La frittata di chef Macron

www.huffingtonpost.it
11 Aprile 2023

La frittata di chef Macron

di Giulia Belardelli
La visita fallimentare in Cina, le esternazioni sugli Usa e su Taiwan, l’imbarazzo dell’Ue, la precisazione dell’Eliseo, il silenzio della Casa Bianca, la provocazione dei repubblicani Usa. Nathalie Tocci (IAI): “Alla fine Macron è sempre vittima della sua arroganza per cui, anche quando ha idee condivisibili, riesce a mandare tutto all’aria”
Che la sbilenca visita della sbilenca coppia Emmanuel Macron – Ursula von der Leyen nella fossa dei leoni a Pechino non fosse esattamente un’idea brillante era chiaro sin dalla vigilia. Non tanto a causa dei diversi atteggiamenti riguardo alla Cina, quanto per il diverso peso politico delle rispettive missioni, indicatore di una debolezza strutturale dell’Unione europea. Ma almeno la facciata di un’unità europea si sarebbe potuta salvare se Macron non avesse detto a Politico Europe quello che ha detto su Taiwan. Ovvero che l’Europa non deve essere “vassalla” degli Stati Uniti e correre il rischio di ritrovarsi “coinvolta in crisi che non le appartengono, ostacolando così la costruzione di una propria autonomia strategica”.
Per la gioia dei cinesi, unici vincitori nella vicenda, le parole di Macron hanno provocato un’ondata di reazioni diverse in Europa e negli Stati Uniti. Sia l’Eliseo sia Bruxelles, tanto per cominciare, sono dovuti tornare sulla questione per fare alcune precisazioni. L’Eliseo ha dovuto ribadire l’ovvio, ovvero che “la Francia non si trova in una posizione di equidistanza tra Stati Uniti e Cina”, aggiungendo che “la Cina è allo stesso tempo ‘un partner, un concorrente e un rivale sistemico’ (come affermato nella strategia Ue del 2019) con cui vogliamo costruire un’agenda comune per ridurre le tensioni e affrontare le principali questioni globali e internazionali”. A Bruxelles si sono trincerati dietro a un no comment, sottolineando come la presidente von der Leyen “non abbia l’abitudine di commentare le interviste”. Salvo poi aggiungere che la Commissione ha una posizione molto chiara su Taiwan, “contraria a ogni cambiamento dello status quo per mezzo della forza”.
Contro le “osservazioni sconsiderate” di Macron si è scagliata l’Alleanza interparlamentare sulla Cina (IPAC). “Le parole del presidente francese sono gravemente in disaccordo con il sentimento diffuso nei Parlamenti nazionali e oltre”, si legge nella dichiarazione firmata da un nutrito gruppo di parlamentari europei e britannici. E ancora: i commenti di Macron “non solo ignorano il ruolo vitale di Taiwan nell’economia globale, ma minano l’impegno decennale della comunità internazionale a mantenere la pace attraverso lo Stretto di Taiwan”. Il Gruppo del Ppe, il Partito popolare europeo, ha chiesto un dibattito in plenaria al Parlamento europeo sulla politica dell’Ue nei confronti della Cina. “Per proteggere la nostra libertà, i democratici devono schierarsi insieme in difesa di un mondo basato sulle regole. Dobbiamo rafforzare la nostra alleanza con gli Stati Uniti”, si legge in un tweet del Gruppo. “L’Ue deve parlare con la Cina con una sola voce”, sostiene il gruppo guidato dal tedesco Manfred Weber, che già ieri aveva criticato le affermazioni del presidente francese.
Macron è tornato sul tema della sovranità europea nel corso della sua visita in Olanda. Un discorso complicato al Dutch Nexus Institute all’Aja, anche perché interrotto da un gruppo di contestatori che hanno esposto striscioni e urlato insulti contro il “presidente della violenza e dell’ipocrisia”, il riferimento è alla battaglia contro la riforma delle pensioni nelle piazze francesi. Un intervento in cui Macron ha esortato tutti a continuare a sognare da europei”, a non cadere nei nazionalismi. “Dobbiamo plasmare il nostro destino scegliendo i nostri interlocutori. Dobbiamo cercare di essere decisori piuttosto che essere soggetti alle regole”. Durante la pandemia, “abbiamo capito di essere dipendenti da un gran numero di farmaci e da un gran numero di cose, dobbiamo ridurre questa dipendenza per rafforzare la nostra identità e la nostra sovranità”.
