Omelie 2018 di don Giorgio: SECONDA DOPO L’EPIFANIA

14 gennaio 2018: SECONDA DOPO L’EPIFANIA
Is 25,6-10a; Col 2,1-10a; Gv 2,1-11
La scelta dei tre brani della Messa
Se ci chiediamo il motivo per cui la Liturgia ha scelto i tre brani della Messa di oggi, la risposta stavolta potrebbe essere più facile.
Oggi è la seconda domenica dopo l’Epifania (la parola “epifania” deriva dal greco ἐπιϕάνεια e significa “manifestazione”, “rivelazione”), perciò non poteva mancare il racconto del miracolo di Cana, quando Gesù, come scrive l’evangelista Giovanni, “manifestò” la sua gloria. Da notare che il verbo greco è ἐφανέρωσεν, che richiama come si vede la parola “epifania”.
Il primo brano poi è stato scelto probabilmente perché vi si parla di un banchetto e di vini eccellenti, con esplicito riferimento al banchetto delle nozze di Cana e al vino ottimo ottenuto miracolosamente da Gesù trasformando l’acqua contenuta nelle giare.
Infine, il secondo brano si collega al primo, quando Isaia parla di un velo o di una coltre che vengono strappati, a cui fanno riferimento le parole di san Paolo, quando parla di una piena intelligenza, di una perfetta conoscenza dei misteri di Dio.
Vediamo di dire qualcosa di più.
Primo brano: il grande banchetto e il velo strappato
Nel primo brano il profeta Isaia parla di un grande banchetto, che il Signore preparerà invitando tutti i popoli della terra. Dunque, sembra che il banchetto nella visione del profeta abbia più ampie proporzioni di quello allestito durante le nozze di Cana, ristretto ai parenti e agli amici degli sposi. Come vedremo, in realtà non è così.
Subito si pone una domanda: come sarà possibile che tutti i popoli della terra aderiranno all’invito di Dio di partecipare al banchetto universale? Non dimentichiamo la parabola di Gesù degli invitati al banchetto di nozze regali, che hanno declinato l’invito portando delle scuse.
La risposta alla domanda “quando tutti i popoli accetteranno l’invito a partecipare al grande banchetto di Dio?” include anche il popolo ebraico, forse anzitutto il popolo ebraico, ed è proprio su questo popolo prediletto da Dio che il velo o la coltre ha coperto la montagna di Dio, ovvero la visione di Dio, nella sua realtà infinita.
San Paolo: la piena intelligenza dei misteri di Dio
San Paolo nella lettera ai cristiani di Colossi esprime il suo grande desiderio, unitamente al suo indefesso impegno apostolico, perché i cristiani “acquistino in tutta la sua ricchezza la piena intelligenza, e giungano a penetrare nella perfetta conoscenza del mistero di Dio, cioè Cristo, nel quale sono nascosti tutti i tesori della sapienza e della scienza».
San Paolo rivela il segreto per uscire dall’inganno dell’ebraismo, di cui tra l’altro aveva fatto parte, prima della conversione sulla via per Damasco: l’ebraismo aveva ridotto la conoscenza di Dio ad una formale e anche disumana osservanza della Legge (Torah) che, al tempo di  Cristo, aveva tradito non solo la purezza della verità divina in tutta la sua più assoluta spiritualità, ma aveva reso un alieno l’essere umano, reso prigioniero di un elenco interminabile di norme e di divieti.
Sarà Cristo a togliere il velo, a squarciare la coltre permettendo all’essere umano di respirare nella sua realtà interiore, a contatto con lo Spirito di Dio.
Tutti e tre i sinottici (Matteo, Marco e Luca) scrivono che, subito la morte di Gesù, “il velo del tempio si squarciò in due”. Nell’antico tempio di Gerusalemme (venne distrutto nel 70 d.C. dall’esercito dell’imperatore romano Tito) vi erano due veli o tende: uno stava davanti all’altare dell’incenso, dove i sacerdoti accedevano ogni giorno; l’altro separava la zona riservata ai sacerdoti da quella del “Santo dei Santi”, nel quale poteva entrare solo il Sommo Sacerdote una volta all’anno nel Giorno dell’Espiazione. Fu quest’ultimo il Velo che si squarciò.
Queste parole, più che in senso letterale vanno intese nel senso più mistico: il velo che si squarcia è ciò che separa Dio dall’essere umano. Ora è possibile entrare in contatto diretto con Dio, ciò che invece la religione ebraica non permetteva, e ciò che ancora oggi le religioni, pretendendo di fare da mediatrici, cercano di evitare. Ogni religione si interpone tra noi e Dio, e non vuole che ciascuno di noi viva in libertà interiore il suo rapporto con il Divino. Questo è stato il vero motivo per cui la Chiesa ha distrutto la Mistica e ha condannato i Mistici.
Il velo o la coltre che copre Dio e il suo Mistero è rappresentato dalle religioni, che lasciano filtrare del Mistero di Dio ciò che fa comodo alla struttura religiosa. Ci viene la tentazione di dire che la morte di Cristo non sia servita a nulla, e che nei nostri Templi o basiliche siano presenti grossi tendoni che separano Dio dall’essere umano.
Che cosa ha squarciato il velo del Tempio? Sì, più che la morte fisica di Cristo, è stato lo Spirito che Cristo ha donato con la sua morte.
L’Ora dello Spirito
Passando al brano del Vangelo, mi sono sempre chiesto dove fosse presente la realtà dello Spirito santo, visto che nel Vangelo di Giovanni lo Spirito è un immancabile protagonista: pensate all’incontro di Gesù con la samaritana e con Nicodemo.
In apparenza, e solo in apparenza, il miracolo di Gesù riguarda la trasformazione dell’acqua in vino. L’evangelista ci tiene a sottolineare che i miracoli di Gesù sono “segni”, ovvero contengono qualcosa di profondo, di misterioso, del mondo divino.
A parte la simbologia del vino che, nell’Antico Testamento, richiama la gioia e anche la sapienza, che è dono dello Spirito, c’è una parola che Gesù dice alla madre e che richiama la sua morte gloriosa sulla croce: “Non è ancora giunta la mia Ora”. Che significa l’Ora di Gesù? È l’Ora della sua glorificazione sulla Croce. Per il quarto Vangelo la Croce è già glorificazione prima della risurrezione, e il motivo l’abbiamo più volte spiegato. Mentre muore, Gesù dona lo Spirito santo. Ecco dove sta la glorificazione di Gesù.
Gesù, mentre compie il miracolo di Cana, trasformando l’acqua in vino, anticipa il dono dello Spirito santo. Se a compierlo fosse stato il gesto di Gesù di Nazaret, dove starebbe il segno? Il segno è la presenza dello Spirito che richiede, per vederlo, gli occhi dello spirito del nostro essere interiore.

 

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