13 agosto 2023: XI DOPO PENTECOSTE
1Re 19,8b-16.18a-b; 2Cor 12,2-10b; Mt 10,16-20
Vorrei fare una premessa. La Bibbia è formata da ben 73 libri, alcuni molto brevi addirittura di una sola pagina stampata. Questi 73 libri a loro volta sono riportati in due grandi blocchi: 46 formano l’Antico Testamento, 27 formano il Nuovo Testamento.
Soffermiamoci sull’Antico Testamento: troviamo il Pentateuco (i primi cinque libri: Genesi, Esodo, Levitico, Numeri, Deuteronomio), i libri storici, i libri sapienziali, i libri profetici. All’interno dei libri profetici si è soliti distinguere i profeti maggiori (Isaia, Geremia, Ezechiele, Daniele) dai profeti minori, che sono dodici. L’appellativo “minori” si riferisce soltanto alla mole degli scritti, non alla loro importanza, come avviene per l’appellativo “maggiori” dato ai libri di Isaia, Geremia, Ezechiele e Daniele.
Poi ci sono i profeti che non hanno scritto nulla, e tra questi troviamo Elia, vissuto nel IX sec. a.C., che ha profetato in Israele, il regno del Nord, ormai diviso da quello di Giuda, il regno del Sud, dopo la morte del figlio del re Salomone.
Che dire di Elia in due parole? È stato un uomo che ha avuto nel suo dna o nel suo sangue una focosa passione per l’unico Dio. Un profeta tanto tenace quanto debole: ha saputo contrapporsi a una regina pagana, Gezabele, moglie del re Acab, e sfidare i suoi 450 profeti di Baal, eliminandoli dopo averli derisi; e per trovare veramente Dio dovette percorrere ancora un lungo cammino di prova, che lo renderà più umile, meno sicuro di sé: egli dovrà nascondersi per dare a Dio il suo primato.
Ed ecco: la regina Gezabele umiliata da Elia si vendica mandando messaggeri a intimidire il profeta di Dio, minacciandolo di morte. Elia allora, prima così pieno di fiducia nell’aiuto del suo Dio, stranamente è preso da una forte crisi e fugge, intimidito dalla minaccia della regina. Per riprendere l’antica fiducia, deve tornare all’Oreb, alle sorgenti della pura fede.
Non si sente migliore dei suoi Padri e chiede al suo Dio di farlo morire. Si addormenta sotto un ginepro. Un angelo lo sveglia e gli ordina di alzarsi e di mangiare. Elia, con il pane offertogli e con l’acqua dell’orcio che gli è posto dinanzi, riesce a riprendere forza e a rimettersi in cammino. Arriva così fino all’Oreb, attraversando per quaranta giorni e quaranta notti il deserto.
Se prima Elia si era mostrato come l’eroe che combatte per Dio, da questo momento, ritraendosi nel deserto, si purifica immedesimandosi con la Parola di Dio. Vuole attendere che Dio gli si manifesti, prima che Dio stesso parli.
Da notare lo stile letterario del racconto sacro a questo punto cerca di esprimere la nuova esperienza divina: è essenziale, sobrio, scarno, come dovrebbe essere quando si parla del Mistero divino.
Elia si rifugia in una caverna sulla cima del monte. Probabilmente pensa di incontrarsi con Dio come Mosè. Ma Dio non gli si mostra né nel vento forte, né nella tempesta, né nel fuoco, con tutti i suoi fenomeni impressionanti. Egli allora si copre col mantello ed esce, fermandosi all’ingresso della caverna.
A questo punto l’autore sacro non vorrebbe, ma si sente quasi costretto a esprimere con parole umane ciò che è successo, ricorrendo a tre parole ebraiche intraducibili, “qol demamah daqqa”, anche se fanno intuire qualcosa dell’Essenza Divina nel suo manifestarsi all’uomo e al profeta.
Vi chiedo ancor più attenzione. Talmente intenso diciamo anche misterioso è il significato di queste tre parole ebraiche che molte ne sono le traduzioni, tutte inevitabilmente “imperfette”: il latino ha tradotto in sibilus aureae tenuis, voce di brezza leggera, le diverse versioni della Bibbia danno di volta in volta altri significati: “il mormorìo di un vento leggero, la voce di un silenzio sottile, il suono di una debole parola, la voce di coloro che lodano Dio in segreto, la voce di una calma svuotata…”.
Qòl è la voce umana, ma anche il tuono o un rumore fragoroso; Demamah è la calma, il silenzio, il divenire silenzioso e immobile; Daqqah è il ridurre in polvere, lo svuotare, l’alleggerire… Notate questo gioco di parole contrastanti tra loro.
Qualcuno preferisce tradurre “voce di silenzio svuotato”.
Una cosa possiamo intuirla, ed è che si tratta di una esperienza del tutto singolare, unica, di quella presenza diciamo mistica di un Dio che è, umanamente parlano, così leggero da essere intuito solo nel profondo senza fondo del nostro essere più spirituale.
E – qui riflettiamo – il profeta Elia, così carnale nella sua focosità e irruenza, arriva ad una conoscenza più reale di quel Dio, che è tale da cambiare la sua persona, da renderlo diverso, veramente “uomo di Dio”.
Elia, che ha avuto bisogno di una purificazione, attraverso la crisi e la dura prova, si rivela d’ora in poi il vero contemplativo, il primo monaco, padre dei futuri monaci, pensate all’Ordine dei Carmelitani, il primo mistico che conosce in questa “voce di silenzio svuotato” qualcosa di più profondo e vero della realtà divina. E ne rimane letteralmente trasformato.
Il suo incontro con Dio che si rivela come “voce di silenzio svuotato” lo porta in sé, nel mondo del suo essere interiore, un mondo di assoluta intimità, di profondo silenzio, di forza spirituale: Elia diventerà l’uomo umile, che si nasconde dietro la Parola di Dio.
Questo fatto è il segno evidente dell’importanza che l’esperienza dell’Oreb ha avuto per la sua vita. C’è qui una rivelazione nuova e inattesa del volto di Dio, ma ha dovuto attraversare un deserto di prove che lo ha purificato nella essenzialità.
Elia, mettendosi nelle mani di questo Dio misterioso e vitale, da ora in poi dovrà cambiare vita: non agirà più come prima in virtù della sua volontà, della sua istintività passionale, del suo lottare ricorrendo anche a una violenza fisica, ma nel suo agire d’ora poi aspetterà che il Signore gli parli nel profondo del suo essere, perché solo qui si può capire e accettare il Volere divino.
A questo punto, possiamo agganciarci al brano del Vangelo di oggi, quando Gesù dice: «Ecco: io vi mando come pecore in mezzo a lupi; siate dunque prudenti come i serpenti e semplici come le colombe. Guardatevi dagli uomini, ecc. ecc.».
Certo, occorre prudenza, ma più che prudenza, che sa ancora di troppo umano, ci vuole quella semplicità di fede, l’unica a metterci in contatto con Dio per natura semplicissimo, e capace di donarci quel coraggio di affrontare i lupi, ovunque siano, nel mondo politico, sociale e perfino nella stessa struttura ecclesiastica.
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