Secondo Nathalie Tocci, direttrice dell’Istituto Affari Internazionali, l’affaire Macron va osservato sotto tre punti di vista: di contenuto, di forma e di timing. “Nell’essenziale del contenuto, Macron, come spesso accade, ha le sue ragioni”, osserva Tocci. “È assolutamente vero dire che la nostra dipendenza dagli Stati Uniti è aumentata; è assolutamente giusto sottolineare che non necessariamente gli interessi degli Stati Uniti combaciano alla perfezione con quelli dell’Europa, ed è assolutamente vero e giusto sostenere che comunque l’Europa dovrebbe cercare una maggiore autonomia strategica. Detto questo, c’è una questione oggettiva di timing: è evidente come Macron abbia sbagliato completamente il timing, alla luce di tutto quello che stava succedendo sulla scia della visita in California della presidente taiwanese Tsai Ing-wen e con le esercitazioni militari di Pechino in corso nello Stretto di Taiwan”.
Non era il momento giusto neanche alla luce dei risultati praticamente nulli ottenuti dalla visita di Macron a Pechino sul fronte della ipotetica mediazione cinese nella guerra in Ucraina. “Da questo punto di vista – aggiunge Tocci – la visita di Macron non è stata, com’era prevedibile, un successo. Rimane il fatto che Macron è andato con la sua schiera di imprenditori: non sappiamo esattamente cosa abbiano ottenuto, ma per quel che riguarda gli interessi europei, e quindi un ruolo più costruttivo della Cina in Ucraina, è tornato a mani vuote. Anche per questo non era il momento appropriato di fare quelle affermazioni, soprattutto su Taiwan. Ipoteticamente, se ci fosse stato, a seguito della visita di Macron, un impegno di Xi a parlare con Zelensky, avrebbe avuto un suo perché parlare di maggiore autonomia dell’Europa”.
Che la questione Taiwan si intrecci alla guerra in Ucraina, del resto, è qualcosa che si è detto e scritto sin dal principio dell’invasione russa, ma che ora, a un anno e mezzo dalle presidenziali in America, inizia ad assumere un significato politico diverso. Se infatti negli Usa il contenimento alla Cina è percepito come una priorità da entrambi i partiti, Democratico e Repubblicano, il sostegno illimitato a Kiev per difendersi da Mosca è stato messo in dubbio da diversi repubblicani, a cominciare dai due principali aspiranti alla nomination, Donald Trump e Ron DeSantis. Significativo è in merito il video pubblicato su Twitter dal senatore della Florida Marco Rubio. “Dobbiamo scoprire se Macron parla per l’Europa – afferma riguardo alle dichiarazioni del presidente francese su Taiwan – perché se è così, se l’Europa non prende posizione tra Stati Uniti e Cina su Taiwan, allora forse neanche noi dobbiamo prendere posizione: dovremmo focalizzarci sulla Cina e lasciare che gli europei si focalizzino sull’Ucraina e sull’Europa”.
Come sottolinea Ian Bremmer, l’amministrazione Biden verosimilmente non risponderà a Macron per non peggiorare la situazione. A una domanda lunedì sui commenti del leader francese, il portavoce del Consiglio per la sicurezza nazionale della Casa Bianca John Kirby ha insistito sul fatto che Stati Uniti e Francia hanno una “straordinaria cooperazione bilaterale” e si coordinano strettamente sulle questioni di sicurezza in Ucraina, nell’Indo-Pacifico, nel Sahel e altrove.
Gli Stati Uniti non stanno infierendo perché “la frittata ormai è fatta”, commenta ancora Tocci. “Dato che la frittata, oggi, non è nell’interesse di nessuno in Occidente, si cerca di soprassedere”. Ma in futuro la situazione potrebbe cambiare. “Siamo estremamente fortunati ad avere un’amministrazione che non ha interessi a seminare zizzania transatlantica e che quindi, nella fattispecie, non dice molto. Ma basta leggere le dichiarazioni di Rubio, come di un qualsiasi altro repubblicano, per rendersi conto che questa situazione non è scontata: in un futuro prossimo a Washington potrebbe sedere qualcuno molto più interessato a far leva su sbavature del genere. Oggi Macron è fortunato perché Biden non ha interesse a farlo, ma attenzione: andare oltre può avere dei costi non solo dovuti al fatto che gli avversari poi ti manipolano, ma anche alla possibilità che i tuoi falsi amici facciano leva sui tuoi stessi errori. L’interpretazione dell’interesse nazionale americano potrebbe cambiare. Nella situazione attuale, per l’Europa, sarebbero guai seri”.
