Omelie 2023 di don Giorgio: SECONDA DI PASQUA

16 aprile 2023: SECONDA DI PASQUA
At 4,8-24a; Col 2,8-15; Gv 20,19-31
Il problema è sempre quello, lo stesso, ogniqualvolta devo preparare una omelia da tenere durante le Messe domenicali: ovvero, più che cosa dire per riempire più o meno i dieci minuti a disposizione, è come cogliere nei brani della Scrittura proposti dalla liturgia ciò che è il cuore del messaggio divino o ciò che porta al cuore del messaggio divino. Talora non è facile neppure intuire quel minimo che permetta di aprire qualche nuovo orizzonte. Nuovo, non nel senso di eccentrico o di astruso, di quella Parola che è ricca di infinite sorprese, o di quelle possibilità che, come dice il termine “possibilità”, crea infinite occasioni di arricchire il nostro spirito. E qui sta il punto. La Parola di Dio illumina il nostro intelletto perché lo spirito si apra allo Spirito divino. E lo spirito del nostro essere si apre, quando lo liberiamo da ogni ingombro che toglie a Dio la possibilità di entrarci.
Leggendo i tre brani della Messa non possiamo dire che non parlino chiaro a proposito della nostra realtà interiore, e, d’altronde, se non parliamo di interiorità del nostro essere qui in chiesa, di che cosa dovremmo parlare?
Certo, si può anche parlare (e anche io lo faccio) di questa società o meglio di coloro che la compongono che sono allo sbando, parlare di questa politica o meglio dei politici pazzoidi e fuori di testa, parlare di questa Chiesa istituzionale o meglio di quei gerarchi che fanno di tutto per presentarsi come benefattori dell’umanità, ma, ecco il punto, se manca lo spirito interiore, come parlo, da dove attingo le mie parole, come mi comporto? Cristo ha detto alla donna samaritana: “Scendi nel Pozzo divino, e lì troverai il segreto per la conversione della tua vita”. Non le ha detto: “Osserva prima i comandamenti, poi cambierai la vita!”. Non è così. Io cambio, quando entro in me stesso, e qui trovo il segreto per cambiare. La morale, insisto nel dirlo, si adegua all’intelletto divino che illumina il mio spirito. Non devo partire dai comandamenti, ma dal mio spirito interiore, che poi inciderà sul mio comportamento.
Lo dice in continuazione l’apostolo Paolo nelle sue lettere rivolte ai cristiani dei suoi tempi, insistendo sulla legge dello Spirito che ha sostituito la legge mosaica e diciamo ogni legge fissata su un pezzetto di carta, e lo dice anche nel brano di oggi.
Facciamo una considerazione pratica. Cristo dove lo trovi? Solo nel povero che hai davanti? Vedi Cristo nel povero concreto se prima lo vedi in te stesso. Per vedere Cristo nel povero concreto devi avere l’intelletto che vede: vede perché illuminato dallo Spirito.
Sul primo brano potremmo soffermarci a lungo. Già una domanda: come mai i capi giudei rimangono colpiti dal comportamento dei primi apostoli? Operano miracoli, predicano il Cristo risorto, ecc. E non sanno cosa fare, come comportarsi: capiscono che “un segno evidente è avvenuto per opera loro”. E in nome di quale coraggio Pietro e Giovanni, pieni di Spirito santo, annota Luca, dicono: «Se sia giusto dinanzi a Dio obbedire a voi invece che a Dio, giudicatelo voi. Noi non possiamo tacere quello che abbiamo visto e ascoltato».
Sappiamo quale sarà poi la scelta degli Apostoli, quando, di fronte al dovere di assistere materialmente i poveri, sono stati costretti a scegliere: o impegnarsi personalmente loro portando via tempo prezioso per l’annunzio della di Parola di Dio oppure affidare a 7 diaconi il compito di dedicarsi alla mensa dei poveri.
Non possiamo anche noi tacere di fronte a che cosa è successo nella Chiesa lungo i secoli: l’abbandono del mondo interiore per dedicarsi anima e corpo a qualcosa di materiale, tradendo la missione specifica che la Chiesa ha ricevuto dal suo Fondatore, quella di annunciare il suo messaggio, che non è un messaggio anzitutto di carattere moralistico, ma in linea con quell’ordine perentorio di Cristo: “Metanoèite!”, cambiate mentalità, ovvero rientrate in voi stessi, e lasciatevi illuminare dallo Spirito che è in voi.
Qualche giorno fa ho visto un video con un’intervista che un famoso scrittore e giornalista, Armando Torno, ha fatto a Marco Vannini, il più grande storico vivente di Mistica medievale. Ambedue hanno riconosciuto una cosa: di essere rimasti disorientati quando Fabio Fazio ha intervistato Papa Francesco, il quale è apparso tutt’altro che vicario di quel Cristo, Logos eterno, che si è incarnato non per fare il taumaturgo o l’assistente sociale o il benefattore dell’umanità, ma per dirci di scoprire la nostra realtà interiore, dove lo Spirito agisce in libertà, se gli permettiamo di agire liberamente. Certo che il papa deve anche preoccuparsi di ciò che avviene nel mondo, dei poveri, di giustizia sociale, della guerra ecc., ma non può non annunciare la Buona Novella in tutta la sua provocazione che tocca il nostro essere interiore. E alla domanda del giornalista: “Come mai oggi c’è quasi una fuga verso l’oriente alla ricerca di qualche spiritualità che possa riempire quel vuoto che c’è qui in occidente?”. La risposta di Marco Vannini è stata chiara: “Qui in occidente nessuno più parla di spirito, anche la Chiesa parla solo di corpo e di psiche”.
Non riesco più a sopportare vescovi che, quando prendono in mano la diocesi, come prima cosa dicano: “Starò dalla parte della gente più povera…”. A parte che resteranno solo belle parole, ma il vero problema è che la Chiesa non capisce ancora che il suo annuncio è questo: “Entra in te stesso, lì scoprirai chi sei e scoprirai anche il mondo del Divino”. Mai ho sentito un neo vescovo dire queste cose. E quando vedo un vescovo che tutti i sacrosanti giorni è qui ed è là come un prezzemolo, mi chiedo: Ma che cosa sta facendo? Che cosa dice alla gente? Certo, lui c’è!, frase fatta. Ma “come” c’è?
Una riflessione che viene spontanea sul notissimo brano del Vangelo: l’incredulità dell’apostolo Tommaso che, per credere, vuole toccare fisicamente le piaghe del Risorto. E Gesù duramente lo rimprovera, affermando che la vera beatitudine è di chi crede senza vedere, senza toccare, senza aver bisogno di qualcosa di carnale: apparizioni o visioni o miracoli, ecc.
La beatitudine evangelica è nello spirito del nostro essere, quando la fede è così pura da fare a meno di ogni segno esterno. Con un pizzico di questa fede si potrebbero spostare le montagne. Ma le montagne restano sempre immobili perché la nostra fede è solo superstiziosa, devozione legata ai sensi.
Certo, non è proibito chiedere al Signore anche grazie del tipo materiale: salute, lavoro, casa, vivere dignitosamente questa esistenza, in pace e non in guerra. Ma la grazia da chiedere anzitutto è quello star bene dentro, nel nostro essere, perché è da qui che la nostra esistenza potrà cambiare senso.
Se la Chiesa non dice queste cose, che cosa d’altro dovrebbe dire? Più che parlare di grazie, al plurale, dovrebbe parlare di Grazia, che è lo stesso Spirito divino, che è dentro di noi.

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