Omelie 2015 di don Giorgio: Festa dell’Assunta

15 agosto 2015: Assunzione della B. Vergine Maria
Ap 11,19-12,6a.10ab; 1Cor 15,20-26; Lc 1,39-55
“De Maria numquam satis”
C’è un detto latino, che è attribuito a San Bernardo di Chiaravalle, monaco e abate francese del XII secolo d.C., e che recita: “De Maria numquam satis”: “di Maria non si dice mai abbastanza”, ovvero c’è sempre qualcosa ancora da dire, bisognerebbe parlare ancora di più. Eppure già si è detto tanto: pensate che la biblioteca della Pontificia Facoltà Marianum di Roma, conserva circa  60.000 volumi di mariologia. Un autore ha scritto: «è come se, per amore dei figli, Maria porga ogni giorno sotto i loro occhi nuove collane di perle, sempre più splendenti, per la festa loro, strappando voci di meraviglia».
Che dire? Forse bisognerebbe parlare di meno, ma puntando alla qualità. Credo che non ci sia una creatura umana che abbia ricevuto più elogi della Madonna, a proposito e a sproposito. Non solo se ne parla troppo a sproposito, ma si fa di tutto perché ella continuamente parli, tramite apparizioni. E pensare che le parole della Madonna riportate dagli autori dei quattro Vangeli sono poche ed equilibrate. Dopo la risurrezione di Cristo, Maria, pur presente nella Chiesa primitiva, non parla più in modo ufficiale.
Non vorrei anch’io cadere nel difetto di un eccesso di parole a riguardo della festa di oggi, Assunzione della Beata Vergine Maria in cielo. Vorrei limitarmi a qualche riflessione, senza entrare nel merito del dogma.
1. Maria si mette in viaggio per far visita alla cugina Elisabetta
Un esegeta commenta: «Se i personaggi del vangelo avessero una specie di contachilometri incorporato, penso che la classifica di camminatore più infaticabile – Gesù a parte – l’avrebbe vinta la giovane ragazza di Nazareth. Sempre in cammino… ».
Ma distinguiamo bene: essere pellegrino significa avere una meta da raggiungere, a differenza del vagabondo che non sa dove andare. Purtroppo, sembra che la società di oggi sia una massa di vagabondi che camminano, quando camminano, ma senza avere una meta ben precisa. Non è questo il significato di quel disorientamento che caratterizza l’uomo moderno? Siamo sommersi da punti interrogativi, ma senza porci le vere domande esistenziali: da dove veniamo, verso dove andiamo, perché viviamo? Disorientati e confusi, vagabondiamo senza una meta. E anche quando c’è una meta (vado in quel negozio a comperare il pane o faccio una gita in una città), restano sempre dentro di noi i dubbi sul perché ci comportiamo in un certo modo. Le vere mete poi vanno ben oltre le mete quotidiane condizionate dal nostro vivere quotidiano. Arriviamo a fine settimana, facendo le solite cose, senza un ideale che dia un senso al nostro vivere.
2. Una constatazione già sconvolgente: l’incontro di due donne
Il Vangelo offre l’unica pagina in cui sono protagoniste due donne, senza nessun’altra presenza, che non sia quella del Mistero di Dio pulsante nel loro grembo. Prima parlano le madri, poi parleranno i figli. Una precedenza non solo biologica, ma profetica. Profetizzano per prime le madri. Zaccaria, moglie di Elisabetta, proprio per non aver creduto alle parole dell’Angelo, resterà muto fino alla nascita del figlio.
Anche Giuseppe, promesso sposo di Maria, aveva avuto perplessità. Non è strano che i Vangeli non riferiscano alcuna parola di Giuseppe? Esiste anche una profezia muta? In ogni caso, a profetizzare sono le due mogli e le future mamme: Elisabetta e Maria. Poche parole, in verità, ma degne di un quadro familiare particolarmente intenso.
3. Magnificat: il canto dei poveri della Chiesa primitiva, fatto proprio da una donna
Ci sarebbe tanto da dire sul Magnificat: qui sarebbe il caso di riprendere il detto “numquam satis”.
Tutti gli esegeti concordano nel dire che il Magnificat non è un inno inventato dalla Madonna, ma è il prodotto della fede della Chiesa primitiva. Ma la cosa già sconvolgente è che la Chiesa primitiva l’abbia attribuito ad una donna: Maria, madre di Gesù.
L’ho già detto e lo ripeto: negli scritti del Nuovo Testamento la donna aveva una importanza tale che, se fosse poi continuata lungo la millenaria storia della Chiesa, forse non saremmo arrivati a quel degrado maschilista che ha portato la stessa Chiesa sull’orlo dell’abisso. Lasciamo stare l’azione dello Spirito santo, che sa risolvere le situazioni più complesse con il tocco quasi magico del suo soffio interiore, le grandi donne nella Chiesa, pur eccezioni, hanno anch’esse tirato fuori la Chiesa gerarchica, ovvero maschilista, da altrettanti situazioni complesse. Cito solo un nome: Santa Caterina da Siena. Eppure, queste donne profetiche hanno sempre avuto una parte diciamo eccezionale, e non ordinaria. L’ordinario è sempre maschile, purtroppo.
Umili o umiliati?
Il Magnificat è il canto in difesa dei poveri, degli ultimi, degli affamati, di coloro che sarebbe meglio definire “umiliati” piuttosto che “umili”.
Un esegeta commenta: «Umili lo si può essere per una condizione naturale del carattere, indipendentemente dalla situazione sociale ed economica nella quale ci si trova (anche un ricco può essere umile, per carattere); umiliati, invece, lo si è perché resi così dalla vita, dalle difficili situazioni che a volte ci si trova a dover fronteggiare. E per via della difficile situazione a livello socio-economico (e non solo) nella quale ci troviamo ormai da diverso tempo, credo che oggi parlare di un Dio che innalza gli umili e rovescia i potenti dai troni voglia dire fare riferimento ai molti, ai troppi umiliati della vita».
Quanto si è equivocato sul significato della parola “umile”! La Chiesa gerarchica ha sempre invitato i credenti ad essere “umili”, ovvero soggiogati all’autorità, lasciando gli “umiliati”, ovvero gli “oppressi” nella loro condizione sociale.
Infine, che senso dare alla Festa dell’Assunzione? 
Giorgio Manganelli, scrittore e giornalista italiano morto nel 1990, scriveva: «Fra tutte le epidemie, i sismi, i tifoni, gli sbarchi di cavallette, le alluvioni torrenziali, solo certo e prevedibile resta il ferragosto… Durante le non molte, ma fatali ore del ferragosto, trionfa una colossale eclissi dell’esistenza. Nulla viene prodotto, eccetto l’ectoplasma…». E ancora: «La mia sensazione più profonda è che il ferragosto sia la festa del Nulla: e a questa convinzione io mi adeguo».
Che dire? Salviamo almeno la speranza, e crediamo nella vita che ha sempre un passo in più della morte.

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