Omelie 2020 di don Giorgio: TERZA DOPO IL MARTIRIO DI S. GIOVANNI IL PRECURSORE

13 settembre 2020: TERZA DOPO IL MARTIRIO DI S. GIOVANNI IL PRECURSORE
Is 11,10-16; 1Tm 1,12-17; Lc 9,18-22
Il “resto di Israele” secondo l’apostolo Paolo
Anche io, questa volta, prendo una parola dal primo brano della Messa di oggi, e mi soffermerò a spiegarla nel suo senso più reale,che ritengo utile e attuale per farci riflettere.
In realtà, l’espressione “il resto di Israele” ha avuto diverse interpretazioni, tanto più che anche l’apostolo Paolo ne parla nella lettera che ha scritto ai cristiani di Roma, quando affronta il problema di Israele. Per san Paolo, il severo giudizio di Dio sull’infedeltà del popolo ebraico resta, ma diventa un salutare monito per la stessa Chiesa. Certo, il popolo di Israele, carico di privilegi e di promesse, non è venuto meno: il “resto” d’Israele, di cui ha parlato Isaia e che ha sempre vissuto nella linea della fede di Abramo, è ancora presente, è salvo. Gesù Cristo, gli apostoli, la comunità giudeo-cristiana di Gerusalemme rappresentano questo piccolo “resto”, nel quale Israele sopravvive. Ma il “popolo” d’Israele, come tale, è forse condannato ad una infedeltà e a un giudizio senza appello? No, afferma Paolo, perché i doni e la chiamata di Dio sono irrevocabili. L’infedeltà di Israele non solo è parziale, ma è provvisoria. Il mistero di Israele viene così espresso: “L’indurimento di una parte di Israele è in atto fino a che saranno entrate tutte le genti. Allora tutto Israele sarà salvato” (11,25.26). Dio infatti ha rinchiuso tutti, pagani e giudei, nella disobbedienza, per usare a tutti misericordia (capitoli 9-11).
Il “resto di Israele” secondo l’Antico Testamento
Cerchiamo anzitutto di chiarire l’espressione “il resto di Israele”, che troviamo per la prima volta nel libro di Isaia, capitolo 10 versetti dal 20 al 22. Risentiamoli: «In quel giorno, il resto d’Israele e i superstiti della casa di Giacobbe non torneranno ad appoggiarsi sul loro aggressore, ma si appoggeranno con lealtà nel Signore, il Santo d’Israele. Un resto ritornerà, il resto di Giacobbe, al Dio potente. Poiché, anche se il tuo popolo, o Israele, è come la sabbia del mare, solo un resto tra esso ritornerà…».
Secondo gli studiosi, il “resto di Israele” non è solo la rappresentazione di un piccolo gruppo nazionale uscito indenne dalle prove, ma è la definizione di coloro che rimangono fedeli al Signore all’interno di un popolo peccatore. È quindi il seme giusto di Israele che permane anche dopo la devastazione compiuta dal Signore attraverso gli Assiri (che hanno occupato nel 722 a.C. il regno del Nord o d’Israele, con capitale Samaria, deportando la popolazione ebraica in varie zone della Mesopotamia) o attraverso i Babilonesi (che hanno occupato il regno di Giuda o del Sud nel 586 a.C., con capitale Gerusalemme, deportando la popolazione ebraica a Babilonia).
Quindi, possiamo dire che è proprio al “resto d’Israele”, ovvero ai migliori, ai giusti, ai fedelissimi che Dio rivolge il suo messaggio di speranza e di salvezza.
Il “resto di Israele” secondo il Nuovo Testamento
Nel Nuovo Testamento il “resto d’Israele” è identificato con la comunità cristiana, non solo perché alcuni giudei si sono convertiti al Cristianesimo, ma perché la Chiesa in sé sarebbe il nuovo popolo eletto.
Come intendere in senso più ampio il “resto d’Israele”?
E ora la domanda forse per noi più importante: come intendere in senso più ampio il “resto d’Israele”? Talora, anche ai giorni nostri, sentiamo parlare di un “resto”, o di un piccolo gruppo di giusti che sarà la salvezza del mondo.
Chiariamo subito. Il “resto” non va inteso tanto come quella parte di umanità che è esclusa dalla stessa società. Si sente parlare di “scarto”, ovvero di gente che viene scartata dagli ingranaggi di un meccanismo che agisce per conto di un certo concetto di progresso tecnologico ed economico che impone le sue leggi, alle quali non tutti riescono ad adeguarsi. E questo meccanismo viene giustificato in nome del benessere di una nazione, intesa nel suo senso peggiore di “patria” da salvare dagli stranieri che, se venissero da noi, potrebbero rompere qualche ingranaggio del meccanismo, secondo cui tutto funziona se si salvano gli interessi nazionalisti, che poi sono la somma degli interessi individualisti. Ed è questo l’inganno di un concetto di patria, che è la frammentazione di un bene comune sul criterio del “prima io, poi tu”, e questo avviene anche tra noi, cittadini della stessa patria, dello stesso paese, e starei per dire dei membri della stessa famiglia. L’egoismo, ovvero “il prima io, poi tu” ha rotto non solo le relazioni sociali più ampie, ma la stesse relazioni familiari. “Il prima io, poi tu” ha messo in crisi la stessa famiglia: marito e moglie che si dicono tra loro “prima io, poi tu”, e genitori e figli che si dicono tra loro “prima io, poi tu”.
Quando si parla del “resto”, e non tanto di scarto, si deve intendere proprio l’idea di fondo che troviamo nell’espressione del profeta Isaia. “Il resto” è il seme giusto, o il seme di quei pochi giusti che permetteranno una rinascita, dopo il collasso di una società che, invece che tirare i freni rispettando il passo di tutti, si è lanciata in una corsa pazza verso il nulla di un materialismo vuoto di spirito.
Attenzione: non parlo di un gruppo di privilegiati o di eletti che si credono i migliori o gli unici giusti sulla terra. Il concetto di “elezione”, che è stata la continua tentazione del popolo d’Israele, mi fa paura, perché, nella storia, ha fatto enormi danni: basterebbe pensare a Hitler, con il suo opportunistico concetto di razza pura.
Forse sarebbe meglio parlare di seme giusto, che è il Meglio divino, che è in ogni essere umano. Ma succede, come è sempre successo, che la massa vive nella carnalità più animalesca, mortificando il seme dei giusti davanti a Dio. Quando diciamo “il resto dei giusti” significa questo: di coloro che (purtroppo sempre pochi, pochissimi), che non fanno parte della massa di carnalità che è quel vivere di pelle per un pezzo di pelle.
Non ci sono eletti per un particolare privilegio divino o umano. Ma tutti siamo nobili dentro, purché ci ribelliamo a quella omologazione di massa che reprime la voce dello spirito interiore. Il giusto non è tanto colui che rispetta le leggi di una società civile o religiosa, ma colui che vive in quello Spirito divino che è dentro di noi, non per essere goduto in una esaltazione mistica, ma per ridare a una società tutta pelle quella energia interiore che sola potrà permettere una rinascita, che perciò non si realizzerà con le disumane leggi economiche o di una folle tecnologia. Domanda: potrà esserci un popolo di giusti? Credo di no, e il problema oggi è chiederci: quanti giusti ci sono, disposti a rinnovare il mondo?

1 Commento

  1. Da conservare sul marque page,per poterla rileggere e meditare.GRAZIE DON GIORGIO.

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