Omelie 2023 di don Giorgio: DEDICAZIONE DEL DUOMO DI MILANO

15 ottobre 2023: DEDICAZIONE DEL DUOMO DI MILANO
Bar 3,24-38; 2Tm 2,19-22; Mt 21,10-17
Abbiamo sentito leggere il primo brano della Messa, che fa parte del libro del profeta Baruc. Concentriamoci sul testo, e non sull’autore del testo, che ha sempre creato problemi tra gli esegeti.
Sarei tentato di rileggerlo, soffermandomi sulle singole parole, come faceva Carlo Maria Martini, che sapeva far gustare il testo biblico, senza dover citare autori famosi, antichi o moderni, brutto vezzo di un noto cardinale brianzolo. È la Parola che conta, nella sua essenzialità: non ha bisogno di autenticità da parte di pensatori famosi.
Soffermiamoci sul testo, e cerchiamo di dire almeno qualcosa che possa arricchire la nostra Fede, che esige sempre una ricerca e un cammino: ricerca che è cammino, e cammino che è ricerca.
Anzitutto, qual è il tema del bellissimo brano? In sintesi, è lo splendore della Sapienza di Dio, capace di creare il mondo con prodigalità: un mondo perciò che è tutto grande, spazioso, immenso. Con una battuta, Dio non è stato tirchio creando l’Universo: ha riversato Se stesso in modo sovrabbondante. Possiamo dire, con l’autore del brano, che Dio, creando il mondo, si è fatto guidare dalla Sapienza infinita, che è Se stesso.
Tutto ha fatto con Sapienza, con quell’Intelletto che è Luce da cui scaturisce la Vita.
L’autore del brano dice: «Là nacquero i famosi giganti dei tempi antichi, alti di statura, esperti nella guerra; ma Dio non scelse costoro e non diede loro la via della sapienza: perirono perché non ebbero saggezza, perirono per la loro insipienza».
Qui sarei tentato di prendermi tutto il tempo dell’omelia, pensando ai tempi andati (sono crollati tutti gli imperi o dittature politiche: assiri, babilonesi, egiziani, impero romano, ecc.) e pensando all’oggi quando, dimenticando la storia come maestra di vita, non perdiamo il vizio di arrampicarci sulla cima del potere, come idioti che vorrebbero dall’alto dominare un mondo che è di quel Dio che è la Sapienza che umilia i giganti, i quali prima o poi moriranno a causa della loro insipienza, sotto il cumulo di detriti, frantumati dalla storia che non perdona.
Basta salire un gradino, e si è imbecilli, e man mano si sale sulla scala del potere o della carriera, gli occhi si offuscano, ovvero si annebbia il cervello, si perde di vista la Sapienza divina, che è impressa nell’Universo, che non ci appartiene, perché appartiene a Dio.
Il profeta sembra dire: non hanno sapienza i popoli che si ritengono campioni di grandezza: un popolo di costruttori, artigiani, mercanti e carovanieri, quindi esperti e conoscitori di molti mondi e di molte scienze. Il popolo d’Israele è invitato a contemplare la grandezza della casa di Dio, cioè l’universo che non ha confini.
Anche qui la parentesi potrebbe allargarsi o allungarsi: ci si crede professori, scienziati, manager piglia tutto, e poi? Non sappiamo capire, perché insipienti, che l’universo più lo prendiamo più ci sfugge: ne prendiamo qualcosa che poi ci sotterrerà.
L’insipienza sta nel possesso di qualcosa, dicendo “questo è mio”, mentre la saggezza sta nell’aprire gli occhi dell’intelletto per vedere che l’universo, come dice la parola uni-verso, è uscito dalla sapienza di Dio per tornare all’Uno che Dio.
I grandi Mistici medievali parlavano di amor sui come il vero peccato originale, perché è la fonte della imbecillità umana, che vorrebbe prendere per sé qualcosa che è di Dio. Amor sui è voglia di possesso da parte di quell’ego che cerca di accaparrarsi di cose più che più.
Dio, creando l’Universo, ci ha impresso l’immagine della sua Sapienza, e creando l’uomo vi ha infuso l’intelletto, che è una scintilla della Sapienza divina.
Ancora si sostiene che la fede è un dono privilegiato di Dio, come a dire, che Dio dà la fede a chi vuole. In che senso? In ogni essere umano è presente lo spirito, perché altrimenti, senza lo spirito, nessuno esisterebbe su questa terra. Non esistiamo come corpo o come psiche, ma come spirito, che è l’essere che dà vita al corpo e alla psiche.
La Fede allora che cos’è? Solo vedere l’immagine di Dio nell’Universo, aggiungendo magari l’immagine del fratello che ci sta accanto? Certo, odiano gli immigrati, e poi si dicono bravi cristiani. Vero, Giorgia Meloni? Vero, Matteo Salvini?
La Fede è di più, non nel senso che ci fa vedere qualcosa d’altro, ma nel senso di quella Fede di cui parlava Cristo elogiandola quando la notava addirittura nei pagani che gli chiedevano un segno particolare.
La Fede, da non confondere con la credenza, è quel continuo dialogo con lo Spirito divino, che è presente nel nostro essere. Da questo interiore ininterrotto dialogo nasce l’esigenza di vedere l’immagine divina anche nel Creato, ovvero in tutto ciò che ci circonda, cose o piante o persone. Non è necessaria una legge morale che mi impone di rispettare il creato e di amare il mio prossimo. Chi interiormente è unito con il Divino sente l’esigenza di essere come una cosa sola con la Natura e con l’umanità intera.
Pensate alla bellezza di vivere in un universo immenso, non per viaggiare per godersi ogni spettacolo della Natura. Non è necessario, anche perché succede che si va nei posti più esotici, e si torna più imbecilli di prima, più brutti di prima, più cattivi di prima.
Certo, nessuno proibisce di andare chissà dove per vedere cose mai conosciute, ma il problema rimane, se non respiriamo quell’aria di novità che è già di casa.
Anche nel proprio piccolo io posso respirare Umanità. Sì, nel proprio piccolo, però quando il contesto in cui viviamo è aperto a ricevere la luce, che proviene dal sole, che illumina il mio paese come illumina altri paesi più lontani. È lo stesso sole, anche se ad ogni istante la luce che viene dal sole è sempre diversa, diciamo nuova.
Ricordo un uomo, ora defunto, della parrocchia di Monte – aveva fatto la campagna militare in Russia: mi raccontava che, durante la disastrosa ritirata, di sera quando c’era guardava la luna, e pensava: “Questa stessa luna la stanno vedendo a casa mia”. Era un uomo semplice, quasi analfabeta, che ha saputo però esprimere un concetto molto bello: la distanza non ci allontana dalla natura, la quale, vicina o lontana, ci dice le stesse cose, unendoci in quell’Uno divino che ci parla, a modo suo, in ogni paese dove ci troviamo.
Bello risentire le parole del profeta: «Dio invia la luce ed essa va, la richiama ed essa obbedisce con tremore. Le stelle brillano dalle loro vedette e gioiscono; egli le chiama e rispondono: “Eccoci!”, e brillano di gioia per colui che le ha createۚ».
Anche per ciascuno di noi ogni stella brilla di gioia, ma la vera stella è la scintilla che Dio ci ha donato, nel profondo del nostro essere.

Lascia un Commento

CAPTCHA
*