Omelie 2017 di don Giorgio: SECONDA DOPO L’EPIFANIA

15 gennaio 2017: SECONDA DOPO L’EPIFANIA
Nm 20,2.6-13; Rm 8,22-27; Gv 2,1-11
Sarei tentato anch’io di partire subito dall’episodio di Cana, e soffermarmi a lungo su uno tra i miracoli più famosi narrati dall’evangelista Giovanni. Tuttavia, ritengo interessanti, perciò degni di attenzione, anche i primi due brani.
A confronto due episodi simili, pur con particolari differenze
Partiamo dall’episodio contenuto nel Libro dei Numeri. Non possiamo non confrontarlo con un altro brano che ha delle forti analogie, e anche alcune differenze: è quello che troviamo nel libro dell’Esodo (17,1-7). Il miracolo è il medesimo: l’acqua scaturita dalla roccia per un intervento divino. Ma ci sono alcune divergenze: il racconto presente nel Libro dei Numeri viene ambientato alla fine dell’esperienza dei quarant’anni nel deserto, mentre l’episodio presente nel Libro dell’Esodo è ambientato all’inizio. Questo fa già capire come per la Bibbia interessi poco inquadrare storicamente gli episodi, ma conti l’episodio in sé, da cui trarre un insegnamento sempre attuale. Un’altra divergenza è il contesto in cui avviene il miracolo: se in entrambi i racconti la contestazione del popolo ebreo è nei riguardi di Mosè, colpevole di averlo condotto in un deserto privo d’acqua, diversa però è la reazione di Mosè nei riguardi del Signore: nel Libro dei Numeri Mosè appare colpevole di aver mancato di fiducia nella parola del Signore, e, per punizione, non potrà condurre il popolo nella terra promessa.
Significato del bastone
Ci sono però altri particolari interessanti. Nel racconto dell’Esodo, alla domanda di Mosè: «Che farò io per questo popolo?…», il Signore risponde: «Passa davanti al popolo… prendi in mano il bastone con cui hai percosso il Nilo e va’! Ecco, io starò davanti a te sulla roccia: ne uscirà acqua e il popolo berrà». Nel racconto del Libro dei Numeri, il Signore così risponde a Mosè: «Prendi il bastone; tu e tuo fratello Aronne convocate la comunità e parlate alla roccia sotto i loro occhi, ed essa darà la sua acqua…». Qui non si dice che Mosè dovrà battere con il bastone la roccia, ma di parlarle. Invece Mosè che cosa fa? Batte per ben due volte la roccia.
Secondo gli studiosi della Bibbia, l’espressione “alzare il bastone” o uno stendardo su un’altura era gesto di richiamo di mobilitazione per tutti i guerrieri. “Il bastone di Dio” indica che Mosè convoca alla guerra il Signore, e il Signore sarà presente nella battaglia finché il bastone rimarrà alzato come un vessillo. Nel nostro caso, la battaglia è un’emergenza, ovvero dare acqua, in un deserto, al popolo assetato.
Secondo San Paolo la roccia è Cristo
Sarebbe interessante fare delle riflessioni su questi due episodi. Ci vorrebbe più tempo. Ma non posso dimenticare ciò che lo stesso Paolo ha scritto a proposito della roccia. Nella prima Lettera ai cristiani di Corinto (10,1-4), l’Apostolo scrive: «Non voglio infatti che ignoriate, fratelli, che i nostri padri furono tutti sotto la nube, tutti attraversarono il mare,   tutti furono battezzati in rapporto a Mosè nella nube e nel mare, tutti mangiarono lo stesso cibo spirituale, tutti bevvero la stessa bevanda spirituale: bevevano infatti da una roccia spirituale che li accompagnava, e quella roccia era il Cristo».
Con Cristo si usa il bastone o gli si parla? E poi, Cristo non è l’acqua zampillante per la vita eterna? Un’acqua, simbolo della grazia e dello Spirito, che si accoglie, facendo il vuoto dentro di noi.
I gemiti inesprimibili dello Spirito
Nel secondo brano della Messa, San Paolo tratta ancora il tema dello Spirito santo: parla della creazione che geme e soffre le doglie del parto, dunque è sempre in gestazione, così anche il nostro essere geme interiormente, in attesa della gestazione divina. Lo Spirito fa sentire in noi i suoi gemiti inesprimibili. Certo, il mondo dello Spirito è ben  lontano da quella realtà esistenziale, che sembra partorire solo inutili sofferenze e speranze già tradite sul nascere.
Il verbo “gemere” può anche indicare quelle lunghe attese della realtà spirituale, che è sotto il peso di una montagna di cose che opprimono il nostro essere interiore.
L’acqua e il vino
Passiamo al terzo brano. Le cose da dire sarebbero tante, anzi tantissime. Preferisco fare alcune riflessioni che ritengo interessanti, anche se sembrano ai margini del racconto evangelico.
Vorrei partire facendo una domanda, che non vuole essere banalmente provocatoria. Secondo voi, qual è la cosa più importante: trasformare l’acqua in vino o trasformare il vino in acqua? Riformulo la domanda: tra i due miracoli, quello dell’acqua scaturita dalla roccia e quello dell’acqua tramutata in vino, qual è ciò di cui l’umanità avrebbe più bisogno? A me sembra che l’acqua sia più importante del vino, e che del vino si possa anche fare a meno. Come mai allora si è dato più importanza al miracolo di Cana? Forse per l’intervento o l’intercessione di Maria, la donna fedele vista quasi come l’anti-Mosè incredulo? Può darsi. O forse perché si tratta del primo miracolo, o segno, di Gesù che, prima di compierlo, discute quasi animatamente con la Madre? Può darsi. O forse perché si parla di uno sposalizio e quindi di una nuova famiglia? Può darsi. O forse perché il vino non poteva mancare sulla mensa di una festa, ma soprattutto perché era fortemente ricco di simbologie bibliche, tra cui la saggezza, la gioia, la vita? Può darsi. Ecco, se mettiamo insieme tutti questi elementi, allora posso anche convincermi che il miracolo di Cana sia stato un grande miracolo, superiore a quello della roccia da cui è scaturita l’acqua. Ma anche in questo caso, attenzione: l’episodio di Cana va letto e riletto alla luce della Mistica, evitando, come purtroppo hanno fatto e tuttora fanno gli esegeti, di analizzare l’episodio soffermandosi sui vari aspetti, di cui alcuni ancora enigmatici, senza cogliere in profondità il contenuto spirituale, tra l’altro già suggerito dalla parola “segno” (la parola “miracolo” ci porta a considerare il fatto straordinario nella sua esteriorità).
In ogni caso, non possiamo dimenticare che l’acqua, nel Vangelo di Giovanni, ha un valore spirituale e mistico ben superiore al vino, anche se Cristo, nell’Eucaristia, trasforma il pane e il vino nel suo corpo e nel suo sangue. Ma non possiamo neppure dimenticare che, sempre secondo Giovanni, i soldati «vedendo che (Gesù) era già morto, non gli spezzarono le gambe, ma uno dei soldati con una lancia gli colpì il fianco, e subito ne uscì sangue e acqua» (Gv 19,33-34). Gli esegeti commentano: il sangue indica il sacrificio di Gesù, l’acqua indica il dono dello Spirito.

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