Sul perché Taiwan riguardi direttamente gli europei si potrebbero scrivere pagine e pagine. Basti, qui, rimandare alla lettura di Gideon Rachman, che sul Financial Times riassume i motivi – politici, strategici ed economici – per cui il futuro democratico dell’isola è anche negli interessi dell’Europa. Il punto è che le affermazioni di Macron su Taiwan sono estremamente problematiche, poiché un conto è dire “gli interessi dell’Europa non sono identici a quelli degli Stati Uniti”, un altro conto è dire, di fatto, “il problema di Taiwan non riguarda l’Europa”.
Ad aggravare il passo falso di Macron c’è il fatto che pochi giorni fa, nel suo discorso sulla Cina, von der Leyen aveva detto sostanzialmente il contrario. “Anziché seguire il discorso della leader Ue, Macron è andato nella direzione opposta, a fronte di niente in cambio”, osserva ancora Tocci. “A questo punto, bastava non far finta di fare il grande leader europeo. Il paradosso più grande è che non ci ha guadagnato nulla neanche lui”. Vale la pena chiedersi, a questo punto, perché lo abbia fatto. “Perché non riesce a contenersi, è innamorato del suono delle proprie parole”, risponde Tocci, secondo cui “alla fine Macron è sempre vittima della sua arroganza”, sia interamente sia esternamente. “Il fil rouge che lega queste vicende – la riforma delle pensioni così come la posizione sulla Cina – è quell’arroganza per cui, anche quando ha idee condivisibili, riesce a mandare tutto all’aria”.
Un’ultima riflessione riguarda il modo stesso – sbilenco, come si diceva all’inizio – con cui si è svolta la missione. Una missione francese truccata alla bell’e meglio con un po’ di fard europeo. Eric Mamer, il portavoce di von der Leyen, ha sottolineato che non c’è stata “nessuna sorpresa per la diversa accoglienza” riservata ai due leader in Cina, “poiché quella di Macron era una visita di Stato mentre quella della presidente era una visita di lavoro per incontri di alto livello”. Diversi media hanno notato come il capo dell’Eliseo abbia ricevuto un trattamento d’onore, con tanto di tappetto rosso e banda, mentre von der Leyen è stata ricevuta all’aeroporto da un ministro di secondo piano. Forse non sarebbe stato così grave, se Macron non si fosse fatto prendere la mano. “L’idea originale è buona”, sostiene Tocci: “magari ogni capo di Stato europeo viaggiasse in Cina o altrove accompagnato da un rappresentante delle istituzioni europee. Il problema sta nel modo in cui questo viaggio è stato fatto e nel modo in cui la Cina ci ha giocato sopra, con loro che le hanno permesso di farlo. Penso al trattamento diverso riservato a Macron rispetto a von der Leyen: Macron avrebbe potuto rimarcare un’unità della visita, ma non l’ha fatto. È un’idea che nasce bene ma ha come effetto boomerang l’esatto opposto”. Fare il poliziotto buono e il poliziotto cattivo era una strategia perdente in partenza: il risultato è stato farsi manipolare, apparendo più deboli entrambi.
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dal Corriere della Sera

Intervista con Macron dopo la visita a Xi:

«L’Europa non può seguire gli Usa»

di Jamil Anderlini e Clea Caulcutt
Di rientro dal viaggio in Cina , il leader francese chiede una terza via per l’Ue: «Non siamo i vassalli di nessuno»
A BORDO DEL COTAM UNITÉ (velivolo presidenziale francese) – L’Europa deve ridurre la sua dipendenza dagli Stati Uniti ed evitare di farsi trascinare in uno scontro tra Cina e Usa sulla questione di Taiwan, afferma il presidente francese Emmanuel Macron nel corso di un’intervista rilasciata a bordo dell’aereo presidenziale, al termine della visita ufficiale di tre giorni in Cina.
