex premier del panel: in sala, ci sarà anche Massimo D’Alema. Prima che D’Alema inizi a filosofeggiare di Cina e di Donald Trump, Conte inizia a parlare. La linea salta, balbettii vari, poi il collegamento riprende: “Il piano europeo è privo di logica politica e, vorrei dire, anche militare”. Conte va dritto sul suo tema: la pace, soprattutto quella in Ucraina.
Pochi minuti di buon 5G e tutto si interrompe. “Ma la pace di chi?”, grida a Conte una ragazza in fondo alla sala. Seguono insulti vari. In cinque, sei si avvicinano al palco al coro di “assassini, assassini”: “Da presidente del Consiglio hai votato le armi per Kiev, ma di che parli? Hai le mani sporche di sangue”, è l’accusa. Anche D’Alema, immobile, riceve la sua dose di critiche: “Nessuno si dimentica delle bombe che hai tirato su Belgrado”. Sono ragazzi di potere al Popolo, sinistra radicale. Dopo qualche battibecco, finisce tutto e la discussione riprende. Morale: a fare il pacifista, troverai sempre uno più pacifista di te.
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