Iran, i misteriosi avvelenamenti delle ragazze a scuola: 5 mila casi. «Le nostre figlie attaccate, perché vi fanno paura»

dal Corriere della Sera

Iran,

i misteriosi avvelenamenti delle ragazze a scuola:

5 mila casi.

«Le nostre figlie attaccate, perché vi fanno paura»

di Greta Privitera
Sono centinaia gli episodi segnalati nei licei e nelle scuole medie da novembre: gialli senza soluzione. Ieri è intervenuto anche Khamenei: «Se sarà dimostrato gli autori saranno severamente puniti». Ma centinaia di insegnanti sono scesi in piazza per protestare
Siamo a Pardis, città a est di Teheran. Nel servizio si vede un anziano signore di spalle che racconta a un giovane giornalista della Irib, l’Islamic Republic of Iran Broadcasting – la tv di stato – di aver buttato nel bidone dell’immondizia vicino a casa un insetticida scaduto da anni. Secondo il signore, un fantomatico operatore ecologico avrebbe lasciato questo insetticida per strada, non troppo lontano da due scuole. I raggi del sole avrebbero scaldato il contenitore del veleno così tanto da far rilasciare nell’aria il gas per insetti. Il vento, poi, lo avrebbe trasportato nelle scuole femminili vicine, e così, quasi come per magia, decine di ragazze sarebbero state intossicate. Spiegazione surreale numero due: «Un’autocisterna che trasportava carburante passando nelle vicinanze della Khayyam School, ha rilasciato gas e ha avvelenato le studentesse di quel liceo». Supposizione del vicegovernatore sempre della città di Pardis.
Nei canali «ufficiali» iraniani, si cercano di spacciare i centinaia di avvelenamenti nelle scuole femminili (pochissimi in quelle maschili) che vanno avanti da novembre, come fatti misteriosi, come gialli senza soluzione. Dopo quattro mesi, cinquemila ragazze intossicate, centinaia di scuole colpite in decine di città e due morti, sono ancora ignote le sostanze utilizzate negli attacchi e solo martedì le autorità hanno parlato di «un certo numero di persone arrestate in cinque province e «l’inizio di un’indagine». Come a dire: ora facciamo sul serio.
«Se l’avvelenamento delle studentesse è dimostrato, gli autori di questo crimine saranno severamente puniti. Non ci sarà alcuna amnistia per queste persone», ha commentato l’ayatollah Khamenei, durante la cerimonia della Giornata della piantagione degli alberi (…).
Era ormai impossibile continuare a rimanere in silenzio, fingere che niente di grave stia succedendo tra i banchi delle scuole iraniane. Gli attacchi crescono a una velocità spaventosa – secondo il giornale Iran International, solo lunedì ci sono stati oltre 120 raid – e il leader supremo sa che è arrivato il momento di dire qualcosa, di simulare almeno una sorta di sdegno per questi atti gravissimi perché il rischio è ritrovarsi di nuovo le piazze piene, come sta accadendo.
«È da quattro giorni che non mando mia figlia a scuola. Ho paura che succeda anche a lei. È troppo rischioso. Fra due settimane c’è il capodanno, la terremo a casa fino alla fine delle vacanze. È un attacco contro le nostre bambine», ci dice Reza, un padre di Teheran. Amal è una mamma di Ishfan e racconta che nel liceo di sua figlia sono i professori a disertare le aule: «Il preside della scuola ci ha detto che non si assume la responsabilità di quello che sta accadendo e che se abbiamo paura possiamo tenerle a casa». Ogni volta che c’è un’incursione, sui social si vedono le immagini dei genitori accalcati ai cancelli della scuola appena colpita. Circolano video di madri trascinate per i capelli, di padri in preda al panico che cercano di scavalcare le mura di cinta per andare a salvare le figlie che da dentro urlano «aiutateci, non vogliamo morire».