Rivolgendosi a Politico e a due giornalisti francesi, dopo un colloquio di circa sei ore con il presidente cinese Xi Jinping, Macron ha ribadito la sua teoria personale di una «autonomia strategica», verosimilmente a guida francese, che consentirebbe all’Europa di diventare la «terza superpotenza».
Durante il volo da Pechino a Guangzhou (Canton, ndr), nella Cina meridionale, a bordo del Cotam Unité, l’aereo presidenziale francese, Macron ha dichiarato che «il rischio maggiore» per l’Europa è quello di ritrovarsi «coinvolta in crisi che non le appartengono, ostacolando così la costruzione di una sua propria autonomia strategica».
Xi Jinping e il partito comunista cinese hanno accolto molto favorevolmente il concetto di autonomia strategica avanzato da Macron, e i diplomatici cinesi vi fanno costantemente riferimento nei loro incontri con i rappresentanti dei vari Paesi europei. I capi di partito e i teorici di Pechino sono più che mai convinti che l’Occidente ha ormai imboccato il viale del tramonto, mentre la Cina è in ascesa, e pertanto l’indebolimento dell’alleanza atlantica non farà altro che accelerarne il disfacimento. «Se ci lasciamo cogliere dal panico, finiremo col credere paradossalmente di essere semplici seguaci dell’America», ha dichiarato Macron nel corso dell’intervista . «Gli europei devono trovare risposta a questa domanda: è nel nostro interesse precipitare la crisi di Taiwan? No. La cosa peggiore sarebbe proprio quella di pensare che noi, europei, dobbiamo accettare le consegne altrui su questo argomento e seguire le indicazioni fornite dall’America, provocando una reazione spropositata da parte della Cina».
Qualche ora dopo la partenza di Macron da Guangzhou per far rientro a Parigi, la Cina ha ordinato una vasta esercitazione militare attorno all’isola di Taiwan, repubblica autonoma, sulla quale la Cina rivendica la sovranità nazionale. Tuttavia gli Stati Uniti hanno promesso di armare e difendere il piccolo Stato indipendente.
Le esercitazioni militari sono state la risposta della Cina alla visita diplomatica di dieci giorni della presidente taiwanese Tsai Ing-wen in vari Paesi dell’America centrale, che ha previsto inoltre un colloquio con lo Speaker repubblicano della Camera, Kevin McCarthy, durante una tappa in California. Gli analisti che ben conoscono il pensiero del presidente francese hanno dichiarato che Macron ha tirato un sospiro di sollievo quando ha capito che Pechino aveva atteso la sua uscita dallo spazio aereo cinese prima di lanciare un attacco simulato per «accerchiare Taiwan».
Negli ultimi anni, Pechino ha minacciato a più riprese di invadere Taiwan e ha instaurato una politica di isolamento della repubblica democratica, costringendo altri Paesi a riconoscere l’isola come parte del territorio cinese, in virtù del concetto di «una sola Cina». Macron e Xi hanno ingaggiato un «intenso» dibattito su Taiwan, secondo i funzionari francesi al seguito del presidente, che sembra voler adottare un approccio più conciliatorio rispetto agli Stati Uniti e all’Unione europea.
«La stabilità nello stretto di Taiwan è di importanza cruciale», ha ribadito la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, che ha accompagnato Macron durante una parte del viaggio, rivolgendosi a Xi nel corso del loro incontro a Pechino lo scorso giovedì. «Riteniamo inaccettabile la minaccia dell’uso della forza per cambiare lo status quo». Xi ha reagito dicendo che chiunque pensi di poter esercitare la benché minima pressione sulle decisioni di Pechino nei riguardi di Taiwan si sbaglia di grosso.
E pare che Macron abbia avallato quella valutazione.
«Se noi europei non siamo in grado di risolvere la crisi in Ucraina, come possiamo ammonire la Cina su Taiwan, “attenzione, se fate un passo falso noi siamo pronti a intervenire?”. Ma se vogliamo esasperare le tensioni, questo è il modo migliore per farlo», ha concluso.
«Oggi l’Europa è più disposta ad accettare un mondo in cui la Cina esercita l’egemonia regionale», ha dichiarato Yanmei Xie, analista geopolitico alla Gavekal Dragonomics. «Alcuni leader pensano addirittura che questo nuovo ordinamento mondiale possa rivelarsi più vantaggioso per l’Europa stessa». Nel suo incontro trilaterale con Macron e von der Leyen giovedì scorso a Pechino, Xi Jinping ha fatto eccezione al copione prestabilito soltanto su due argomenti, Ucraina e Taiwan, secondo un osservatore presente al colloquio.
