L’EDITORIALE
di don Giorgio
Chi mi capisce,
capisca anche i miei paradossi
Forse non riesco più nemmeno a immaginare, quando penso a questa Chiesa tutto fumo e nulla di sostanzioso, e a questa mia Diocesi, sull’orlo di una implosione oramai inevitabile, che riterrei comunque provvidenziale.
Ma la storia come è sul punto di impennarsi come cavalli impauriti, così è altrettanto pronta a rimettersi ancora in moto, ma nel frattempo nessuno riesce a immaginare i danni di questi arresti o stravolgimenti da cui solo gli spiriti liberi sanno uscire indenni, pur pagandone le conseguenze, più che sulla loro pelle, a causa della loro profonda empatia con l’umanità di cui si sentono intimamente parte.
E poi sento dire, con quella naturalezza tipica di anime beote già immerse nel paradiso delle oche giulive, che siamo totalmente nelle mani di Dio, per cui tutto ha un ordine e tutto ha una logica, anche quando l’assurdità delle situazioni e la perversione che ne è la causa appaiono come il disegno misterioso di un dio, tanto capriccioso quanto demoniaco.
E così ogni cosa rientra in quel gioco “provvidenziale”, per cui: più forte è il male, più bello e imprevedibile è la reazione di Dio, il quale sembra sempre pronto a intervenire dopo il male, per dire a tutti che egli è tremendamente il migliore, proprio perché è capace di inventare qualcosa di ancor più bello, sorprendendo ogni razionalità umana, ricavando dal male peggiore il bene migliore, anche con gestazione assai dolorosa.
Ma, se posso anche farmi affascinare da un simile gioco nella ricerca della maggiore abilità di prevalere sul male (come non vedervi una certa magia?), accettandone tutti i rischi, i mali e le conseguenze drammatiche sull’essere umano (tanto, si dice, qualcuno che verrà dopo di noi potrà raccogliere qualche buon frutto, gustando qualche gioia sul sangue incalcolabile di incalcolabili vittime umane), che senso potrà avere una esistenza fatta di mediocrità tali da non sapere neppure trovare una scusa, pensando al Dio provvidenziale che sa trarre il bene migliore dal male peggiore?
So di dire cose che sembrano paradossali e anche allucinanti. Ma, questa è la realtà che ci sta davanti, in una Chiesa che, se spesso e volentieri mette sullo stesso piano il dio atroce del male e il dio provvidenziale del bene (due divinità che, più che contrapposte, si richiamano a vicenda), poi agisce giustificando ogni meschinità e mediocrità, come la terza via scelta da Dio quando è stanco di mungere dal male ogni bene.
Vorrei essere più chiaro. Lasciando stare la politica che non può appellarsi a qualche deus ex machina, al di fuori dei soliti bastardi amanti del delirio di onnipotenza, ciò che mi sconcerta di questa Chiesa è la sua capacità, talora così assurda da doverla in pratica giustificare per non impazzire, di vivere nella normalità più scadente, ovvero nella mediocrità, in nome di quella virtù che sa togliere ogni asperità interiore, ovvero ogni ribellione di uno spirito cosciente della propria libertà d’essere.
Se, per esempio, mi dovesse entusiasmare l’idea di un dio del bene che sappia trattare dal male vie umanamente impensabili per risorgere a nuova vita, dovrei chiedermi nello stesso tempo a che cosa servirebbero anime del tutto spente, o castrate in nome di una virtù che tutto omologa sul presunto volere di un dio, costretto a vegetare, perché lasciato lì a vegetare, ritenuto incapace di incazzarsi di fronte ad un male talora “invisibile”, ma sempre del tutto reale.
Una Chiesa, dunque, che spegnesse gli spiriti più vivaci, e temibili proprio perché eccedenti la normalità, eliminerebbe quella via provvidenziale che è l’unica alternativa al male “invisibile” ma reale: un male che è più male se si rende più invisibile.
Solo gli spiriti liberi nella realtà del proprio essere osano sfidare questo male, che la Chiesa e il suo dio impotente non riescono più né a vedere né a contrapporvisi.
E la bastardaggine della Chiesa/istituzione consiste nel tentativo di castrare le anime più vivaci o, meglio, nell’emarginarle in una solitudine al limite del suicidio, in nome di un dio che vede il male dove non c’è, e non vede il male dove c’è.
E ancora. La Chiesa sembra fare di tutto per reprimere gli spiriti liberi e intelligenti, contrapponendo ad essi pastori diocesani per nulla liberi nello spirito e per nulla illuminati: spenti da una cieca sottomissione ad un volere divino che in realtà – qui sta l’atroce inganno – è una invenzione ad hoc di una struttura religiosa, idolo di se stessa.
15 luglio 2017
Caro don Giorgio, sono in generale d’accordo con la tua analisi.
Permettimi una piccola riflessione personale sul discorso di “essere nelle mani di Dio”. Spesso mi capita di dire nel mio intimo “sono nelle Tue mani”, ma non in modo “passivo”. Siamo tutti chiamati a fare la nostra parte per portare il Vangelo di un Dio che, secondo me, non ci vuole assolutamente “passivi” (la parabola dei talenti ne è la conferma). In questo senso io vedo nelle cose che dici una grande “attività” che nasce dal tuo intimo sentirti parte di un’umanità alla quale vuoi bene: per questo motivo il tuo spirito libero ti fa spesso incavolare, soprattutto quando vedi quella parte di umanità schierarsi contro il messaggio radicale di Cristo, salvo poi dichiararsi ipocritamente “cristiana” per compiacere e compiacersi di una chiesa strttura tanto vicina ai sepolcri imbiancati di cui parla Gesù.
In questo senso dire “essere nelle mani di Dio”, dire “Signore, sono nelle tue mani” può essere inteso anche “attivamente” come un “aiutami nella battaglia” contro quelli che sono definiti “i dominatori di questo mondo di tenebra, gli spiriti del male che abitano nelle regioni celesti” (Efesini 6,12).
Buona battaglia don Giorgio.