Omelie 2025 di don Giorgio: SECONDA DI QUARESIMA

16 marzo 2025: SECONDA DI QUARESIMA
Dt 6,4a; 11,18-28; Gal 6,1-10; Gv 4,5-42
Anche la Quaresima, come l’Avvento, è un momento “forte”, anche per quei brani della Sacra Scrittura, che la Liturgia ci ripropone, da ascoltare in una fede pura, ovvero senza porre limiti o quei condizionamenti che ci fanno trovare sempre il modo per una qualche scusa onde evitare quella radicalità che è la natura stessa della Parola di Dio.
“Ma…”, “se…”, e così ce la caviamo sempre, lasciando che la Parola vivente, il Logos eterno, passi “invano”, senza produrre effetti efficaci nella nostra vita interiore.
Il primo brano inizia con l’invito di Mosè: “Ascolta, Israele”. Ascoltare e obbedire hanno lo stesso significato. Infatti oboedentia in latino viene da ob-audio, “do ascolto”: obbedire vuol dire in primo luogo prendere “sul serio” il discorso dell’altro. Nel libro dell’Esodo si dice che, quando Mosè riferisce i comandamenti del Signore, «tutto il popolo risponde insieme: Quanto il Signore ha detto, noi lo faremo!» (Esodo 19,8).
Non si discute la Parola di Dio: si ascolta e si obbedisce. O ci crediamo o non ci crediamo. Certo, i dubbi facevano parte anche della fede dei santi. Pensiamo anche a Giobbe. Siamo tutti umani. Dio, proprio perché va al di là della nostra logica, ci può scandalizzare, per lo meno non convincere, lasciarci in crisi esistenziali.
Credo che Dio ci lasci camminare secondo il nostro passo, talora spedito, talora stanco, talora incerto. E siamo sempre tentati di prendere delle scorciatoie. Ma il problema dell’uomo di tutti i tempi è quello di giudicare Dio, stando fuori del nostro essere. “Fuori” di noi, giudicheremo Dio con la nostra logica di corte vedute. “Dentro” di noi, la Parola di Dio si fa ascolto e obbedienza di fede purissima. “Fuori”, possiamo dimenticarci della Parola di Dio, distratti come siamo da tante tentazioni per cose inutili.
Ed ecco il primo brano che ci invita a ricordare, a tenere presente la parola di Dio, perché diventi legge per il nostro comportamento, solo così resteremo sulla strada giusta, quella indicata dal Signore. E perché non dimenticassero la legge di Dio gli Ebrei presero alla lettera l’obbligo di legarsi alla fronte e sul braccio sinistro piccole capsule di pelle, contenenti alcuni brani delle prescrizioni, vedi Esodo (Es 13,1-10.11-16) e Deuteronomio (6,4-9; 11,18-21). Esistevano ancora ai tempi di Gesù: in greco si dicono filatterìe e in ebraico tefillìm. Ma Gesù condanna (vedi Mt 23,5) coloro che operano nel culto con esibizionismo, per farsi vedere dalla gente: «Tutte le loro opere le fanno per essere ammirati dalla gente: allargano i loro filattèri e allungano le frange». Una scatoletta era posta anche sugli stipiti delle porte, per assicurare il ricordo quotidiano della legge onde essere fedeli al Signore.
C’era la preoccupazione di vivere il presente e la preoccupazione di preparare il futuro. Il futuro era garantito dai figli e dall’educazione data loro. Essi dovranno maturare con la costanza e continuità di un adulto educatore, in 4 situazione di vita (“in casa, in cammino, quando vai a letto e quando ti alzi”).
Il brano termina con queste parole: «Vedete, io pongo oggi davanti a voi benedizione e maledizione: la benedizione, se obbedirete ai comandi del Signore, vostro Dio, che oggi vi do; la maledizione, se non obbedirete ai comandi del Signore, vostro Dio, e se vi allontanerete dalla via che oggi vi prescrivo, per seguire dèi stranieri, che voi non avete conosciuto».