«Xi si è mostrato visibilmente infastidito dall’essere ritenuto responsabile del conflitto in Ucraina e ha minimizzato lo scopo della sua recente visita a Mosca», ha affermato l’osservatore. «Invece è apparso molto contrariato nei confronti degli Stati Uniti e di Taiwan, sia per la tappa americana della presidente taiwanese, che per il fatto che gli europei abbiano sollevato interrogativi su questioni di politica estera».
Nel loro incontro, Macron e von der Leyen hanno adottato una linea condivisa su Taiwan, secondo l’osservatore. Ma subito dopo Macron si è intrattenuto per oltre quattro ore con il leader cinese, in presenza dei soli interpreti, e nella conferenza stampa con i giornalisti ha adottato un tono molto più conciliatorio rispetto a quello della von der Leyen.
Macron sostiene inoltre che l’Europa, malgrado la dipendenza dagli Usa per l’energia e gli armamenti, oggi deve concentrarsi sullo sviluppo e potenziamento del suo settore della difesa. Ha inoltre suggerito che l’Europa dovrebbe ridurre la sua dipendenza dall’«extraterritorialità del dollaro statunitense», un obiettivo politico fondamentale tanto per Mosca che per Pechino.
«Se le tensioni tra le due superpotenze dovessero aggravarsi … noi non avremmo né il tempo necessario né le risorse per finanziare la nostra autonomia strategica e saremmo ridotti al ruolo di vassalli», ha affermato Macron.
Negli ultimi anni, Russia, Cina, Iran e altri Paesi sono stati colpiti dalle sanzioni americane, che vietano loro l’accesso al sistema globale finanziario denominato in dollari. In Europa, alcuni lamentano la «militarizzazione» del dollaro da parte di Washington, che costringe le imprese europee a rinunciare ai contratti e a tagliare i legami con Paesi terzi, pena l’imposizione di sanzioni secondarie devastanti. Seduto nella cabina di rappresentanza del suo velivolo A330, con indosso una felpa che recava la scritta «French Tech» sul petto, Macron ha affermato di aver già «vinto la battaglia ideologica per l’autonomia strategica» in Europa.
Ha preferito tacere, peraltro, sulla questione delle attuali garanzie di sicurezza fornite dagli Stati Uniti al continente europeo, che dipende fortemente dall’assistenza militare americana nel conflitto in corso in Europa, il più grave dalla fine della Seconda guerra mondiale.
Al momento, la Francia gode di una posizione militare unica: fa parte dei cinque membri permanenti del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ed è la sola potenza nucleare nell’Ue. La Francia, tuttavia, fino ad oggi ha contribuito in misura di gran lunga inferiore, rispetto ad altri Paesi, alla difesa dell’Ucraina contro l’invasione militare russa.
(Traduzione Rita Baldassarre)
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Le Monde, Financial Times

Macron ha (qualche) ragione sul lungo periodo,

ma torto nel breve

di LUCA ANGELINI
Dopo il polverone dell’intervista (pubblicata anche dal Corriere), a bordo dell’aereo presidenziale che lo riportava in Francia dalla Cina, il presidente Emmanuel Macron ha un po’ corretto il tiro. L’Eliseo ha diramato una nota per precisare che quell’invito gli europei a non diventare «vassalli» degli Stati Uniti non implicava alcuna «equidistanza» della Francia tra Usa e Cina: «Gli Stati Uniti sono nostri alleati, condividiamo valori comuni. La Cina è allo stesso tempo un partner, un concorrente e un rivale sistemico con cui vogliamo costruire un’agenda comune per ridurre le tensioni e affrontare le principali questioni globali e internazionali». Ma che quell’equidistanza fosse più di un’impressione lo dimostra il fatto che anche la Casa Bianca ha ritenuto opportuno riaffermare la sua fiducia nell’«eccellente relazione» fra Macron e Joe Biden (qui l’analisi di Federico Rampini sul «disastroso» effetto fatto a Washington dall’intervista). Tanto più che, come ha scritto il corrispondente del Corriere da Parigi Stefano Montefiori, secondo Politico, una delle testate che ha pubblicato l’intervista, «certe parti, nel corso delle quali il presidente ha parlato in modo ancora più diretto di Taiwan e dell’autonomia strategica dell’Europa, sono state tagliate dall’Eliseo».
