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Giorgia Meloni fa la storia?
Le affermazioni velleitarie di Giorgia Meloni sul ruolo del Governo che starebbe “facendo la storia” sono insopportabili e inopportune.
Teresa Simeone
09 Settembre 2024
Che un conto sia rimanere all’opposizione, ruolo sostanzialmente facile da ricoprire per chi fa dell’aggressività politica la sua cifra esistenziale, e un conto essere al governo, con tutte le responsabilità e i doveri di gestire non solo l’amministrazione di un Paese, ma anche coloro che dovrebbero dargli un orientamento e comunicarlo efficacemente, è cosa evidente a tutti, in particolare a chi al governo c’è arrivato. È la differenza che passa grosso modo, fatte salve le dovute differenze nel rispetto della psicoanalisi, tra principio di piacere e principio di realtà. Contestare è facile quando non devi costruire; costruire è difficile quando sei abituato solo a contestare. Certo, i toni di Giorgia Meloni da quando è Presidente del Consiglio sono cambiati: si sono fatti sorprendentemente smorzati, misurati, addirittura cauti, sia negli incontri pubblici istituzionali, spesso trasformati in comizi anche quando presentati come conferenze stampa, considerata l’assenza di domande dei giornalisti, sia quando si è in giro per il mondo, alla ricerca di un accreditamento sul piano internazionale che dovrebbe sprovincializzare un partito sovranista e antieuropeista, almeno nella matrice ideologica. Ma, d’altronde, di matrici originarie, rinnegate sulle strade ufficiali o tollerate nei sottopassi, se ne parla abbondantemente, benché i corifei si ingegnino in contorsionismi linguistici e morali per vantare la modernità, lo strappo col passato, la democrazia rispettata di una destra estrema che vorrebbe presentarsi come moderata ma è costretta a fare i conti ogni giorno con vecchi fantasmi, puntualmente evocati da quelle formazioni che apparentemente non hanno legami con essa ma è in dubbio se abbiano smesso di dialogarci.
Le coraggiose inchieste di Fanpage, in tal senso, sono illuminanti, esempio di quel giornalismo che, quando non rimane alle veline del governo e incomincia a indagare nei retroterra, trova sempre qualcosa di pericoloso e primitivo da raccontarci, contemporaneo vaso di Pandora, metafora dei mali che vengono alla luce e si spargono per il mondo nel momento in cui qualcuno lo apre.
Ecco perché le affermazioni inopportune e velleitarie sul ruolo di questo governo che starebbe “facendo la storia” sono francamente insopportabili, anche per un Paese che vive di TeleMeloni e di smemorata e frivola evasione, per non parlare del solito vittimismo e richiami a complottismi sempre seducenti, alimento proteico per evitare l’indebolimento organico, con cui si condisce ogni dichiarazione: “Quando i nostri avversari non hanno trovato nulla per attaccare, hanno dovuto inventarsi di sana pianta notizie false per farlo. E quando qualcuno ha compiuto un passo falso, hanno utilizzato ogni strumento a disposizione per colpirci”, ha detto la Presidente del Consiglio in coda a un suo recente intervento.
Il caso di riferimento è quello naturalmente del Ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano, di cui Raffaele Carcano fece su questa rivista un ritratto originale e dettagliato, che si è trovato nella bufera Boccia, scoppiata negli ultimi scorci agostani e risuonata su ogni televisione o mass media: stigmatizzata come inammissibile in una moderna democrazia per l’uso privato del mezzo pubblico, l’intervista rilasciata al direttore del Tg1, Gian Marco Chiocci, durata quasi 18 minuti, ha visto il ministro scusarsi pubblicamente per quanto trapelato. Com’è finita la vicenda, è notizia di queste ore.
Intanto quella frase di Meloni sulla cautela comportamentale della destra che starebbe “facendo la storia” continua a risuonare nelle coscienze civili non offuscate dalla propaganda insieme alla domanda: quali sarebbero le conquiste di questo governo che hanno cambiato il corso degli eventi, facendo fare un salto evolutivo al popolo italiano?
Personalmente ricordo, appena insediata la destra al governo, l’attacco sferrato alla 194 da parte di Maurizio Gasparri nel proporre il riconoscimento giuridico del concepito che avrebbe di fatto configurato l’aborto come un reato per la donna e per il ginecologo che l’avesse procurato, seguito, qualche tempo fa, dall’approvazione della legge sul via libera nei consultori ai Pro Vita. Non certo un salto di civiltà.
