Omelie 2023 di don Giorgio: SECONDA DOPO LA PENTECOSTE

11 giugno 2023: SECONDA DOPO LA PENTECOSTE
Sir 17,1-4.6-11b.12-14; Rm 1,22-25.28-32; Mt 5,2.43-48
Il primo brano talora ci riserva delle belle sorprese, anche se dovrei dire che la Parola di Dio in sé è una tutta una Sorpresa. Ciò che è infinito non finisce mai di sorprenderci.
Tuttavia non possiamo dimenticare che la Parola di Dio non va presa in astratto, ovvero tolta dal contesto storico in cui si è incarnata, e per coglierla nella sua attualità, che va al di là del tempo e dello spazio, bisogna avere qualche nozione diciamo esegetica o fidarci di qualche serio esegeta, e anche, direi soprattutto, di quell’intuito interiore che ci permette di entrare in sintonia con lo Spirito divino che ha ispirato quella parola che si è incarnata in un determinato tempo e in un determinato luogo.
Quindi, attenzione, quando leggiamo un brano della Bibbia. Attenzione non significa tanto prestare particolare ascolto o avere concentrazione, ma soprattutto quel tendere verso… (ad – tendere) quel Bene Sommo, da cui ogni bene proviene e a cui tutto il bene tende.
L’autore del libro del Siracide ci presenta il Creato, che gli antichi greci chiamavano “còsmos”, ovvero ordine, nella sua bellezza: un capolavoro del Dio creatore.
Gli antichi avevano un occhio più penetrante, diciamo più intelligente, noi moderni siamo superficiali, e guardiamo tutto nella sua esteriorità. Parlare di ordine, di bellezza, di immagine divina richiede quell’intelletto interiore che ci permette di cogliere l’essenzialità, per cui più ci soffermiamoci sui particolari più ci allontaniamo da quel misterioso disegno divino che va oltre la crosta terrestre.
Il Creato è la casa dell’uomo, una casa attrezzata come dono, complesso e articolato. Possiamo andare avanti con un lungo elenco di elogi, e poi davanti a delle tragedie, che chiamiamo stupidamente “naturali” (un terremoto, un’alluvione) , come se anche la Natura fosse soggetta a qualche forma di pazzia, allora malediciamo tutto, anche quel Dio che ci ha creato un ambiente per nulla confortevole.
L’autore sacro mette in stretta relazione l’uomo alla terra: viene dalla terra e si ridurrà in terra. Ottima osservazione, se ci limitiamo a considerare il corpo, fatto di fango, come dice il mito biblico, ma, scrive l’autore sacro, nel fango è stato poi immesso lo spirito vitale. E questo spirito vitale, che non ha nulla di carnale, è eterno. Il capolavoro di Dio sta qui, nell’Universo il cui spirito vitale proviene dal Bene assoluto e al Bene Assoluto torna.
Vorrei qui aprire una parentesi che ritengo interessante. Gli antichi, filosofi e teologi, anche mistici, parlavano di un duplice movimento: un movimento di uscita (exitus) e un movimento di rientro o ritorno (reditus), che riguarderebbe non solo la creazione di Dio e la stessa storia di eventi, ma lo stesso Mistero trinitario: l’uscita del Figlio di Dio per incarnarsi e il suo rientro come Risorto.
Parlavo di creazione come uscita da Dio e come ritorno: il Creato è un’emanazione del Bene Sommo, che comporta un rientro: si esce per tornare alla stessa Sorgente: la stessa parola Universo significa “verso l’Uno”. Così la storia umana, che è fatta di uscite da situazioni e di rientri in altre situazioni. Si esce da un fascismo per poi rientrare in altri fascismi. Un esempio a caso.
Nello stesso Corano si trova scritto: tutti «faranno ritorno». Al movimento discensionale della Rivelazione corrisponde quello «ascensionale» del «ritorno all’origine».