Siamo chiamati a scegliere quale strada intraprendere: se quella della benedizione che ci fa ospitare la Parola perché la si ama, la si cerca, la si invoca per viverla scrivendola nel proprio cuore, oppure operare la scelta di dare credito ad altre parole che non sono di Dio, sapendo fin da ora che esse porteranno al nulla, perché tutto inevitabilmente andrà a spegnersi.
E questo insegnamento è riconoscibile anche nel testo di Paolo, pur con termini diversi. L’Apostolo sta animando la fatica della sua comunità attraversata da segni di stanchezza; la comunità cristiana della Galazia (oggi porzione di territorio della Turchia) vuole sì vivere lo stile, le prospettive, i linguaggi e gli intenti di chi ha incontrato il Vangelo, ma ha necessità di sentirsi spronata, soprattutto a mettere in atto la correzione fraterna e l’aiutarsi a vicenda portando gli uni i pesi degli altri. Dice Paolo che la Parola del Vangelo chiede di essere ospitata, affinché si possa creare realmente il collegamento tra la vita vissuta e ciò che si crede e si cerca. E anche se i cambiamenti sono faticosi e a volte non del tutto appariscenti, tuttavia lo stile, il clima, la sensibilità fanno intuire come la benevolenza accresca la capacità di condivisione fraterna che davvero diventa risorsa che aiuta così da farne dono anche ad altri per essere un’unica appartenenza.
Passiamo al terzo brano: una delle scene più straordinarie, che forse solo l’evangelista Giovanni poteva raccontarci. È il dialogo di Gesù con la Samaritana. Non conosciamo il nome, solo sappiamo che era una donna, appartenente a un popolo odiato dagli ebrei, per di più una donna moralmente non per la quale. Un intreccio di domande e risposte, in cui Gesù dimostra la sua maestria, non tanto letteraria, quanto dialettica, nel senso più nobile del termine, ovvero quando la domanda obbliga l’altro a rispondere provocando un’ulteriore risposta, sempre più elevata. E la cosa sorprendente è che Gesù aveva a che fare con una donna, che a quei tempi contava poco o nulla, ritenuta nemmeno persona credibile. E così ci è voluto un evangelista come Giovanni, dietro cui c’era una comunità già matura e profetica, il quale ha saputo fare di un dialogo qualcosa di unico. Ogni elemento fisico: il luogo, il pozzo, l’anfora, l’acqua, assume un significato talmente profondo da richiedere una ottima vista interiore per cogliere almeno qualcosa del Mistero divino, che è nel Fondo del Pozzo, da cui si attinge un’acqua che zampilla per la vita eterna. Un’acqua divina, che è Dono, perciò del tutto Gratuito, che si chiama Grazia. Un pozzo e un’acqua che sorprendono non solo una donna del popolo, abituata alla concretezza di una vita, sempre a che fare con elementi materiali, con problemi esistenziali, ma gli stessi teologi, filosofi e intellettuali, abituati a ragionare troppo secondo dogmi o calcoli umani.
Dalla Grazia si passa alla fede pura, quella fede interiore per cui tutto il mondo del Divino richiede spirito e verità. “Viene l’ora, ed è questa, in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità”. Già “questa”, di adesso, l’Ora della Grazia, che richiede radicalità assoluta, continuo distacco da ogni carnalità, da ogni dogmatismo religioso, da pretese possessive come se Dio fosse “nostro”, da adorare nelle “nostre” chiese, nelle “nostre” moschee”, nelle “nostre” sinagoghe. “Credimi, donna, viene l’ora in cui né su questo monte (è il monte Garizim, sul quale i Samaritani avevano costruito un loro tempio) né a Gerusalemme (dove c’era il tempio degli Ebrei) adorerete il Padre”. Un culto strettamente interiore, spirituale, pur celebrato in una chiesa, in una moschea o in una sinagoga. E Gesù conclude: “Dio è spirito, e quelli che lo adorano devono adorare in spirito e verità”.

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