Del resto, ci sono pochi dubbi sul fatto che le parole del presidente francese — pronunciate oltretutto nel bel mezzo delle «prove di guerra» di Pechino su Taiwan — si prestassero a più di un equivoco. Come sottolinea Le Monde nel suo editoriale sulla vicenda, Macron «ricordando che una delle preoccupazioni degli europei è la loro unità, ha precisato: “Anche i cinesi sono preoccupati per la loro unità e Taiwan, dal loro punto di vista, ne è una componente”. Macron sembra così porre sullo stesso piano il rapporto tra i ventisette Stati membri che fanno liberamente parte di un’Unione e quello di un’autocrazia superpotente con un’isola di 24 milioni di abitanti che rimane attaccata alla democrazia e rifiuta di essere assoggettata a tale superpotenza». Con l’aggravante della messa in guardia sul rischio dell’Europa di essere «coinvolta in crisi che non la riguardano».
Basterebbe il titolo dell’editoriale («Taiwan, una questione per l’Europa») a far capire che il quotidiano francese più attento alla politica estera non la pensa come Monsieur le Président. Idem Gideon Rachman del Financial Times che, poche ore dopo l’uscita delle frasi di Macron, ha scritto: «Ci sono tre argomenti principali per difendere Taiwan. Il primo riguarda il futuro della libertà politica nel mondo. Il secondo riguarda gli equilibri di potere globali. Il terzo riguarda l’economia mondiale. Insieme costituiscono un caso convincente per tenere Taiwan fuori dalle grinfie di Pechino».
Verrebbe quasi da dire che, a patto che «autonomia strategica» davvero non sia sinonimo di equidistanza, Macron ha ragione sul lungo periodo, ma torto nel breve. Perché si può anche concordare con il presidente francese quando dice: «L’autonomia strategica deve essere la battaglia dell’Europa. Non vogliamo dipendere dagli altri sulle questioni cruciali. Il giorno in cui non hai più libertà di scelta sull’energia, sul modo di difenderti, sui social media, sull’intelligenza artificiale perché non hai più le infrastrutture necessarie, esci dalla Storia». Ma il presidente francese — che guarda caso non ha concordato le sue parole né con gli altri partner europei, né con la presidente della Commissione Ursula von der Leyen, che pure l’ha accompagnato in Cina — sa benissimo che l’autonomia strategica è poco più di una locuzione senza una politica estera e una difesa comune europea. Che, con buona pace di Josep Borrell e dei suoi predecessori, sono lontanissime dal vedere la luce (né del resto, come ha ricordato Angelo Panebianco, Macron sembra intenzionato a favorirne la nascita rinunciando al seggio francese in seno al Consiglio di sicurezza Onu per concederlo all’Unione europea nel suo complesso). Tant’è che c’è persino chi arriva ad ipotizzare che le parole di Macron su Taiwan avessero, in realtà, l’obiettivo di frenare possibili tentazioni isolazioniste di Washington: se smetterete di aiutarci sull’Ucraina, noi non aiuteremo voi su Taiwan. Forse un po’ troppo machiavellico.
Il problema di avere ragione sul lungo periodo ma torto nel breve, è che è dal presente e dal futuro prossimo che arrivano i guai. La guerra in Europa, causa invasione russa, è già in corso da un anno e c’è chi sostiene che il Cremino pensi a una «guerra infinita». Che «autonomia strategica» potrebbe mettere in campo, qui ed ora, l’Unione europea se gli Stati Uniti frenassero sull’impegno Nato, oggi pro Kiev e domani magari a soccorso di un altro Stato nel mirino di Mosca? E che «autonomia strategica» avrebbe sull’approvvigionamento di microchip se un’invasione cinese di Taiwan bloccasse di colpo la produzione di semiconduttori ad alta tecnologia dell’isola? (Oltretutto, come ha scritto Rachman, se anche «le fabbriche di chip di Taiwan sopravvissero ma cadessero sotto il controllo cinese, le implicazioni economiche sarebbero enormi. Il controllo dei semiconduttori più avanzati del mondo darebbe a Pechino una presa soffocante sull’economia mondiale. Come gli Stati Uniti hanno già scoperto, replicare l’industria dei semiconduttori di Taiwan è molto più difficile di quanto sembri»).