Quando parliamo di cosmo, ovvero di ordine o di armonia, diciamo questo: tutto deve tornare all’origine. L’armonia sta nel tornare all’Uno, perché solo così ogni frammentazione si ricompone nell’unità. Più ci allontaniamo dall’Uno, da cui siamo usciti, più ci frammentiamo, ci dividiamo, l’armonia ne soffre.
Qui il discorso si farebbe lungo, ma una cosa va detta: finché usiamo come criterio del nostro vivere gli istinti della carne, non capiremo mai che stiamo andando verso la nostra disgregazione. Sant’Agostino nel libro autobiografico “Le Confessioni”, parla di “regio dis-similitudinis”, in italiano “regione della dis-somiglianza”, espressione con cui il Vescovo di Ippona si pentiva di essersi smarrito sui sentieri della lontananza dalla somiglianza divina. C’è anche un richiamo di Luca 15,13: “in regione dissimilitudinis” pare riecheggiare l’allontanarsi “in regionem longinquam” del figliol prodigo, lontano dalla casa del padre.
Dunque, più gli esseri si allontanano dall’Uno, dal Bello o dal Bene, cioè da Dio, e quindi si avvicinano alla materia o al male, più diventano dis-simili, si disgregano, si frantumano.
L’autore del primo brano dice che Dio ha riempito ogni vivente di scienza e di intelligenza, perché ognuno capisse dove sta il bene e dove sta il male. Scienza sta per conoscenza, prendere coscienza, ma ciò richiede l’intelligenza, ovvero l’intelletto che sia attivo. Altrimenti, come scrive Paolo ai cristiani di Roma, si diventa “stolti”, si prende tutto come qualcosa di carnale, si scambia la verità di Dio con la menzogna, si adorano le creature invece che il Creatore. Verrebbe istintivo pensare agli antichi pagani che adoravano piante o animali, dimenticando che oggi facciamo di peggio: adoriamo cose e cose già morte.
Ed ecco: «Dio li ha abbandonati alla loro intelligenza depravata ed essi hanno commesso azioni indegne: sono colmi di ogni ingiustizia, di malvagità, di cupidigia, di malizia; pieni d’invidia, di omicidio, di lite, di frode, di malignità; diffamatori, maldicenti, nemici di Dio, arroganti, superbi, presuntuosi, ingegnosi nel male, ribelli ai genitori, insensati, sleali, senza cuore, senza misericordia».
Il brano del Vangelo aggiunge qualcosa che ci fa ulteriormente riflettere. Pensate alle parole di Gesù: “egli fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni, e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti.”. Davanti a queste affermazioni non ho parole: da una parte dico: È proprio così!, e nello stesso tempo mi chiedo: Ma è giusto? E poi può capitare che il mio orto venga distrutto dalla tempesta, e l’orto del vicino, magari un farabutto, sia risparmiato, e il farabutto prega il Signore dicendo: Ti ringrazio!
Dovremmo soffermarci sulle altre parole di Gesù: “Se amate quelli che vi amano, quale ricompensa ne avete? Non fanno così anche i pubblicani? E se date il saluto soltanto ai vostri fratelli, che cosa fate di straordinario? Non fanno così anche i pagani?».
E poi penso: anche Gesù ha avuto i suoi preferiti (Andrea, Giacomo e Giovanni) e tra le donne che lo seguivano ha avuto una predilezione particolare per la Maddalena. Ha chiamato “amici” i suoi apostoli, e non poteva vedere gli scribi e i farisei, quando lo contestavano.
Nelle parole di Gesù c’è qualcosa di più profondo, ed è la parola “straordinario”. Le nostre relazioni sociali avvengono tutte in un contesto ordinario: ti aiuto perché ti conosco e sei mio amico, oppure in vista di qualche interesse. Aiutare sconosciuti che hanno bisogno al di fuori della nostra cerchia non sarebbe già straordinario? Ma lo straordinario viene visto come una eccezione. E invece, secondo Gesù, dovrebbe essere la regola.

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