15 giugno: SS. TRINITÀ
Gen 18,1-10a; 1Cor 12,2-6; Gv 14,21-26
La Santissima Trinità è una festa relativamente recente. È stata introdotta nel calendario liturgico nel XIV secolo e assegnata alla domenica successiva alla Pentecoste, ritenuta la domenica più adatta, considerando che la Trinità sia stata pienamente rivelata con la discesa dello Spirito Santo.
Chiariamo. Non si celebra una verità del catechismo, rinchiusa in una formulazione dogmatica, e nemmeno un mistero enigmatico, neppure per addetti ai lavori, i quali però trovano sempre il modo di dire la loro, ovvero di aggiungere al Mistero altri misteri, come rompicapo per noi poveri cristi, che ci accontentiamo di fare un bel segno di croce.
Nel segno della croce noi esprimiamo i due misteri principali della Fede:
con le parole esprimiamo l’Unità e Trinità di Dio, e con la figura della Croce la Passione e la Morte di Nostro Signor Gesù Cristo. Un segno tanto semplice quanto ricco di fede. Bisogna farlo bene. Scrive Romano Guardini: «Quando fai il segno di croce, fallo bene. Non così affrettato, rattrappito, tale che nessuno capisce cosa debba significare. No, un segno della croce giusto, cioè lento, ampio, dalla fronte al petto, da una spalla all’altra. Senti come esso ti abbraccia tutto? Raccògliti dunque bene; raccogli in questo segno tutti i pensieri e tutto ‘’animo tuo, mentre esso si dispiega dalla fronte al petto, da una spalla all’altra. Allora tu lo senti: ti avvolge tutto, ti consacra, ti santifica. Perché? Perché è il segno della totalità ed il segno della redenzione… Pensa quanto spesso fai il segno della croce, il segno più santo che ci sia! Fallo bene: lento, ampio, consapevole. Allora esso abbraccia tutto il tuo essere, corpo e anima, pensieri e volontà, senso e sentimento, agire e patire, tutto vi viene irrobustito, segnato, consacrato nella forza del Cristo, nel nome del Dio uno e Trino».
La devozione popolare si accontentava di poco, di un bel gesto di croce, e credeva nel Mistero trinitario, senza porsi tanti problemi di comprensione. Il Mistero trinitario va contemplato nella semplicità di fede, anche facendo un bel gesto di croce, segno che contraddistingue noi cristiani.
Riflettiamo ancora. Possiamo dire che il Vangelo, considerato nelle sue quattro versioni, secondo Marco, Matteo, Luca e Giovanni, è una rivelazione del Mistero Trinitario: si parla del Logos eterno che si fa carne, si parla del Padre celeste con cui Cristo è sempre in collegamento, nel suo pregare, nel suo predicare e nel suo agire, soprattutto nei momenti più drammatici, pensate all’Orto degli ulivi e al calvario, dove Gesù morente sente la solitudine del Padre. E nel Vangelo si parla dello Spirito santo: dall’inizio quando l’angelo Gabriele annuncia a Maria l’opera dello Spirito, fin sulla Croce, quando Gesù, mentre muore, dona il suo Spirito.
Sì, ripetiamo, la celebrazione liturgica del Mistero trinitario non riguarda formulazioni dogmatiche, perciò immobili, fisse, fredde, ad opera di discussioni teologiche, rese verità assolute, ovvero indiscutibili, di fede nei Concili ecumenici.
Giustamente don Angelo Casati, prete milanese, ha scritto: «La festa della Santissima Trinità è come un’oasi di contemplazione, dopo la pienezza della Pentecoste».
La Trinità non è una festa particolare che va celebrata ritualmente una volta all’anno, ma è il cuore e la radice del nostro essere cristiani, e, allargando gli orizzonti, è il cuore del mistero di ogni essere umano. Possiamo dire che siamo trinitari nel nostro essere più profondo, dove il Mistero è tale perché è talmente profondo che più discendiamo nel Pozzo più ci si unisce al Mistero in tutta la sua purezza cristallina.
Qualcuno si diverte, in senso buono, nel cercare nella stessa Natura, sempre in gestazione (la parola “natura” significa “ciò che sta nascere”) dei segni trinitari. Talora si ricorre all’immagine del trifoglio, che è legato alla figura di un santo, Patrizio, di origini scozzesi che secondo la tradizione avrebbe usato il trifoglio durante la sua missione di conversione al cattolicesimo in Irlanda, per illustrare il concetto di Trinità ai Celti.
In ogni caso, la Natura è piena di segni divini, che ci invitano a pensare anche al Mistero trinitario, senza dover fare tanti difficili ragionamenti.
Tutti i cristiani professano la fede nella Trinità: “Dio è uno solo in tre Persone”. Non troviamo questa definizione di Dio nella Bibbia e le prime generazioni di cristiani non hanno usato la parola “Trinità”. Il primo ad impiegarla (“Trinitas”) è stato Tertulliano, uno dei primi Padri della Chiesa (morto 240 d.C.). La sua non è stata una invenzione, ovviamente, ma il frutto della sua meditazione sulla Sacra Scrittura.
Nel Nuovo Testamento non mancano le allusioni a questa verità di fede. Il Vangelo secondo Matteo (28,16-20) si chiude con la formula trinitaria più esplicita che troviamo nella Scrittura: «Gesù disse loro: “A me è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra. Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito santo…».
Un’altra formula la troviamo nella seconda lettera che l’apostolo Paolo ha scritto ai cristiani di Corinto. Così si chiude: «La grazia del Signore Gesù Cristo, l’amore di Dio e la comunione dello Spirito Santo siano con tutti voi».
L’Antico Testamento è stato un lento e progressivo cammino di esperienza e di conoscenza di Dio che condusse il popolo d’Israele alla professione di fede in un Dio unico. Questa fede la troviamo splendidamente formulata nel libro del Deuteronomio (4,39): «Sappi dunque oggi e medita bene nel tuo cuore che il Signore è Dio lassù nei cieli e quaggiù sulla terra: non ve n’è altro». E che Dio insistesse nel dire che era l’unico si può facilmente capire per il fatto che il popolo ebreo viveva a contatto con popolazioni straniere, che erano idolatre. Per questo il tempio era uno solo, quello di Gerusalemme, e le immagini di Dio erano proibite. Ma dire unico Dio non escludeva di per sé il Misero trinitario.
Sarebbe anche interessante vedere già nell’Antico Testamento degli accenni o delle allusioni: pensate all’episodio contenuto nel capitolo 18 della Genesi (è il primo brano di oggi). Abramo si era stabilito nella zona di Ebron presso le Querce di Mamre, ed è proprio là, in quella cornice, che si colloca il racconto della misteriosa visita di tre personaggi. Questo episodio ha avuto una grande risonanza nella storia dell’arte cristiana. Sono numerose, infatti, le opere artistiche che hanno celebrato questo incontro tra Abramo e i suoi tre ospiti. Quanti erano? Tre, due o uno solo? Chi erano? Angeli o lo stesso Signore? Nella narrazione si passa dal plurale al singolare. Tutta la tradizione cristiana, a partire dai Padri della Chiesa, ha colto in questa nuova teofania l’annuncio del mistero della Trinità, la cui rivelazione sarà manifesta solo nel Nuovo Testamento.
Concludendo: se Dio ci ha creati a sua immagine e somiglianza, non possiamo non dirci trinitari. Lasciamo galoppare un po’ la nostra fantasia, e ci sentiremmo diversi dalla banalità di una fede vissuta all’insegna di tante divinità che ci rendono più idolatri degli antichi pagani.
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