Ricordo altresì i provvedimenti sui migranti e i manganelli sugli studenti, la solerzia degli agenti della Digos nell’identificare Marco Vizzardelli, che aveva gridato alla Scala “Viva l’Italia antifascista”, gli innumerevoli fatti che hanno umiliato la libertà dell’informazione: il programma cancellato senza alcuna motivazione di Roberto Saviano, la querela a Luciano Canfora, il caso di Antonio Scurati denunciato dalla coraggiosa Serena Bortone, poi oggetto di un procedimento disciplinare e fuori dai palinsesti Rai. Il clima, in quei corridoi, si è configurato come talmente tossico da provocare la reazione del sindacato Usigrai e la denuncia di un controllo dei vertici della Rai sull’informazione del servizio pubblico considerato ogni giorno più asfissiante.
Un modo per fare la storia c’è stato, sicuramente, quando si è cercato di cambiarla: come dimenticare le dichiarazioni del Presidente del Senato sulla strage di via Rasella, la “banda musicale di semi pensionati” e la relativa messa in discussione del ruolo fondamentale della nostra Resistenza? Puntualmente, è dovuto intervenire Sergio Mattarella a ripristinare la verità storica e ad ammonire da forme di revisionismo inaccettabili. E mica una volta sola!
Una delle pagine più tristi di questi anni è stata rivelata, però, dall’inchiesta di Fanpage sulla Gioventù nazionale che ha smascherato il volto della “splendida” gioventù di FdI, quella che dovrebbe rappresentarne il futuro, mettendone in luce l’ipocrisia e la duplice natura, una di facciata e una di sostanza, e reso noti i retroscena di una formazione che nasconde estremisti di destra che ancora inneggiano al duce, al nazismo e gridano slogan razzisti e antisemiti.
E poi il treno fermato da Lollobrigida a Ciampino, le gaffe di Donzelli, la vicenda Pozzolo, indagato per lesioni aggravate, alla festa di Capodanno dov’era con Dalmastro, la rissa alla Camera con il deputato Donno colpito e portato in ospedale, il caso Visibilia con il rinvio a giudizio della ministra Daniela Santanchè e, su tutto, le ultime rivelazioni del quotidiano Domani sui fondi regalati ai neofascisti dell’associazione “Acca Larenzia” per comprare l’omonima storica sezione dove sono stati uccisi, nel 1978, tre militanti del Movimento sociale italiano. L’imbarazzo per la questione che vede coinvolta la Fondazione Alleanza nazionale è ancora fortissimo, anche perché lambisce una Presidente del Consiglio impegnata ad accreditarsi come conservatrice liberale in UE e ad allontanare i sospetti che incombono sul governo più a destra della storia della Repubblica.
E infine c’è il caso Sangiuliano, che il governo avrebbe voluto derubricare a gossip ma che ha assunto i connotati di un incidente istituzionale, con le dichiarazioni di Sangiuliano puntualmente smentite da Boccia, l’incertezza di Giorgia Meloni nell’affrontare con tempestività il problema e i sospetti di ricattabilità di un signore che non era il vicino di casa ma un ministro, un rappresentante tra i più alti in carica, esposto al giudizio pubblico nazionale e internazionale.
In questa estate ormai al termine, in cui si dovrebbe discutere di inquinamento globale, di suicidi in carcere, di situazioni economiche sempre più precarie per tante famiglie, di una sanità alla deriva, di guerre in atto e di escalation da evitare, il Paese è stato prigioniero per giorni dei fatti privati di un uomo che però, in quanto ministro, è ovviamente sottoposto agli oneri, insieme ai tanti, tantissimi onori, del ruolo.
Una riflessione a margine segue: com’è possibile conciliare coerenza di comportamenti e di parole per tanti che si richiamano al valore della famiglia tradizionale, quella in cui un marito e una moglie si dichiarano amore eterno, non contemplano il divorzio tanto ostico alla religione cattolica, e poi, però, hanno figli fuori dal matrimonio, interrompono rapporti more uxorio con grande scioltezza e tradiscono le mogli con amanti da cui si fanno accompagnare anche in viaggi politici, fino a inserirle in luoghi sensibili, mettendo a rischio non si sa se anche la sicurezza nazionale ma di certo il decoro istituzionale?
Non che ci importi la vita privata degli esponenti di governo ma se questi ultimi contestano il diritto di esistenza a famiglie non convenzionali in nome dei valori sani e benedetti dalla religione cattolica e mettono a rischio l’onorabilità del Paese, allora una critica all’autenticità con cui interpretano il loro motto preferito, Dio, patria e famiglia, diventa legittima.
In ogni caso, il ministro, messo alle strette da una donna che, si può giudicare come si vuole, non sta cedendo alle pressioni esterne, ha rassegnato le dimissioni, prontamente sostituito dal presidente della Fondazione Maxxi Alessandro Giuli, iscritto da ragazzo al Fronte della Gioventù e poi al movimento estremista Meridiano Zero, sempre legato agli ambienti della destra romana, oggi, però, in età più matura, di profilo apparentemente moderato e presentabile. Meloni gli ha affidato il Ministero restato vacante, probabilmente in nome della rispettabilità istituzionale e della fedeltà alle matrici. Quelle comuni.
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