«Non c’è dubbio che siamo davanti a qualcosa di ben organizzato e capillare. Com’è possibile che l’intelligence iraniana, una delle più forti al mondo, che ha basato la sua esistenza sul controllo spietato delle vite dei suoi cittadini, che da un like su Facebook arriva a scoprire la storia di tuo cugino dissidente, non sia ancora in grado di dare una spiegazione? O sono loro i colpevoli di questi raid, o comunque gli fanno comodo», commenta Mahmood Amiry-Moghaddam, fondatore della Iran Human Rights di Oslo.
Le versioni off-the-record delle autorità sono diverse. Qualcuno dice che a compiere gli attacchi sarebbe un gruppo estremista che vuole vietare l’istruzione femminile, un po’ come succede in Afghanistan. Qualcun altro accusa i nemici stranieri: «Si tratta di una guerra ibrida scatenata dal nemico con l’obiettivo di destabilizzare il Paese», ha dichiarato il presidente iraniano, Ebrahim Raisi . Ma la maggior parte dei cittadini non ha dubbi: c’è la mano del regime.
Un professore di una scuola maschile di Teheran, è convinto che le guardie dell’ayatollah attacchino i licei femminili perché è proprio lì che è nata la rivoluzione: «Puniscono il cuore del cambiamento come avvertimento: per ora non vi ammazzo, ma posso farvi del male. Sono più forte di voi». Amiry-Moghaddam è d’accordo: «Da settembre il regime ha capito che più di tutti deve temere le ragazze, le ragazze istruite. In un discorso a ottobre, Khamenei aveva detto: “Questi giovani devono essere puniti per aver scelto di protestare”. Ed ecco fatto. Ora che le proteste di piazza sono diminuite, è come se arrivasse il castigo del padre, ma credo che la situazione gli stia sfuggendo di mano».
Martedì ci sono stati diversi scioperi degli insegnanti a Mashhad, Isfahan, Karaj, Rasht, Sanandaj, Marivan, Lahijan, Teheran, Ahvaz, Babol e Shiraz. I giornali nazionali riportano lanci di lacrimogeni, uso di spray al peperoncino per disperdere la folla e arresti. Immagini che ci riportano indietro di due mesi.
Una professoressa di un liceo di una città non lontana da Teheran, che fa parte del sindacato della scuola, racconta che anche lei è tornata a protestare. Denuncia che in alcuni casi i presidi sono conniventi: «Il mio capo è contro di noi». Nella scuola dove lavora c’è stato un attacco a febbraio, ma lei non era presente. Anche per le sue studentesse è andata come per tutte le altre: un improvviso odore di mandarino bruciato, e poi sensazione di soffocamento, nausea, svenimenti. Molte di loro sono finite in ospedale, alcune anche in gravi condizioni.
Un medico curdo con cui parliamo, ci ricorda che non sapendo la sostanza utilizzata negli attacchi è difficile immaginare se questi gas avranno effetti futuri sul corpo delle ragazze: «Da alcuni esami dell’ospedale si è visto che c’è una diminuzione del volume medio dei globuli rossi, ma si sa ancora troppo poco».
Proviamo a contattare il liceo Parvin Etesami, nella città Boushehr, e il Noor Yazdanshahr Conservatory, a Qom, due scuole appena colpite, ma non risponde nessuno.
La mediatrice culturale e attivista Parisa Nazari commenta: «Il regime sta dicendo: dopo che abbiamo sistemato le strade e le piazze ora sistemiamo le studentesse che hanno osato strappare le foto del leader supremo, che gli fanno il dito medio, che si tolgono il velo, che urlano “donna, via e libertà”». La strategia del gas nelle scuole va di pari passo con quella delle torture, le violenze sessuali, le pallottole negli occhi, le impiccagioni.
Quando chiediamo a Amiry-Moghaddam se stiamo assistendo alla vittoria del regime e dei suoi metodi repressivi, se ci troviamo davanti alla fine della rivoluzione, lui sorride e risponde: «Non si può più tornare indietro. Nelle città quasi tutte le ragazze girano senza velo, le chat pullulano di rivolta, i muri parlano direttamente a Khamenei. E’ questione di tempo e si scenderà di nuovo nelle piazze, come sta succedendo oggi. La situazione economica è insostenibile. L’ayatollah ha i giorni contati e le sta provando tutte».
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