da napoli.repubblica.it
Pompei, trovati gli scheletri di altre due vittime
dell’eruzione del 79
di Paolo De Luca
Sono un uomo e una donna. Lei, ancora sul letto portava con sé un piccolo tesoro con monete d’oro, argento e bronzo, orecchini in oro e perle
12 AGOSTO 2024
Stavolta non tocca alla bellezza. Niente affreschi o statue decorate. Stavolta tocca al dolore e alla morte. È la storia quotidiana dell’archeologia di Pompei, città romana distrutta dall’eruzione del Vesuvio nel 79 dopo Cristo che, a distanza di duemila anni, continua a riportare i segni dell’agonia vissuta dai suoi abitanti. L’ultima scoperta arriva dai lavori nell’area di scavo dell’Insula 10, Regione Nona.
I primi esami allo scheletro del ragazzo
La grande domus sotto esame ha restituito due scheletri, un uomo e una donna. Provarono a scampare alla pioggia di lapilli dal cielo, cercando riparo in un piccolo ambiente (il numero 33): superarono la prima notte dell’eruzione, quella del 24 ottobre. La stanzetta, dalla finestra ben serrata, rimase pure sgombra di pomici. In realtà, i due si stavano già condannando così, dato che l’ambiente accanto, un grande salone, era talmente colmo di detriti, da bloccare l’unica porta d’uscita.
Le vittime, un ragazzo di 15-20 anni e una donna di 35-40, non ebbero il tempo di porsi il problema, dato che furono travolte di lì a poco dalla valanga ardente del flusso piroclastico proveniente dal vulcano. Ora, gli scheletri si aggiungono ai tanti, tornati alla luce nel tempo. Alcuni, si sa, sono diventati calchi (per questi è stato impossibile realizzarli). Del resto, ci troviamo in un luogo devastato da una catastrofe: scoperte del genere ci sono state e ci saranno. Ma lasciano sempre il segno: «Ci ricordano – commenta il direttore del Parco archeologico Gabriel Zuchtriegel – come Pompei richieda grande attenzione, perizia e responsabilità nel raccontarla. Qui, l’archeologia non può essere soltanto studio dell’architettura e storia dell’arte, ma anche del dolore».
Lo scheletro della donna, ritrovato in posizione fetale
Scienza e umanità si sovrappongono nei risvolti di un’indagine che coinvolge archeologi, vulcanologi e antropologi. «I risultati – riprende Zuchtriegel – ci forniscono microstorie e particolari importanti sugli ultimi istanti di vita delle persone, sulle loro scelte di come salvarsi». Accanto alla donna, che non si esclude fosse un’abitante della casa assieme al ragazzo (si saprà se avessero un vincolo di parentela dopo l’esame del Dna) sono stati trovati più oggetti, una sorta di fagotto confezionato in fretta prima di scappare. In due sacchette di stoffa (oggi decomposte), c’erano alcune monete. In un cofanetto, invece, deducibile dalla presenza di una serratura in bronzo superstite e della relativa chiave, c’erano aurei imperiali, splendidi orecchini con perle, una lunula (ornamento a forma di spicchio lunare) in argento.
Le condizioni dell’ambiente hanno poi permesso di realizzare i calchi del mobilio in legno, colando il gesso nelle cavità lasciate dalla decomposizione dei materiali organici. Ecco uno sgabello a tre piedi, una cassa rettangolare, oggetti da mensa e lucerne. La stanzetta poteva essere un ambiente di servizio, confermato anche dal piccolo letto, magari parte di un sistema di triclini, tipici delle stanze da pranzo romane. La donna è rimasta adagiata in posizione fetale.
Ed è qui che emerge uno dei lati più funesti della tragedia. Il ragazzo morì una manciata di minuti prima, investito dal crollo di una delle pareti. Lei spirò poco dopo, forse per asfissia o shock termico. Ciò le lasciò il tempo di comprendere lo scenario e, soprattutto, la sua condizione disperata.
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