«Ad un certo punto, dobbiamo porci la questione del nostro interesse», ha detto ancora Macron. «È vero — commenta Le Monde —. Ma nel bel mezzo della guerra in Ucraina, tale interesse risiede nella chiarezza e nell’unità, non nella confusione». L’autonomia strategica va costruita con pazienza e con i fatti. Non con parole sbagliate nei tempi e nei modi che sembrano fatte apposta per renderla più complicata.
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Il disastro Macron visto dagli Stati Uniti

di Federico Rampini | 11 aprile 2023
L’impatto sull’alleanza atlantica della visita di Macron a Xi Jinping è pesante: il presidente francese ha fatto capire che in caso di guerra contro Taiwan l’America avrà altrettante colpe della Cina
Non è tenero il giudizio americano su questa Europa, soprattutto se ci si riferisce all’autonomia geopolitica del Vecchio continente nella versione data in questi giorni da Emmanuel Macron. Il bilancio del viaggio in Cina del presidente francese è considerato disastroso da questa parte dell’Atlantico. Quella missione a Pechino e Guangzhou non ha spostato di un millimetro le ambiguità di Xi Jinping sull’Ucraina né ha ridotto il suo appoggio a Putin. In compenso ha fatto a Xi un regalo insperato: ha escluso una solidarietà europea a Taiwan in caso di aggressione.
Forse Macron può ritenersi soddisfatto per il bottino di affari che la sua visita ha contribuito a procacciare ai 50 industriali francesi al seguito. Ma l’impatto sull’alleanza atlantica è pesante. Teorizzando un’autonomia europea velleitaria – perché non sostenuta da adeguate risorse militari – e insinuando che in caso di guerra su Taiwan l’America avrà altrettante colpe della Cina, il leader francese ha fatto del suo meglio per rafforzare le tendenze centrifughe in Europa, e l’ala isolazionista del partito repubblicano negli Stati Uniti. Per un presidente che a casa sua continua ad essere delegittimato da un’opinione pubblica ostile, il tentativo di rilanciare la propria credibilità con la politica estera può considerarsi fallito. Di sicuro lo è agli occhi del partner più importante, l’America.
Non è la prima volta che Macron ambisce a vestire i panni di un nuovo Charles de Gaulle, e fallisce. Washington non dimentica che fu lui a dichiarare la Nato «in stato di morte cerebrale» pochi anni fa: proprio quella Nato che invece si è rivelata essenziale e in pieno rilancio per contrastare l’offensiva di Putin in Europa. Né sono stati dimenticati i numerosi tentativi di Macron di accreditarsi come il negoziatore con Putin, sempre con zero risultati.
Questi precedenti non sembrano avere insegnato nulla al leader transalpino. Recandosi alla corte di Xi, si è di nuovo esibito in una simulazione di grandeur neo-gollista, cioè una marcata presa di distanza dagli Stati Uniti, ma anche da tutti quei Paesi europei che sono filo-atlantici. In caso di invasione militare cinese nell’isola di Taiwan, ha detto Macron, «sarebbe un grande rischio se l’Europa si facesse coinvolgere in una crisi che non è nostra». Inoltre ha messo sullo stesso piano le responsabilità americane e cinesi nel caso di un’escalation. Sono affermazioni discutibili e gravide di conseguenze negative. Se c’è qualcuno che minaccia quotidianamente l’uso della forza contro Taipei, è la Repubblica Popolare. Gli Stati Uniti si limitano ad ambigue promesse di difendere l’isola in caso di attacco, annunci che peraltro un presidente diverso da Joe Biden potrebbe anche rimangiarsi. Che l’Europa non abbia i mezzi per intervenire a sua volta in quell’area, è evidente. Questo non significa che un’aggressione a Taiwan non la riguardi. Avrebbe conseguenze globali altrettanto gravi dell’attacco all’Ucraina. Metterebbe in pericolo tutti gli alleati dell’Occidente in quella parte del mondo, a cominciare da Giappone e Corea del Sud. Metterebbe a repentaglio la fornitura di semiconduttori essenziali per l’economia europea. Darebbe un segnale di ritirata delle liberaldemocrazie e dei loro valori. Nessuno si aspetta che navi militari francesi aiutino Taiwan a difendersi in caso di aggressione. Però Macron avrebbe potuto e dovuto dire a Xi che l’Europa reagirebbe ad una violenza contro l’isola democratica con sanzioni diplomatiche ed economiche. Le parole su Taiwan hanno dato a tutta la missione francese in Cina il sapore di una resa.
