Omelie 2023 di don Giorgio: TERZA DI QUARESIMA

12 marzo 2023: TERZA DI QUARESIMA
Es 34,1-10; Gal 3,6-14; Gv 8,31-59
Anche oggi vorrei fare una premessa. Quando leggiamo il quarto Vangelo, bisognerebbe fare molta attenzione, per il semplice motivo che ci troviamo di fronte a qualcosa di unico tra i Vangeli canonici: talmente unico da essere tanto essenziale quanto paradossale.
Il quarto Vangelo è sicuramente il più elevato tra i quattro, e questo lo avevano già capito gli antichi autori cristiani che, insieme a Clemente Alessandrino, parlavano di un Vangelo “spirituale”, nel senso che affonda le sue radici nello Spirito santo, o, diciamo anche, che andrebbe letto al di là del racconto diciamo carnale di fatti o di parole di Gesù di Nazaret.
Lo stesso Giovanni l’evangelista, dal IV secolo in poi, verrà chiamato il “teologo” e designato col simbolo dell’aquila dallo sguardo acuto e dal volo ardito.
Ma non basta, anche se sarebbe già un passo notevole leggere il quarto Vangelo come un messaggio elevatamente mistico.
Il Vangelo di Giovanni – ed è qui la cosa paradossale che potrebbe sembrare in contrasto con quanto è stato appena detto – è fortemente drammatico: è costruito secondo lo schema di un processo a cui Cristo viene sottoposto in continuazione, dall’inizio della sua vita pubblica, diciamo anche prima, se, come narrano i Vangeli dell’infanzia, già Erode lo voleva uccidere; e il processo durerà fino alla sua morte, e andrà oltre, se consideriamo le persecuzioni che dovranno subire i cristiani di tutti i tempi fino ad oggi.
Come possiamo dire che il quarto Vangelo è un dramma giudiziario? Gli studiosi, o esegeti, fanno notare che lo stesso vocabolario usato da Giovanni è quello del conflitto e del dibattito giudiziario: troviamo continuamente parole come verità e menzogna, giudizio, giustizia, testimonianza, avvocato (la stessa parola “paraclito”, con cui si invoca lo Spirito santo, deriva dal greco e significa consolatore, ma più propriamente invocato, chiamato in aiuto, e anche avvocato, difensore). E sempre nel quanto Vangelo troviamo anche verbi che richiamano un dibattito giudiziario: convincere, accusare…
Possiamo dire, leggendo il quarto Vangelo, che ad ogni racconto Gesù deve affrontare l’incomprensione dei Giudei, e non tanto dei pagani, sempre secondo l’espressione che troviamo nel Prologo: “Venne tra i suoi, e i suoi non l’hanno accolto”. Così sono da intendere le stesse parole con cui Gesù commenta l’ostinazione nei suoi riguardi da parte dei suoi compaesani di Nazaret: “Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria, tra i suoi parenti e in casa sua».
Comunque, anche e soprattutto il Vangelo di Giovanni va letto al di là dello spazio e del tempo ben circoscritti: è sempre provocatoriamente attuale.
Quasi ad ogni racconto Gesù deve affrontare l’incomprensione dei “Giudei”; ma l’autore non pensa in primo luogo al popolo di Gerusalemme; egli non fa che esemplificare un processo che perdura nel tempo: quello dei cristiani e del “mondo” (e qui per “mondo” si intende tutto ciò che è rifiuto di Dio, chiusura dell’uomo su se stesso).
Il dramma del popolo giudaico è il simbolo di quello dell’umanità tutte le volte che essa si lascia schiavizzare dalle forze del rifiuto, della dispersione, della morte. È il dramma di ciascuno di noi: ci giochiamo la nostra esistenza nello scontro tra verità e menzogna, fra fede e rifiuto di credere.
Diciamo di più: in realtà, non è tanto il “mondo” a processare Gesù, ma è Gesù stesso che processa il “mondo”. E questo lo fa notare in particolare lo stesso Giovanni che, soprattutto quando narra gli eventi della Passione, non presenta Gesù come vittima di una perversa regia del potere malefico, dei Giudei e dei Romani: Gesù è il vero regista, che guida gli avvenimenti a modo suo, prendendo anche in giro (l’ironia di Dio e di Giovanni) quanti vorrebbero processarlo.
Adesso possiamo leggere e comprendere il racconto evangelico di oggi, che tutti, non solo gli esegeti, riconoscono come uno tra gli scontri più violenti tra Gesù e i Giudei. Da dire sarebbero tante cose. Vorrei fare una sintesi come spunto per ulteriori riflessioni.
Anzitutto, da notare: lo scontro non è stato tra Gesù e i suoi nemici, scribi e farisei o i capi del giudaismo, ma tra Gesù e alcuni suoi simpatizzanti: Giovanni scrive: “Il Signore Gesù disse a quei Giudei che gli avevano creduto”. Siamo sempre al cerchio dei “suoi”. I “suoi” sono i veri nemici di Cristo.
Ed ecco le parole di Gesù che hanno scatenato le ire dei suoi simpatizzanti: verità e liobertà. In gioco non è la legge mosaica o una tradizione religiosa o l’ipocrisia farisaica o l’amore per il prossimo. Gesù mette in gioco il problema della verità e della libertà.
Non intendo allargare l’argomento, tuttavia dico una cosa: Gesù afferma chiaramente che è la verità a rendere liberi. «Se rimanete nella mia parola, siete davvero miei discepoli; conoscerete la verità e la verità vi farà liberi». Notate quel “rimanere “ nella sua parola, solo così si è discepoli. E poi Gesù sembra richiamarsi all’antico pensiero greco, secondo cui l’intelletto illumina lo spirito, che perciò si libera da ogni determinazione di quell’ego che lo rende schiavo. Poi penseranno i grandi mistici medievali a sostenere che prima c’è l’intelletto, poi la volontà.
Altra cosa. Gesù apre al futuro, mentre quei giudei suoi simpatizzanti sono chiusi nel passato. Gesù propone la verità come un orizzonte verso cui andare, la libertà come un futuro cui approdare. I giudei simpatizzanti ne parlano come di un fatto acquisito, non hanno un minimo di esitazione sul fatto che siano nella verità e nella libertà. E diventano pietra nelle loro posizioni: schiavi di un passato che è morto.
Inoltre, tra Gesù e quei Giudei simpatizzanti c’è uno scambio di durissime accuse con termini che oggi sarebbero soggetti a querela. “Tu sei un indemoniato, tu sei un samaritano, tu sei un bugiardo, l’inganno”. Alla fine, quei giudei suoi simpatizzanti mettono mano alle pietre per lapidarlo.
Non mi rimane, concludendo, che dire una sola cosa: quando sono in gioco la verità e la libertà non possiamo riderci sopra o fare l’opportunista, il solito mediatore.
Di Cristo possiamo dire di tutto e di più, tranne che abbia scherzato su certe cose. Se, come dice già la parola, Vangelo è la Buona Notizia, dire buona non significa che è una notizia buonista, conciliante a tal punto da togliere ogni confine tra verità e menzogna.
E se la Chiesa è sempre stata implacabilmente rigida sui dogmi, così da porsi come un freno per la ricerca della verità, e perciò della libertà, condannando gli spiriti liberi, il Cristianesimo, proprio perché ridotto ad essere una religione, ha perso il suo mordente iniziale, quella radicalità che procura anche contrasti, lotte, insulti, condanne, ma sempre in nome di quella verità che va cercata senza soste, senza limiti, senza ipocrisie, senza compromessi, nel profondo di quel Mistero divino, che è dentro il nostro essere.

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