Gli europei hanno ottime ragioni per non essere succubi di una politica estera Usa che, tra l’altro, potrebbe cambiare con le prossime elezioni presidenziali. Però l’autonomia strategica della Ue dovrebbe cominciare da un’analisi lucida dei rapporti di forze e delle vere minacce. Sotto questo aspetto perfino i democratici Usa finiscono per aderire alla visione per cui la «nuova Europa» (i Paesi dell’Est guidati da Varsavia, nonché Finlandia e Svezia) è più realistica e affidabile della «vecchia Europa» franco-tedesca (come pensavano i repubblicani ai tempi di Rumsfeld-Bush). Torna attuale anche la celebre metafora su «gli americani che vengono da Marte, gli europei da Venere», allusione al mito ingenuo di un mondo dove non contano più le armi. Dall’inizio della guerra in Ucraina, la maggioranza dei paesi europei membri della Nato hanno proclamato e poi disatteso l’impegno a raggiungere almeno la soglia minima del 2% del Pil destinato alla sicurezza. Perfino la Francia, per quanto orgogliosa della propria force de frappe nucleare e delle proprie forze armate, resta al di sotto di quel 2%.
Il messaggio che Macron ha lanciato a Xi, ha una risonanza nel dibattito politico americano. Porta acqua a quelle correnti isolazioniste – di cui Donald Trump è solo l’esponente più rumoroso – che considerano gli europei dei parassiti della sicurezza, pieni di velleità autonomiste, ma incapaci di difendersi da soli senza l’aiuto americano. Quei politici repubblicani – e qualche democratico – i quali vorrebbero tagliare gli aiuti all’Ucraina, sono incoraggiati da questo atteggiamento francese. Se Parigi si chiama fuori da una crisi di Taiwan, perché Washington deve continuare a fornire aiuti all’Ucraina per contenere l’espansionismo russo? Putin ha manifestato più volte le sue ambizioni di ricostituire una sfera d’influenza simile a quella dell’Unione sovietica, questo significa tornare a destabilizzare l’intera Europa dell’Est. A che titolo gli europei si aspettano una solida barriera americana contro le mire egemoniche di Putin sul continente, se autorevoli leader UE fanno a gara a prendere le distanze dagli Stati Uniti? Macron lavora contro l’atlantismo di Biden, ma anche contro l’unità europea. Dalla Polonia ai Paesi Baltici le parole del presidente francese hanno l’effetto di confermare una convinzione: che per difenderli dalla Russia ci si può fidare solo della Nato a guida americana, non di Parigi né di Berlino.
Per finire, anche tra gli isolazionisti americani c’è chi vorrebbe mollare Taiwan al suo destino, proprio come Macron. Anche negli Stati Uniti c’è chi pensa che difendere quell’isola sia una causa persa (la Cina ormai è troppo forte) o semplicemente una causa sbagliata perché non sono in gioco interessi vitali per gli americani. Su quest’ultimo aspetto: da un lato chi la pensa così svaluta e disprezza il ruolo delle alleanze per tenere in piedi un modello di valori occidentali; dall’altro ha qualche argomento concreto visto che quest’America sta riducendo la propria dipendenza dai semiconduttori made in Taiwan e accelera il ritmo di costruzione di nuove fabbriche sul proprio territorio. È singolare che intervenga anche un leader europeo ad avallare la svalutazione delle alleanze; né si può dire che l’Europa sia altrettanto veloce dell’America nel ridurre la propria dipendenza dai microchip asiatici.

1 Commento

  1. Giuseppe ha detto:

    Non è la prima volta che un Presidente francese si permette un atteggiamento simile. Non per niente lo sciovinismo della Francia è proverbiale e si riassume nella parola “Grandeur” spesso abbinata alla sua azione politica, e non solo. Si tratta di un difetto che spesso accumuna quegli stati che in un determinato periodo storico hanno recitato ruoli determinanti nelle questioni internazionali.

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